giovedì 31 ottobre 2013

L'Angelus


Sono sicuro che se chiedessi a 100 persone che cosa li ha rapiti di un’estasi sublime guardando L’Angelus di Jean-Francois Millet, 99 di essi mi risponderebbero: la luce.
Però credo di dover precisare e riformulare meglio l’incipit perché su 100 persone magari 80 manco sanno chi cazzo è Jean-Francois Millet e cosa sia L’Angelus.
Riformulo.
Delle 20 persone su 100 che risponderebbero affermativamente alla domanda su chi sia Jean-Francoise Millet e quale sia la sua opera L’Angelus, 19 mi risponderebbero che la cosa che li ha colpiti di più del quadro è la luce.
È quello che capitò a me anni fa quando feci l’esame di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università.
La mia è una famiglia normale, piena di brave persone, di valori, gente onesta. Tranne mio padre che è un egoista pezzo di merda. C’è sempre un’eccezione e una pecora nera, è inutile ribadirlo.
Comunque la mia famiglia è splendida, ma non è che giri tanta arte, quindi molte cose le ho scoperte tardi (e spesso da autodidatta seguendo un tortuoso percorso tutto mio), ma poi non le ho più lasciate.


Ricordo che dopo aver studiato il Neoclassicismo, la pittura, la scultura l’architettura neoclassica soprattutto in Italia, Francia e Inghilterra, il Romanticismo, lo stile Biedermeir e tante altre cose, arrivai alla cosiddetta Età del Realismo, il Verismo, Gustave Courbet e finalmente…Millet!
La prima opera su cui mi soffermai fu la Donna nuda distesa. Poi fu la volta del Seminatore, dell’Uomo con la zappa e Le spigolatrici. Furono soprattutto queste opere dedicate ai lavoratori, agli umili e agli sfruttati a farmi interessare a Millet.


Infine venne L’Angelus, con quella luce meravigliosa a cui ho accennato prima.
Ecco il breve appunto sull’Angelus che ritrovo scritto nel quaderno:
<< La scena rappresenta una serena campagna al tramonto nel momento in cui, all’ora dell’Angelus, al suono della campana lontana, due contadini, marito e moglie, sospendono il loro lavoro e si fermano in raccoglimento a pregare. Così si espresse Millet a proposito dell’opera: “L’Angelus è un quadro che ho fatto pensando come, lavorando in altri tempi nei campi, mia nonna non mancava mai, sentendo suonare la campana, di farci fermare nelle nostre faccende per dire l’Angelus per quei poveri morti, molto piamente e con il cappello in mano” (Lettera del 1865 all’amico Siméone Luce).
L’allusione ai “poveri morti” spiega quel tanto di funebre e di malinconico che è stato talvolta notato nel dipinto, ma il passo della lettera di Millet è chiarificatore anche del significato più generale che si deve attribuire all’opera. La rappresentazione è stata intesa spesso come una dimostrazione del senso di religiosità del pittore e della sua visione serena e positiva dei campi. Nella realtà, sia da quanto sappiamo degli orientamenti del pittore che dalla sua testimonianza, si evince una situazione ben diversa: Millet non era praticante, al punto che si decise a celebrare il matrimonio religioso solo poco prima di morire; in secondo luogo, lui stesso ci dice che voleva rendere il senso profondo della religione che aveva sua nonna, che era stata contadina. Il dipinto dunque vuole documentare con un intento quasi antropologico il legame profondo che si registrava in Francia nel secolo XIX fra la classe contadina e la religione. >>


Come vedete sulla luce non c’è quasi niente. Le emozioni che provai la prima volta che vidi il quadro il quaderno non le registra, ma io le ricordo molto bene. Se ho deciso di scrivere questo post è perché leggendo un pensiero di Ceronetti (autore scoperto da poco e che consiglio) in Insetti senza frontiere ho provato tanta gioia da volerla condividere. Eccolo:
Anche da una riproduzione qualsiasi, L’Angelus di Millet emana luce. Immagine miracolosa di vita sacralizzata: il raccogliersi religioso della coppia umana dopo la giornata di fatica sulla terra che dà patate. Sentiamo, guardandola, che questo ci manca, e che viviamo falsamente e ignobilmente, calpestando sempre più l’Angelus dentro di noi.
Proprio così. A volte sembra di vivere da straccioni furiosi e ignoranti che umiliano se stessi e il proprio Angelus.

venerdì 25 ottobre 2013

Il saluto surgelato dell'uomo dei surgelati


Oh là! Tenevo il blog nel freezer in attesa di scongelarlo e di tornare a scrivere.
Se non scrivo è perché ho troppo da dire. Siccome, ora, non ho nulla da dire scrivo qualcosa.

Per andare dal tabaccaio c'è una sola strada. Una strada piccola, senza importanza che sbuca su un'altra strada un po' più lunga ma ugualmente senza importanza.
Comunque per andare a prendere (comprare) le sigarette passo SEMPRE davanti ad un negozio di surgelati.
Il proprietario, anche lui trippone e tabagista, è quasi sempre sull'uscio perché il suo negozio è quasi sempre vuoto. Ho notato una cosa non strana e nemmeno singolare.
Siccome la zona è piccola ci conosciamo un po' tutti. Lui sa chi è mia madre che va a fare acquisti da lui ogni tanto.
Se mia madre ci va il lunedì mattina e io ci passo davanti il lunedì pomeriggio, mi fa un saluto entusiastico con tanto di occhiolino.
Il martedì mi saluta cordiale.
Il mercoledì mi saluta, ma senza sorridere.
Il giovedì mi saluta a stento.
Il venerdì fa finta di non vedermi.
Il sabato rientra nel negozio per non salutarmi.
La domenica è chiuso e il lunedì ricomincia la stessa musica sopra descritta.
In pratica lui mi saluta quando rappresento il figlio di una che compra da lui. Per lui esisto solo come figlio di una cliente. Se la cliente non si fa vedere, io non sono nessuno.
Lunedì prossimo ci passo davanti con una spesa di surgelati fatta in un altro negozio.
Voglio una reazione. Spero che mi spari.