lunedì 31 dicembre 2012

Quest'anno niente bilancio del 2012, liberarsi delle zavorre e solo Petrarca a salvare il tutto


No, quest’anno niente bilancio.
L’anno scorso dedicai un post che riassumeva il 2011 bollandolo come anno di merda. Quest’anno no, chissenestrafrega.
Il 2012 si chiude all’insegna del NON ME NE FOTTE PROPRIO UN CAZZO.
L’unica cosa importante è che parto per Bari per passare il capodanno con persone troppo grandi e simpatiche. E questo è eccezionale, segno che il 2013 potrebbe essere un anno propizio.
Poi a me sto 13 nell’anno mi fa simpatia. Son sicuro che sarà un anno pazzo e divertente.
L’unica cosa che vorrei dire, a parte le cazzate ispirate dall’anno nuovo che sta arrivando è questa: ma perché continuo sto rapporto che non porta da nessuna cazzo di parte?
Cioè ma e me che me ne impipa di quello che dici di quello che fai e pitipì e pitipà? Bò, va avanti con inerzia, per pigrizia, magari finirà tutto molto presto. Io mi faccio la mia schifo di vita, tu la tua che cazzo c’entriamo l’uno con l’altra?
Cioè che vuoi dimostrare? Niente. E bè, anch’io non ho niente da dire e da dimostrare.
Dice eh l’amicizia…l’amicizia? Ma che stracazzo me ne faccio dell’amicizia tua?
Non siamo amici, ma manco per il cazzo. Non m’interessa proprio. Tienitela pure. Io non ho bisogno di sentirmi normale perché coltivo rapporti interpersonali maturi e proficui con persone dell’altro sesso.
Ok, visto che non posso concludere il post in maniera così squallida mando in loop un Petrarca letto in questi giorni che m’è proprio piaciuto.
Buon capodanno a tutti e divertitevi.

Canzoniere, VII

La gola e ‘l somnno et l’otiose piume
ànno del mondo ogni vertù sbandita,
ond’è dal corso suo quasi smarrita
nostra natura vinta dal costume;

et è sì spento ogni benigno lume
del ciel, per cui s’informa humana vita,
che per cosa mirabile s’addita
chi vòl far d’Elicona nascer fiume.

Qual vaghezza di lauro, qual di mirto?
Povera et nuda vai philosophia,
dice la turba al vil guadagno intesa.

Pochi compagni avrai per l’altra via:
tanto ti prego più, gentile spirto,
non lassar la magnanima tua impresa.

martedì 18 dicembre 2012

Due pensieri dicembrini sui maestri ovvero il passo avanti di Mimmo e il passo indietro di Gorgia


Stasera voglio parlare di un maestro con cui ebbi un fugace incontro un po’ di tempo fa: il centenario Mimmo Repetto.
Ricordo che scrisse quattro pagine e mezza dove elencava tutto ciò che non sopportava, un catalogo immenso dove figuravano i vecchi, le generazioni successive, i giovani, i teppisti, i bambini capricciosi e autoreferenziali, i lavoratori e i disoccupati, i fidanzati, le fidanzate, quelli di ampie vedute, i giocatori di biliardo, i soprannomi, i gatti, i topi, le bevande analcoliche… ecc. ecc. ecc., in pratica in questo catalogo c’erano tutti e tutto.
Alla fine, Mimmo concludeva con un tocco di classe:
Non sopporto niente e nessuno.
Neanche me stesso. Soprattutto me stesso.
Solo una cosa sopporto.
La sfumatura.
Io rimasi incantato e dall’elenco e dal tono. Estasiato da tutto quel rifiutare (compreso se stesso) e dal lasciare come unica superstite la sfumatura.
Anni dopo, però, mi sono accorto che oltre a quello che odia Mimmo, oltre me stesso, io odio anche la sfumatura. Soprattutto la sfumatura.

Passiamo ad Atene e a tre personaggi che sono nati, cresciuti e che hanno “costruito” la società ateniese (ed ellenica): Gorgia, Socrate e Platone.
Gorgia è il sofista, il professorone che parla per ore e ore, parla così tanto che tu dopo un po' non sai più dove vada a parare né che cazzo voglia dire. Hai perso il filo del discorso e quando, alla fine della lezione, vedi tutto il numeroso pubblico applaudire beato e sorridente ti senti male. Quando Gorgia si sposta di città in città, non gli manca mai il codazzo di gente adorante che pende dalle sue labbra.
Socrate è il popolano ironico e intelligente che lo interrompe di continuo con le domande e pretende che il discorso proceda a piccoli passi, senza ammorbare le palle con lunghi discorsi. Vuole capire per bene ciò di cui si parla e non ha paura di porre tutte le domande che la discussione suscita.
Platone è colui che con maestria ed eleganza ci racconta e tramanda il tutto.
Come stanno le cose nella società odierna?
Mi pare di scorgere tantissimi Gorgia più o meno interessanti, ma noto anche la mortifera mancanza dei Socrate e l'assenza quasi totale di un Platone.

lunedì 17 dicembre 2012

La sconosciuta


Dall’esperienza della lettura delle poesie di Aleksandr Blok ho deciso di condividere quella che più ha incatenato la mia anima.
L’incatenamento di una poesia consiste nel fatto che la leggi e la rileggi e la rileggi e la rileggi ancora provando ogni volta lo stesso piacere.
La dedico a tutti gli amici che si sentono nuvole azzurre e che amano i prati di fuoco.

Nelle serate sopra i ristoranti
l’aria infocata è selvatica e sorda,
e governa i clamori degli ubriachi
lo spirito pernicioso della primavera.

Lontano, sulla polvere dei vicoli,
sul tedio delle ville suburbane,
s’indora la ciambella d’un fornaio,
ed echeggia un pianto di bambini.

Ed ogni sera, dietro le barriere,
con il tubino sulle ventitré,
passeggiano tra i borri con le dame
esperti bontemponi.

Sopra il lago scricchiano gli scalmi,
ed echeggia uno strillo femminile,
mentre, abituato ad ogni cosa, in cielo
stupidamente il disco si corruga.

Ed ogni sera l’unico mio amico
si riverbera nel mio bicchiere
e dall’acerbo e misterioso liquido
è, come me, sottomesso e stordito,

mentre daccanto, ai tavoli vicini
sonnacchiosi lacchè stanno impalati,
e gli ubriachi dagli occhi di conigli
si affannano a gridare “In vino veritas!”.

Ed ogni sera, all’ora stabilita
(oppure è questo solamente un sogno?),
una fanciulla inguainata di seta
nella finestra nebbiosa si muove.

Lentamente, passando fra gli ubriachi,
sempre senza compagni, sempre sola,
esalando caligine e profumi,
si va a sedere presso la finestra.

Ed effondono antiche credenze
le sue elastiche vesti di seta,
e il cappello con piume di lutto,
e la stretta mano inanellata.

Avvinto dalla vicinanza strana,
guardo di là dalla scura veletta,
e vedo una riva incantata
ed un’incantata lontananza.

Cupi arcani mi sono confidati,
un estraneo sole mi è commesso,
ed il vino acerbo ha penetrato
tutti i meandri dell’anima mia.

E le piume di struzzo inclinate
vacillano nel mio cervello,
e gli occhi azzurri senza fondo
fioriscono su una riva lontana.

Nella mia anima giace un tesoro,
la cui chiave è affidata solo a me!
Hai tutte le ragioni, mostro ubriaco!
Lo so bene: la verità è nel vino.

venerdì 14 dicembre 2012

Manifesto del futurismo


Sto leggendo il piccolo volume della collana Le domande della filosofia dedicato alla Violenza (La violenza è inevitabile?) e nell'apparato antologico che completa il libriccino c'è, tra gli altri, il Manifesto del futurismo di Marinetti.
Marinetti m'interessa, così come m'interessa il futurismo, ed è il motivo per cui lo pubblico nel blog.
Il tono è improntato all'esaltazione della violenza, della tecnologia, della guerra (definita la sola igiene del mondo), della velocità e dell'opera plasmatrice e dominatrice dell'uomo.
C'è, però, un punto oscuro che non riesco a derubricare come provocazione o come mero fatto estetico da studiare. Al punto 9 Marinetti, dopo aver celebrato le belle idee per cui si muore, scrive "disprezzo della donna".
Perché? Perché il fondatore del futurismo ha scritto una cosa simile? Uno potrebbe rispondermi che vabbè, ha scritto tante cazzate in questo manifesto, una più una meno, che cambia.
Sì, forse è vero, ma voglio cercare una risposta un po' più articolata. Cioè capisco che gli stessero sulle palle le femministe (come scrive al punto 10) perché quelle stanno sulle palle pure a me, ma scrivere "disprezzo della donna" è una cosa molto diversa.
Nel frattempo che cerco una risposta erudita e completa a questo quesito, godetevi il Manifesto del futurismo.

1. Noi vogliamo cantare l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà.

2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.

3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello dalla Vittoria di Samotracia.

5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

6. Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.

7. Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.

8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.

10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.

11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e di cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.

È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.

(F.T. Marinetti, Manifesto del Futurismo, in “Le Figaro”, 20 febbraio 1909)

giovedì 13 dicembre 2012

Amélie Nothomb e gli organi che deve possedere uno scrittore


Partiamo dal presupposto che non basta avere una buona penna per essere scrittori.
Cosa ci vuole, allora? Vediamo.
Innanzitutto ci vogliono i coglioni. E i coglioni di cui parlo non c’entrano col sesso. La prova è che anche certe scrittrici li hanno. Patricia Highsmith, per esempio.
I coglioni sono l’organo più importante dello scrittore. Senza coglioni, uno scrittore mette la sua penna al servizio della malafede. Per fare un esempio, prendiamo uno scrittore che abbia una buona penna, forniamogli di che scrivere. Se ha dei bei coglioni, ne verrà fuori Morte a credito. Senza coglioni, ne verrà fuori La nausea.
Volendo dare una schematica semplificazione possiamo dire che i coglioni sono la capacità di resistenza di un individuo alla malafede ambientale.
Come dire che quasi nessuno ha quel genere di coglioni. Quanto al numero di persone che hanno una buona penna e insieme quel tipo di coglioni, è infinitesimale. Per questo ci sono così pochi scrittori al mondo.
Oltre ai coglioni, allo scrittore serve un cazzo.
Il cazzo è la capacità di creazione. Rare sono le persone capaci di creare davvero. La maggior parte si accontenta di copiare i predecessori con talento variabile, predecessori che sono molto spesso a loro volta copiatori. Può succedere che una buona penna sia dotata di cazzo ma non di coglioni: Victor Hugo, per esempio. Mentre Céline aveva tutto: penna di genio, grossi coglioni, grosso cazzo e il resto.
Uno scrittore deve avere anche le labbra. Labbra che servono a chiudere la bocca. Le labbra hanno due ruoli. In primo luogo, fanno della parola un atto sensuale. Avete mai pensato a cosa sarebbe la parola senza le labbra? Sarebbe qualcosa di orribilmente freddo, di un’aridità senza sfumature, come i discorsi di un ufficiale giudiziario. Ma il secondo ruolo è ancora più importante: le labbra servono a chiudere la bocca su quanto non deve essere detto. Anche la mano ha le sue labbra, che impediscono di scrivere ciò che non si deve. È assolutamente indispensabile. Scrittori pieni di talento, di coglioni e di cazzo hanno guastato la loro opera per aver detto cose che non dovevano dire.
Bisogna chiarire che non si tratta di autocensura. Le cose da non dire non sono necessariamente le cose sporche, al contrario. Bisogna sempre raccontare le sporcizie che uno ha dentro: è sano, è allegro, è tonico. No, le cose da non dire sono di un altro ordine.
Ad uno scrittore occorrono anche l’orecchio e la mano.
L’orecchio è la cassa di risonanza delle labbra. È l’urlatoio interiore. Flaubert andava molto fiero del suo urlatoio, ma pensava davvero di essere creduto? Lo sapeva bene che è inutile urlare le parole: le parole urlano da sole. Basta ascoltarle dentro di sé.
La mano è per godere. È terribilmente importante. Se uno scrittore non gode, allora deve smettere subito. Scrivere senza godere è immorale. La scrittura porta in sé tutti i germi dell’immoralità. L’unica scusa dello scrittore è il suo godimento. Uno scrittore che non goda sarebbe indecente quanto uno stronzo che stuprasse una ragazza senza neanche godere, che stuprasse per stuprare, per fare un male gratuito.

martedì 11 dicembre 2012

La demoniaca ossessione di Vrubel'


Michail Aleksandrovic Vrubel’ esercitò un forte influsso sul poeta Aleksandr Blok e su altri simbolisti russi.
Bramoso di immagini mitiche e leggendarie da contrapporre al grigiore della realtà russa, sin dalla giovinezza Vrubel’ s’era invaghito del personaggio d’un poema di Lermontov, il Demone, e tutta la vita si tormentò a ritrarne l’effige in una serie di tele, acquerelli, bozzetti, con insistenza ossessiva. Questa ricerca affannosa ebbe culmine in due grandi quadri che affascinarono la fantasia dei simbolisti: Il Demone seduto del 1890, in cui il titano ribelle (estrema variante di eroi byroniani), corroso da una indomabile angoscia, affisa con occhi lucenti lo spazio, stagliandosi su uno scenario di rocce simili a gemme e di fiori fantastici, che compongono come un mosaico, e Il Demone precipitato del 1902, in cui giace scontorto ed arcigno fra le piume smaglianti delle ali schiantate e con un’ala confitta in un ghiacciaio, sullo sfondo dei picchi nevosi del Caucaso, immersi in un crepuscolo lilla. Vrubel’ espose questo quadro alla mostra del gruppo “Il mondo dell’arte”. Ma, perseguitato dalla parvenza del Demone, tornava a ritoccarla ogni giorno con crescente insoddisfazione, sempre più deformandone il corpo malconcio e il volto livido di rancore.
La sua ragione cominciò a ottenebrarsi.
Trascorse gli ultimi anni, cieco e demente, in un ospedale psichiatrico. La morte di Vrubel’, il 1° aprile 1910, fu per i simbolisti un oscuro indizio di rovina. Come la loro poesia, la creazione di questo pittore, tramata anch’essa di emblemi, di enigmi, di miti e visioni spettrali, esprimeva con allucinato fervore i dubbi, la ambasce, la torbida trepidezza dell’epoca.
Incantati dall’arte di Vrubel’, che sembra innestare l’austerità bizantina con gli ornamenti floreali dello “Jugendstil”, essi trasferirono nei propri versi, non solo il tema del Demone (che riappare d’altronde persino in Pasternak), ma anche la gelida gamma dei suoi colori, dominata dai toni violacei.

lunedì 10 dicembre 2012

Le cose che non ricordo mai


Non ricordo mai se i Promessi sposi sono una rottura di coglioni o se sono una rottura di coglioni tutti ‘sti sposi promessi.
Non ricordo mai se la sega è un modo per evitare i fastidi del sesso o se il sesso sia solo una fastidiosa sega a due.
Non ricordo mai se Gesù Cristo è stato crocifisso o se crocifissa è stata tutta l’umanità.
Non ricordo mai se sei stata una rompicoglioni e ora sei un’amica o se non sei un’amica ma solo una rompicoglioni.
Non ricordo mai se la Storia è maestra di vita o se i maestri di vita non servono a un cazzo.
Non ricordo mai se l’uomo è un re quando sogna e un mendicante quando pensa o se l’uomo è uno stronzo quando si pensa e non sogna.
Non ricordo mai se il cavallo ha paura della sua ombra o se la psicoanalisi è una truffa.
Non ricordo mai se non credevi nell’amore e negli uomini o se scopavi col primo che capitava.
Non ricordo mai se il lavoro nobilita l’uomo o se la vaselina è il prodotto più venduto al mondo.
Non ricordo mai se l’uomo è nato libero e ovunque è in catene o se le catene sono ovunque tranne che per i ricchi.
Non ricordo mai se il tramonto è qualcosa di romantico o se qualcosa di romantico tramonta presto.
Non ricordo mai se bisognerebbe cominciare ogni giornata leggendo poesie o se leggendo poesie si fa subito sera.
Non ricordo mai se mi piace viaggiare o se Fuga da Alcatraz mi ha bruciato il cervello.
Non ricordo mai se parlare con te mi fa stare bene o se sto bene perché hai smesso di parlarmi.
Non ricordo mai se mi piacciono le rivoluzioni e quindi sono un rivoluzionario o se sono un rivoluzionario perché non faccio un cazzo.
Non ricordo mai se predico bene e razzolo male o se razzolo male senza rompere i coglioni agli altri con le prediche.
Non ricordo mai se ho smesso di sognare o sognavo che finalmente avevo smesso.
Non ricordo mai se sei una cretina o se non ti piace Amici miei.
Non ricordo mai se l’amore è una cosa meravigliosa o se la solitudine è un fardello troppo pesante.
Non ricordo mai se la Rivoluzione francese è stata un grande evento o se abbiamo sostituito una casta odiosa con una casta davvero di merda.
Non ricordo mai se volevo diventare buddista per raggiungere il nirvana o se il culo della buddista era un qualcosa da raggiungere.
Non ricordo mai se sei una persona inutile o se è inutile avere a che fare con le persone.
Non ricordo mai se bisogna fare tanti soldi o se siete già morti e non ve ne siete accorti.
Non ricordo mai se il comunismo è fallito o se l’uomo quando inventò il primo utensile pensò a venderlo.
Non ricordo mai se sei del segno dei pesci ascendente cancro o semplicemente una zoccola.
Non ricordo mai se mi piace leggere Dostoevskij o se sia umanamente impossibile ubriacarsi tutti i giorni.
Non ricordo mai se eri una sognatrice, un’artista e una donna intelligente o se volevi solo sapere che lavoro facevo e che stipendio portavo a casa.
Non ricordo mai se capivi le mie parole, comprendevi i miei discorsi, condividevi la mia visione della vita e ti piaceva la mia ironia o se t’intrattenevo cinque minuti sulla panchina mentre aspettavi il tipo col suv.
Non ricordo mai se voi avete ragione e io torto o se voi siete nel giusto ma io me ne strafotto.
Non ricordo mai se è stato bello incontrarti o se con quei soldi mi potevo comprare un giaccone della madonna.
Non ricordo mai se eravamo insieme e tutto il resto del tempo l'ho scordato o se ho scordato solo il tempo che eravamo insieme.
Non ricordo mai se prima di fucilarti ti chiedono di esprimere l’ultimo desiderio o se il desiderio è proprio quello di essere fucilato.
Non ricordo mai se l’uomo è un figlio ribelle della Natura o se la Natura è una figlia di puttana contro cui è inutile ribellarsi.
Non ricordo mai se a volte ho una gran voglia di paternità o se il centro assistenza tarda a riparare la mia Playstation 3.
Non ricordo mai se voglio imparare la meditazione per scoprire un nuovo me stesso e rinnovare il mio sguardo sul mondo o se per mandarvi tutti affanculo non ho abbastanza soldi.

domenica 9 dicembre 2012

Non posseggo opere di Galimberti, non seguo Galimberti, ma oggi elogio Galimberti


Non ho libri di Umberto Galimberti, non mi sono mai occupato molto di lui ma ora questo non interessa.
Intendo invece parlare di una risposta data ieri da Galimberti a un lettore nella rubrica che il Nostro tiene sull’inserto di Repubblica, D. Ne parlo sempre con lo spirito di diffondere il più possibile la bellezza e la qualità che mi capita di trovare in giro.
A un lettore che ragionava sull’origine, lo sviluppo e l’evoluzione della mafia in Italia e che si chiedeva se fosse presente e potente al Nord come lo è (notoriamente) al Sud, Galimberti risponde con parole davvero belle e importanti concludendo, poi, con una riflessione su Roberto Saviano che ancora è attaccato da troppi figli di puttana ignoranti.
“Non so che importanza abbia stabilire se oggi c’è più mafia al Sud o al Nord”, scrive Galimberti.
“A mio parere la mafia è solo la punta dell’iceberg di una cultura tutta italiana, dove la struttura della parentela ancora prevale su quella della cittadinanza. Se per trovare un lavoro è necessaria una raccomandazione, se per un avanzamento in carriera bisogna dare qualcosa in cambio, magari anche solo la sottomissione e l’acquiescenza, se per vincere un concorso universitario o un primariato in un ospedale occorre avere un padrino, se un politico che vince le elezioni comunali, provinciali, regionali, sceglie gli uomini a cui affidare gli incarichi in base alla loro appartenenza, se la meritocrazia in Italia è una parola vuota, per cui i migliori sono costretti ad andare all’estero, se questo è il tessuto sociale di noi italiani, la mafia è tanto al Sud quanto al Nord, e pensare di estirparla senza aver prima modificato questo tessuto sociale che ci caratterizza è un’impresa impossibile.
La parola “famiglia”, come suole chiamarsi l’associazione mafiosa, riproduce esattamente quella struttura della parentela dove si privilegiano i figli, i nipoti e i conoscenti ai meritevoli. E così il Paese degrada non solo perché la mafia in senso proprio crea un’economia illegale e violenta che fa concorrenza a quella legale, ma perché, e forse soprattutto, non sono le persone più meritevoli e capaci quelle che ricoprono posizioni di potere, ma amici, parenti e conoscenti.”
Ben detto, mi pare un’analisi molto lucida al di là delle minchiate a sfondo razzista e ignoranti che leggo di solito. Concludo con le parole su Saviano.
“A proposito di Roberto Saviano si possono fare tutte le puntualizzazioni che si ritengono opportune, ma la cosa più importante è chiedersi se dobbiamo considerare “civile” un Paese che costringe un giovane scrittore a vivere segregato e scortato e quindi privato della sua libertà. E poi ci scandalizziamo se i musulmani hanno emesso una fatwa che prevede la condanna a morte del romanziere Salman Rushdie. La condizione di Saviano non è molto differente e questo va ricordato a quanti storcono il naso quando sentono i suoi discorsi. Così facendo concorrono a diradare il consenso intorno alla sua figura, che è poi la condizione più favorevole perché la mafia possa mandare a segno i suoi propositi.”

sabato 8 dicembre 2012

Nicla Vassallo ovvero scrivere cazzate su anobii

(sticazzi se metto una foto di Nicla Vassallo; meglio questa)

Su Venerdì di Repubblica di ieri c’è un articolo di Nicla Vassallo dedicato al sito di libri e lettori anobii.
È talmente pieno di scemenze, inesattezze, presunzione, snobismo e saccenteria che non so da dove cominciare.
Forse è una buona idea cominciare dall’inizio.
Già l’incipit dedicato ad una cosa che diceva la sua bisnonna altera, progressista e ottocentesca non lascia presagire nulla di buono: “Dei libri che leggerai, dovrai conservarne grande parte nella biblioteca privata, da non sfoggiare agli ospiti. Per evitare loro ogni imbarazzo”.
Eh? Sfoggiare? Che c’entra sfoggiare? io i libri penso solo a sistemarli come meglio posso, a spolverarli e a prendermene cura. Poi i posti quelli sono. Chi viene a casa mia se li vede: bene, se gli interessa commentare qualche libro o sfogliarlo per me va bene. Va pure bene se non gliene frega un cazzo a nessuno dei miei libri. Perché dovrei nasconderne qualcuno? E quali dovrei nascondere? E se poi nascondo un libro che poteva far nascere una bella discussione o stimolare la curiosità dell’ospite? Diciamolo, è un’idea che non sta né in cielo né in terra.
Di seguito Nicla ci tiene a far sapere che è assente dai social network. Non è presente né su Facebook né su Twitter. E allora? C’è ancora chi crede che stare sui social network sia da bimbominchia e, invece, il non starci sia sinonimo di intelligenza? Chi sta sui social network non è per forza un ritardato e chi non ci sta non vuol dire che sia un fine intellettuale. Dai, su, alziamo un po’ il livello della discussione per favore. Siamo nel terzo millennio, eh.
Poi Nicla fa notare che La Repubblica di Platone su anobii riceve un 3 su 5. Sì, ed è “normale”.
Un testo come La Repubblica di Platone non è fatto per essere né popolare né “ben voluto”. Da sempre la vera filosofia è così. La filosofia è spesso complessa e prende spesso posizioni impopolari, astruse al grande pubblico. Platone non è mica Kinsella, professoressa Vassallo.
Quando una filosofia diventa popolare, di moda, è sempre una cazzata. Almeno questa è la mia esperienza.
“Incerta la competenza degli Anobianii”, scrive Nicla. Incerta è una parola errata. Gli Anobianii sono lettori e quindi di sicuro parlando di libri, parlano di una cosa che conoscono bene o almeno sufficientemente bene. Ma poi scusate, dove e in che modo si prende questa certificazione di competenza? C’è qualche scuola che rilascia un certificato di “lettore competente”?
La competenza degli Anobianii è quella media che ci vuole per parlare di libri, ovvero diploma, laurea e grande esperienza in fatto di libri. E amore per la lettura, soprattutto.
O forse possono commentare i libri solo i professori universitari? Forse solo i professoroni hanno il diritto di esprimersi sui libri? E la libertà di espressione dove la mettiamo?
“Si narra che gli Anobianii si calino nel ruolo del bellimbusto letterario e “cucchino” esibendo numero di volumi: volumi letti, volumi non ancora iniziati, volumi in lettura, volumi in consultazione… Si classificano in maschi e femmine, dichiarando età e luogo di residenza: coordinate minimali, utili per rimorchiare nel mondo reale?”
Ma chi la narra ‘sta cazzata? Ma chi lo dice che chi sta su anobii lo fa per rimorchiare? È possibile che succeda e che ci sarebbe di male? E siamo sicuri che non siano semplicemente una minoranza?
Non mi pare un discorso né intelligente né, soprattutto, fondato su basi valide.
Ci sono, è vero, alcuni utenti che giocano a fare i superman della recensione e fanno i buffoni, ma sono sempre una minoranza. In generale, il servizio reso dagli Anobianii al mondo dei libri e della lettura è davvero molto buono.
Ho l’impressione che la Vassallo rimpianga i bei tempi dove di libri si parlava solo nei salotti dei borghesi radical chic. Forse le dà fastidio il fatto che grazie a internet la cultura possa diventare davvero popolare e non solo appannaggio dei cattedratici e dei loro lacchè.
Forse alla Vassallo dà fastidio che su anobii non se la fili nessuno, chi può dirlo?
Anobii è un bel sito. Dà la possibilità di scoprire tanti libri, di leggere magnifiche recensioni e perché no? anche di divertirsi e cazzeggiare.
Io devo ad Anobii la scoperta di libri che forse mai avrei conosciuto da solo: La scheggia di Zazubrin, Appunti di un guardiano notturno di Zinov’ev e molti moltissimi altri ancora.
Ho avuto, altresì, l’occasione di conoscere virtualmente molti lettori appassionati che mi hanno regalato emozioni e utili informazioni parlandomi della cosa che amiamo di più al mondo: i libri.
Torni nel suo mummifico mondo universitario, cara Vassallo, noi stiamo benissimo senza di lei.

venerdì 7 dicembre 2012

Mi piace entrare dal tabaccaio squillando un gioioso Buongiorno al cazz

E non finisce qui diceva un noto presentatore tv. E aveva ragione, purtroppo la merda che presentava durava ancora molte ore. E noi lì, ipnotizzati, incolpevoli, costretti dalle circostanze e dalla morte al gusto dei genitori.
Ho cominciato tre frasi con la congiunzione E, non si fa; è scorretto. Ma che volete, noi napoletani cominciamo spesso le frasi con la congiunzione. Congiungiamo le frasi come fossero la continuazione di discorsi sparsi al vento tra il mare e...e poi non mi ricordo più. Ricordo solo che la e è come un nodo che i pescatori fanno alle funi.
Domani smetto di fumare. Anzi, no.
Domani vado a correre. Anzi, no.
Domani mi cerco un lavoro. Anzi, no.
Questo è lo stile di Proust. Una sega continua un biscotto pucciato fatto cadere mamma puttana.
Starò lontano da Proust il più a lungo possibile, ma poi lo leggerò.
Io non sono come la maggioranza che ama le cazzate piccole e quotidiane, purché non siano impegnative. Io la cazzata la voglio insormontabile e tragica.
Oggi mi è capitato di pensare agli abbracci. Cioè di pensare all'abbraccio dal punto di vista teoretico perché in realtà l'abbraccio è bello e raro, se ti capita abbracci come ti viene non è che ti fermi a pensare e a considerare.
Nella rappresentazione grafica dell'abbraccio spesso si vede un solo volto. Non va bene. Spesso si vede lui che sormonta lei, mancanza di equilibrio. Non va bene.
Spesso c'è prevaricazione da parte di uno sull'altro, o si vede qualcuno che si abbandona mentre l'altro resta più razionale. Non va bene. Spesso vengono usati colori caldi...il color oro...che orrore. Per l'abbraccio ci vogliono colori di una lieta mestizia.
L'abbraccio dovrebbe essere fusione? No.
L'abbraccio dovrebbe essere incastro perfetto? No.
L'abbraccio dovrebbe essere intreccio? Forse sì.
Ho trovato una lunga frase su un vecchio block notes che mi sembra senza senso e non c'è scritto da dov'è presa. Non mi pare di averla scritta io. Purtroppo ora non trovo il block notes.
La donna è un fastidio necessario. Sicuro? No. Ma sei insicuro sul fastidio o sul necessario? Che ne so, però l'ho scampata bella amico mio.
Poi volevo fare una domanda a Lei: senta, Lei, ma se dicessi il cinema è merda non direi una cazzata? Secondo me sì. Perché se penso al cinepattone, il cinema è merda, ma se penso a Kubrick il cinema è arte. Ergo, bisogna sempre specificare, indicare luoghi e persone. Fare una mappa dettagliata e non una mappina di scemenze.
Lo so che Lei ha un pubblico che non pone domande che è lì unicamente per mostrare i meriti della pasta del Capitano e a imitare gli oranghi festosi, ma a tutto c'è un limite.
Concludo con un consiglio per i più giovani:

mercoledì 5 dicembre 2012

Tutta la roba che NON trovate in questo blog. Ripeto: NON la trovate, NON c'è.


Di seguito un breve elenco di quello che NON trovate in questo blog.
Ci siamo capiti? Sta roba che scrivo NON la trovate in questo blog.

La donna con la figa sprofondata
Scopate nel culo
Lesbiche porche
Video porno amatoriali a montale
Politici porno italiani
Wagner era superdotato?
Mi fanno schifo le lesbiche ma ho baciato la mia amica
Film hard super dotato monta le e anchrlui
Belle tette di donne zingare
Si fa mettere il pearcing alla figa
Ragazzi con pene fuori
Fantastiche lesbiche che si slinguano
Voglio baciare due ragazze sono lesbica?
Picasso porno
Uomini scopano bestie
I gay penetrati hanno gli istinti di cagare
Pisello nel culo fa troppo male
Il cazzo nel culo della femmina fa bene o no?
Donna scopata da fallo meccanico telecomandato
Dipingere con il membro
Fottere facendo il sessantanove
Vorrei sapere se ci sono video porno di ragazze lesbiche gratuiti
Video porno lesbico furioso
Chupate di minchia
Video di ragazze che mangiano cacca e poi si baciano
Pene secco

lunedì 3 dicembre 2012

Non siamo nè carne nè pesce. E che siamo? cetrioli del cazzo?


Situazione precedente: novità, brivido, curiosità, piacevolezze.

Situazione attuale: minestra riscaldata, solita solfa, nessun futuro, inutilità.

Consiglio della nonna: chiudere la porta agli zombie non serve, devi sparargli in testa.

Domanda alla nonna: e se lo zombie sei tu?

Esito: la nonna muore prima di poter rispondere.

Io penso: al cesso non si legge. chi legge al cesso si redima e si vergogni. al cesso ci si porta solo roba tipo la settimana enigmistica.

Quando uno non è prete, ovvero: è stupido non credere a quello che hai visto almeno una volta. se lo hai visto almeno una volta esiste.

Quando uno è prete: crede a dio ma non a babbo natale.

La quadriglia del filosofo: realista e pessimista vanno a braccetto così come vanno a braccetto sognatore e illuso.

Orrore in galleria: ho visto gente di una certa età, laureata, di una certa condizione economica e intellettuale, parlare della vittoria di Bersani come fosse una partita di calcio. Ho pensato: che infantilità e che miseria mentale.

Fiamme: scusa, ma che cazzo abbandoni a fare la chiesa e fai la tipa emancipata ed evoluta se poi entri nel PD e sei più oscurantista, demente e cacacazzo dei cattolici?

Peto della sera: il papa sbarca su twitter.

Chiudiamo con l'angolo Terzo Mondo: ma figurati se quel povero senegalese poteva mai dire una cosa che non fosse una stronzata.

Ciao e l'ultimo paghi da bere. A me.

domenica 2 dicembre 2012

Battiato, un irresistibile richiamo


Battiato ci ha preso un’altra volta, cazzo.
Ieri sera ho ascoltato la canzone Un irresistibile richiamo tratta dal suo ultimo album Apriti Sesamo. E sono dieci ore che l’ascolto quasi ininterrottamente.
Leggete qua che versi
Il tuo cuore è come una pietra coperta di muschio,
niente la corrompe.
Il tuo corpo è colonna di fuoco affinché
arda, e faccia ardere.
Un suono di campane
lontano, irresistibile, il richiamo
che invita alla preghiera del tramonto.
Gentile è lo specchio, guardo e vedo
che la mia anima ha un volto.
Comunque sabato su la Repubblica c’era un’intervista a Franco, riporto quello che io ho trovato interessante.
Innanzitutto i libri che il Maestro ha sulla scrivania. Li ho segnati sul quaderno sperando di riuscire a prenderli e a leggerli il prima possibile.
Urgyen Tulku, Dipinti d’arcobaleno – L’essenza del tantra
Lu-Tzu, Il mistero del fiore d’oro (definito nell’articolo “la bibbia del taoismo operativo”)
Dzogchen Ponlop, La mente oltre la morte
Willigis Jager, L’essenza della vita
Cominciamo con una definizione dell’arte e della musica.
“L’arte è cosa sublime. Non possiamo considerare la musica come una colonna sonora per amori spezzati. Un artista che si documenta e legge non fa altro che condividere le sue conoscenze. La musica è una lingua in codice che ha il potere di trasportarti in mondi che non hai mai conosciuto”.
Passiamo ora all’amore e all’innamoramento.
La prima goccia bianca che spavento
E che piacere strano
E un innamoramento senza senso
Per legge naturale a quell’età.
“Lei mi faceva tremare le gambe. Fu bello, perché finì lì. Un altro anno di quei tremblement mi avrebbero ucciso. So cosa vuol dire, ho provato quell’ebbrezza. Ma ora stiamo parlando dell’amore cosciente, quello che arriva dopo. Mai accettata l’idea dell’innamoramento come perpetuazione del malessere, quando nella coppia scattano i sadismi… È umiliante. No, no, da qui non passa”.
“La passione è una malattia, una zavorra che ci trascina verso il basso. Di amori veramente riusciti, a esser generosi, ce n’è uno su un miliardo. La cronaca ci parla quotidianamente di coglioni che credono di essere i proprietari dei genitali dell’altro. Non è questo che genera il femminicidio cui stiamo assistendo? Quanti uomini uccidono perché si sentono rifiutati? Vogliamo chiamarlo amore? Quell’uno su un miliardo si verifica quando due stature di altissimo livello si incontrano; allora non si litiga per un dentifricio, e il calo del desiderio non è la ragione sufficiente per una separazione. C’è un malinteso intorno all’amore e al sesso. Troppi credono che sia un sentimento che esplode in una forte tensione sessuale e dopo un po’ scema. Ma quella è un’infatuazione, un abbaglio. Anche l’orgasmo è un momento più complesso di una semplice eiaculazione, è la prova generale dell’abbandono del proprio ego”.
Chiudiamo con il ricordo di un momento esistenziale difficile nella vita e nella carriera di Battiato.
“Alla fine degli anni Sessanta mi mandarono al Disco per l’estate, sentii un senso di straniamento: che ci faccio qui? In mezzo alle Lise dagli occhi blu? Così cambiai direzione. Nel ’69 ero a Londra per acquistare un sintetizzatore Vcs3. Cambiai vita, abbracciai l’avanguardia. Non fu così semplice, uscivo da una profonda crisi esistenziale. Mi consigliarono uno psicoanalista. Fu la mia salvezza. Mi spiegò che non era nulla di grave, niente sedute, mi prescrisse dei farmaci. Scendendo le scale dello studio mi dissi: è quello che meriti, cretino, ti sei messo nelle mani di uno che non sa neanche chi sei. Ovviamente non comprai mai quelle pillole. Appallottolai la ricetta e la gettai nella spazzatura. E da selvaggio, in casa, mi distesi sul pavimento. Poco a poco scoprii che potevo indagare l’interiore. Quella sì fu un’esperienza fantastica”.

venerdì 30 novembre 2012

Madness ovvero ma lascia stare


Avete ascoltato Madness dei Muse? No? Peccato perché è davvero una grande canzone e se lo dico io ci potete credere. Quando io decreto la bellezza di una canzone o di una poesia o di un romanzo vi dovete fidare. Non mi sbaglio mai su queste cose. O in queste cose, non sono sicuro di come si dica.
Sono un esperto di cose belle e non vendo questa mia "conoscenza", la regalo. Quindi sono pure imparziale e disinteressato perché non mi entra mai niente in tasca a promuovere ciò che io trovo bello.
I, I can’t get this memories out of my mind,
it’s some kind of madness, it started to evolve
I, I tried so hard to let you go
But some kind of Madness is swallowing me whole.
I have finally realized
What you mean
Non mi sei mai uscita dal cervello. Ti penso continuamente. Ho provato a lasciarti andare, ma non ci sono riuscito. Anzi, non ho voluto. Il mio sentimento d'amore si ciba soprattutto di storie non concluse, di persone sbagliate e casini. E tu rappresenti tutto ciò alla perfezione.
And now, I need to know, is this real love?
Or is it just Madness keeping us afloat.
But when I look back at all the crazy fights we had
It was like some kind of Madness, was taking control.
And I have finally realized
What you need
Non era vero amore, era solo tutto figlio della confusione e della solitudine. Divina pazzia in comune. E non ti ho mai capito, non ti capisco, tu non sei fatta per me e mi piace tremendamente tutto ciò.
And I have finally seen the light
And I have finally realized
I need your Love
I need your Love
Come to me, just in a dream
Come on and rescue me

Yes I know, I can’t be wrong
And maybe I’m too headstrong
Our love is…
m-m-m-m-m-mad-mad-mad
m-m-m-m-m-mad-mad-mad
Madness
Sono in alto mare con te, sono un naufrago che manda affanculo l'unica nave che in due anni si presenta a prestarmi soccorso. Io NON voglio essere salvato. Io NON voglio capire, NON voglio essere saggio.
Io voglio solo...
Vieni da me, almeno in sogno
Vieni a salvarmi

giovedì 29 novembre 2012

L'abolizione del lavoro (2)


II lavoro si fa beffe della libertà. La linea ufficiale è che a tutti sono riconosciuti dei diritti, e che viviamo in una democrazia. Ma esistono individui meno fortunati che non sono così liberi come noi e vivono in Stati di polizia. Costoro sono delle vittime costrette ad eseguire continuamente ordini senza discussioni, per quanto essi possano essere arbitrari.
Le autorità li sorvegliano strettamente. I burocrati controllano anche i più piccoli dettagli della loro vita quotidiana. I funzionari che li comandano a bacchetta, rispondono solo ai loro diretti superiori, siano essi pubblici o privati. Il dissenso e la disobbedienza vengono entrambi repressi. Gli informatori riferiscono regolarmente alle autorità. Ovviamente tutto ciò rappresenta una situazione terrificante.
E così è, sebbene questa non sia altro che la descrizione di un moderno luogo di lavoro. I progressisti, i conservatori, e i libertari che si lamentano del totalitarismo sono falsi e ipocriti. C'è più libertà in una dittatura moderatamente destalinizzata di quanta ve n'è in America in un ordinario luogo di lavoro. In un ufficio o in una fabbrica trovi lo stesso genere di gerarchia o di disciplina proprio di una prigione o di un monastero. Infatti, come Foucault ed altri hanno
dimostrato, prigioni e fabbriche nascono all'incirca nello stesso periodo, e i loro gestori consapevolmente si scambiano fra loro le tecniche di controllo. Il lavoratore è uno schiavo parttime.
Il datore di lavoro decide quando bisogna comparire sul luogo di lavoro e quando bisogna andarsene, e cosa si deve fare in quel lasso di tempo. Ti dice quanto lavoro devi fare e a quale ritmo.
Ha la facoltà di spingere il suo controllo fino ad estremi umilianti, stabilendo, se lo desidera, quali vestiti devi indossare e quanto spesso puoi recarti al gabinetto. Con poche eccezioni può licenziarti per una ragione qualsiasi, o anche per nessuna. Può spiarti facendo uso di informatori ed ispettori, compila un dossier per ogni impiegato. L'atto di ribattere viene chiamato "disobbedienza", proprio come se il lavoratore fosse un bambino impertinente. Egli non solo può licenziarti, ma può anche farti perdere il diritto al sussidio di disoccupazione. Senza necessariamente avallare un tale atteggiamento in rapporto ai bambini stessi, è degno di nota che
a scuola e a casa essi ricevono lo stesso trattamento, giustificato nel loro caso da una supposta immaturità. E che cosa fa venire in mente tutto ciò riguardo i loro genitori o i loro insegnanti in quanto lavoratori?
Per decenni, e per la maggior parte delle loro vite, l'umiliante sistema di dominio che ho descritto regola più della metà del tempo che la maggior parte delle donne e la stragrande maggioranza degli uomini passano in stato di veglia. In rapporto a certi scopi non è troppo fuorviante chiamare il nostro sistema democrazia, oppure capitalismo, o meglio ancora industrialismo, ma i termini più appropriati sarebbero fascismo di fabbrica e oligarchia d'ufficio.
Chiunque dica che certe persone sono "libere" mente o è uno sciocco. Tu sei quello che fai: se fai un lavoro stupido, noioso, monotono, hai buone probabilità di diventare stupido, noioso e monotono. Il lavoro è la migliore spiegazione per il cretinismo servile da cui siamo circondati, ancor più dei pur potenti meccanismi di istupidimento rappresentati dalla televisione e dal sistema di istruzione. Gente irreggimentata per tutta la vita, sospinta al lavoro dalla scuola, rinchiusa nella famiglia all'inizio della loro vita e in una casa di cura alla fine, non può che essere assuefatta alla gerarchia e mentalmente schiava. Ogni attitudine all'autonomia risulta talmente atrofizzata che la paura della libertà è tra le poche fobie che in loro appaiono razionalmente fondate. L'addestramento alla dedizione verso il lavoro ha luogo nelle loro famiglie di provenienza, ma anche nell'ambito della politica, della cultura, e in ogni altro campo di attività, riproducendo così il sistema in più di una maniera.
Una volta che la vitalità della gente sia stata loro sottratta nell'ambito del lavoro, è molto probabile che costoro si sottometteranno alla gerarchia e agli specialisti in rapporto ad ogni altra attività. Ci sono abituati.
Siamo così immersi nel mondo del lavoro che non possiamo renderci completamente conto di quanto esso determini la nostra esistenza. Dobbiamo così affidarci ad osservatori esterni, prodotto di altre epoche e di altre culture, se vogliamo essere in grado di percepire i pericoli e il carattere patologico della nostra presente condizione. Nel nostro passato vi fu un'epoca in cui l' "etica del lavoro" sarebbe stata incomprensibile; e forse Weber era sulla strada giusta quando collegò la sua comparsa all'avvento di una nuova religione, il calvinismo, poiché se tale etica fosse comparsa oggi invece di 4 secoli fa sarebbe stata appropriatamente e immediatamente riconosciuta come il prodotto di una scelta.
Comunque stiano le cose, possiamo solo far ricorso alla saggezza degli antichi se vogliamo collocare il lavoro in una prospettiva storica: Gli antichi considerarono il lavoro per ciò che effettivamente è, ed il loro punto di vista prevalse, nonostante le eccentricità calviniste, fino a quando le loro idee non vennero cancellate dall'industrialismo, ma non prima di ricevere l'approvazione dei suoi stessi profeti.
Ammettiamo per un momento la falsità della tesi secondo la quale il lavoro riduce l'uomo ad una condizione di insensata sottomissione. Ammettiamo pure, a dispetto di ogni plausibile visione della psicologia umana e dell'ideologia degli imbonitori, che il lavoro non abbia alcun effetto sulla formazione del carattere. E conveniamo ancora che il lavoro non sia così noioso, faticoso e umiliante come tutti ben sappiamo esso sia nella realtà.
Anche se così fosse, la realtà del lavoro mostrerebbe ancora quanto siano derisorie tutte le prospettive a carattere umanistico e democraticistico ad esso connesse, e ciò proprio in quanto esso usurpa una parte così rilevante del nostro tempo. Socrate disse che i lavoratori manuali diventano dei cattivi amici e pessimi cittadini, e ciò in quanto non dispongono del tempo necessario all'adempimento dei doveri inerenti all'amicizia e alla cittadinanza. Aveva perfettamente ragione. A causa del lavoro, qualunque cosa facciamo la facciamo guardando l'orologio. Ciò che è "libero" nel cosiddetto tempo libero, è nient'altro che un insieme di attività paralavorative che oltre tutto non costano nulla al padrone. Infatti, il tempo libero è dedicato soprattutto a prepararsi al lavoro, a recarsi al lavoro, a tornare dal lavoro, a riposarsi dal lavoro. Il tempo libero è un eufemismo che allude al particolare carattere del lavoro come fattore di produzione, costituito dal fatto che esso non solo provvede a sue spese al proprio trasporto al e dal posto di lavoro, ma si assume l'onere principale per quanto concerne la propria manutenzione e la relativa messa a punto. Il carbone e l'acciaio questo non lo fanno. Il tornio e la macchina da scrivere neppure. Mentre i lavoratori sì. Nessuna meraviglia se Edward G. Robinson in uno dei suoi film di gangster proclama: "Il lavoro è per gli imbecilli!".
Sia Platone che Senofonte attribuiscono a Socrate - ed ovviamente siamo d'accordo con lui - una profonda consapevolezza circa gli effetti distruttivi del lavoro sul lavoratore, sia in quanto cittadino che come essere umano. Erodoto considerava il disprezzo per il lavoro come un tratto caratteristico della Grecia classica al culmine della sua fioritura. Traendo dalla civiltà romana un solo esempio, osserviamo che Cicerone affermava: "Chiunque offra il suo lavoro in cambio di
denaro vende se stesso, e pone sé medesimo nel novero degli schiavi". Oggigiorno una tale franchezza è molto rara, ma le attuali società primitive, quelle che noi guardiamo dall'alto in basso, ci mandano messaggi che hanno influenzato gli antropologi occidentali. I Kapauku della Nuova Guinea occidentale, secondo Posposil, hanno una concezione equilibrata della vita, e coerentemente ad essa lavorano solo a giorni alterni, essendo il giorno del riposo destinato "a riguadagnare il potere perduto e la salute".
I nostri antenati, ancora alla fine del XVIII secolo, quando già si erano inoltrati lungo il cammino che porta alla nostra triste situazione attuale, almeno erano consapevoli di ciò che noi abbiamo dimenticato, cioè del lato oscuro dell'industrializzazione.
La loro osservanza riguardo il "Santo Lunedì" - cioè la pratica de facto
della settimana di cinque giorni 150-200 anni prima della sua instaurazione per legge - era la disperazione dei primi proprie-tari di industria. Fu necessario molto tempo prima che essi accettassero la tirannia della sirena, strumento che precede l'orologio a sveglia. Infatti fu necessario per un paio di generazioni sostituire gli adulti maschi con donne abituate all'obbedienza, e bambini che potevano essere plasmati secondo le necessità della produzione industriale. Perfino i contadini sfruttati nell'ancien regime riuscivano a strappare una considerevole quantità di tempo ai proprietari terrieri. Secondo Lafargue, un quarto del calendario dei contadini francesi era dedicato alle domeniche e ad altre festività, e le cifre, desunte da Chayanov relative a villaggi della Russia zarista, che è arduo qualificare come società progressista, mostrano analogamente che i contadini dedicavano al riposo un quarto o un quinto dei loro giorni.
In rapporto al livello di produttività siamo ovviamente molto indietro rispetto a queste società arretrate. I mugiki sfruttati sarebbero molto stupiti del fatto che vi sia ancora qualcuno di noi che lavori.
E noi dovremmo condividere tale stupore.
Comunque, al fine di comprendere pienamente la profondità del deterioramento della nostra condizione consideriamo ora la vita dell'umanità primitiva, senza stato e proprietà, quando conducevano un'esistenza errabonda come cacciatori e raccoglitori. Hobbes presume che la loro vita fosse pericolosa, brutale e breve.
Anche altri sostengono che allora la vita fosse una lotta continua e disperata per la sopravvivenza, una guerra contro una Natura ostile, con la morte e ogni genere di sventure in agguato per i meno fortunati, o per chiunque si fosse rivelato inadatto
alla sfida posta dalla lotta per l'esistenza. In realtà tale idea rappresenta nient'altro che una proiezione del timore diffuso nell'Inghilterra di Hobbes ai tempi della Guerra Civile, e proprio di comunità non abituate a fare a meno dell'autorità, riguardo un possibile crollo della struttura dello Stato. I connazionali di Hobbes avevano già incontrato forme alternative di società che
mostravano altri modi di vita - particolarmente in Nord America - ma queste erano
già troppo lontane dalla loro esperienza per essere comprensibili. (I ceti inferiori, più vicini alle condizioni degli Indiani, potevano comprendere meglio questo modo di esistenza e spesso ne furono attratti: durante tutto il XVII secolo i coloni inglesi abbandonarono il loro mondo unendosi alle tribù indiane, oppure quando vennero catturati in guerra, rifiutarono di tornare. Mentre gli indiani non si rifugiavano presso gli insediamenti dei bianchi, non più di quanto i tedeschi saltassero il muro di Berlino da ovest verso est). Il darwinismo, nella versione "della sopravvivenza del più adatto" - cioè quella di Thomas Huxley - costituisce più una fedele immagine delle condizioni economiche dell'Inghilterra vittoriana di quanto fosse della selezione naturale, come l'anarchico Kropotkin dimostrò nel suo libro Il Mutuo Appoggio, un fattore dell'evoluzione. (Kropotkin fu uno scienziato - un geografo - che ebbe modo, del tutto involontariamente, di sperimentare a fondo il lavoro dei campi quando venne esiliato in Siberia: sapeva di cosa stava parlando). Come la maggior parte delle teorie sociali politiche, ciò che Hobbes e i suoi successori hanno raccontato appare null'altro che qualcosa di simile ad una autobiografia non autorizzata. L'antropologo Marshall Sahlins, studiando i dati disponibili sugli attuali cacciatori-raccoglitori, confutò il mito hobbesiano in un articolo intitolato "L'originaria società dell'abbondanza". Infatti, essi lavorano molto meno di noi, ed è difficile distinguere il loro lavoro da ciò che noi chiamiamo gioco. Sahlins conclude che "cacciatori e raccoglitori lavorano meno di noi; la ricerca del cibo, invece di essere un lavoro continuo, è un'attività saltuaria mentre dispongono di molto tempo da dedicare al riposo, e la quantità di tempo consacrata al sonno da ciascun individuo nel corso di un anno è molto maggiore che in qualsiasi altro tipo di società".

mercoledì 28 novembre 2012

L'abolizione del lavoro (1)


Nessuno dovrebbe mai lavorare.
Il lavoro è la fonte di quasi tutte le miserie del mondo.
Quasi tutti i mali che si possono enumerare traggono origine dal lavoro o dal fatto che si vive in un mondo finalizzato al lavoro. Per eliminare questa tortura, dobbiamo abolire il lavoro.
Questo non significa che si debba porre fine ad ogni attività produttiva.
Ciò vuol dire invece creare un nuovo stile di vita fondato sul gioco; in altre parole, compiere una rivoluzione ludica. Nel termine "gioco" includo anche i concetti di festa, creatività, socialità, convivialità, e forse anche arte.
Per quanto i giochi a carattere infantile siano già di per sé apprezzabili, i giochi possibili sono molti di più. Propongo un'avventura collettiva nella felicità generalizzata, in un'esuberanza libera ed interdipendente. Il gioco non è un'attività passiva. Indubbiamente noi tutti necessitiamo di dedicare tempo alla pigrizia e all'inattività assolute molto più di quanto facciamo ora, e ciò senza doversi preoccupare del reddito e dell'occupazione; ma è anche vero che, una volta superato lo stato di prostrazione determinato dal lavoro, pressoché ognuno desidererebbe svolgere una vita attiva. L'oblomovismo e lo stakanovismo sono due facce di una stessa moneta falsa. La vita ludica è totalmente incompatibile con la realtà attuale. E allora tanto peggio per la "realtà", questo buco nero che succhia la residua vitalità da quel poco che ancora distingue la nostra vita nella semplice sopravvivenza.
E strano - o forse non tanto - che tutte le vecchie ideologie appaiano conservatrici, e ciò proprio in quanto tutte danno credito al lavoro. Per alcune di esse, come il marxismo, e la maggior parte delle varianti dell'anarchismo, la loro fede nel lavoro appare tanto più salda in quanto non vi è molto d'altro cui esse prestino fede.
I progressisti dicono che dovremmo abolire le discriminazioni sul lavoro. Io dico che dovremmo abolire il lavoro. I conservatori appoggiano le leggi sul diritto al lavoro. Allo stesso modo dell'ostinato genero di Karl Marx, Paul Lafargue, io sostengo il diritto alla pigrizia. La sinistra è a favore della piena occupazione. Come i surrealisti - a parte il fatto che sto parlando seriamente - io sono a favore della piena disoccupazione.
I trotskisti diffondono l'idea di una rivoluzione permanente. Io quella di una baldoria permanente. Ma se tutti gli ideologi, così come accade, sono a favore del lavoro - e non solo perché hanno in mente di far fare ad altri la parte di esso che loro compete - tuttavia sono stranamente riluttanti ad ammetterlo. Continuano a disquisire all'infinito su salari, orari, condizioni di lavoro, sfruttamento, produttività e profitto.
Parleranno volentieri di qualunque argomento tranne che del lavoro stesso. Questi esperti, che sempre si offrono di pensare per noi, raramente ci renderanno partecipi delle loro conclusioni riguardo al lavoro, e ciò malgrado il rilievo che esso assume nella vita di noi tutti. Fra di loro arzigogolano sui dettagli. Sindacati ed imprenditori concordano sul fatto che sia necessario vendere tempo della nostra vita in cambio della sopravvivenza, benché poi contrattino sul prezzo.
I marxisti pensano che dovremmo essere diretti dai burocrati. I "libertari" da uomini d'affari. Le femministe non si pongono il problema di quale forma debba assumere la subordinazione, purché i dirigenti siano donne. Chiaramente questi mercanti di ideologie mostrano un notevole disaccordo su come dividersi le spoglie del potere. Ma è ancora più chiaro che nessuno di loro ha nulla da obiettare sul potere in quanto tale, e che tutti costoro vogliono che noi si continui a lavorare.
Forse vi state chiedendo se stia scherzando o parlando seriamente. L'uno e l'altro. Essere ludici non significa essere incongruenti. Il gioco non è necessariamente un'attività frivola, ancorché l'essere frivoli non significhi essere superficiali: molte volte è necessario prendere seriamente ciò che appare frivolo. Vorrei che la vita fosse un gioco, ma che la posta in gioco fosse alta. Vorrei continuare a giocare per sempre.
L'alternativa al lavoro non è solo l'ozio. Essere ludici non è essere fancazzisti. Sebbene ritenga molto apprezzabile il piacere del sonnecchiare, questo non è mai così appagante come quando fa da pausa rispetto ad altri piaceri e distrazioni. E non sto nemmeno esaltando quella valvola di sfogo comandata a tempo chiamata "tempo libero": lungi da me. Il tempo libero è un nonlavoro, che esiste in funzione del lavoro. Il tempo libero è tempo impiegato a ristabilirsi dagli effetti del lavoro, non è altro che il tentativo frenetico e frustrante di dimenticare il lavoro.
Molta gente torna dalle vacanze talmente spossata, che non vede l'ora di tornare al lavoro per potersi finalmente riposare. La principale differenza tra il lavoro e il tempo libero è che al lavoro in fin dei conti sei pagato per la tua alienazione e per il logoramento dei tuoi nervi.
Non sto proponendo astratti giochi di parole. Quando affermo che voglio abolire il lavoro, intendo dire esattamente quello che sto dicendo, ma ora voglio chiarire la questione definendone i termini in modo non emotivo. La mia definizione minima di lavoro è quella di lavoro forzato, cioè, produzione obbligatoria. Entrambi gli elementi sono essenziali. Il lavoro è produzione imposta attraverso strumenti economici e politici, cioè col metodo del bastone e della carota.
(La carota è la continuazione del bastone con altri mezzi). Ma non ogni produzione è lavoro. Il lavoro non è mai un'attività fine a se stessa, ma è sempre svolto in vista di una certa produzione o risultato che il lavoratore (o, più spesso, qualcun altro) trae da esso. Questo è ciò che il lavoro necessariamente rappresenta. Definirlo significa disprezzarlo. Ma il lavoro è di solito molto peggio di quanto esprima la sua definizione.
La dinamica del dominio intrinseca al lavoro lo spinge nel corso del tempo lungo un percorso evolutivo. Nelle società avanzate basate sul lavoro, e quindi in tutte le società industriali, sia capitaliste che "comuniste", il lavoro invariabilmente acquisisce ulteriori connotati che ne accentuano il carattere ripugnante.
Di solito — e questo è ancor più vero nei paesi "comunisti" che in quelli capitalisti, in quanto in essi lo Stato è praticamente l'unico datore di lavoro e ognuno è lavoratore dipendente — il lavoro è lavoro subordinato, vale a dire lavoro salariato, ciò che significa vendersi a rate. Così il 95% degli americani che lavorano, lavora per qualcun altro (o qualcos'altro). In Russia, a Cuba, in
Jugoslavia, o in qualsiasi altra situazione del genere a cui si voglia far riferimento, la percentuale corrispondente si avvicina al 100%. Solo le fortezze contadine sotto assedio costituite dai Paesi agricoli del Terzo Mondo — cioè Messico, India, Brasile, Turchia — difenderanno ancora per qualche tempo l'esistenza di forti concentrazioni di agricoltori che perpetuano la condizione tradizionale, comune alla maggior parte dei lavoratori negli ultimi millenni, cioè il pagamento di tasse (= riscatto) allo Stato o dell'affitto a proprietari terrieri parassitari, in cambio della semplice possibilità di vivere in pace. Ma ora anche un patto così brutale comincia ad apparire accettabile. Ora tutti i lavoratori dell'industria (e negli uffici) sono salariati e sottoposti ad un tipo di sorveglianza che ne assicura il servilismo.
Ma il lavoro moderno implica conseguenze ancora peggiori. La gente non lavora in senso proprio, ma svolge delle "mansioni". Ognuno svolge continuamente una sola mansione produttiva in forma coercitiva. Anche nel caso in cui il lavoro presenta un certo interesse intrinseco (carattere sempre meno presente in molte occupazioni) la monotonia derivante da tale coercizione all'esclusività elimina il suo potenziale ludico. Una "mansione" che, qualora venisse svolta per il piacere che ne deriva, impegnerebbe le energie di alcune persone per un lasso di tempo ragionevolmente limitato, si tramuta invece in un peso per coloro che la devono svolgere per 40 ore la settimana, senza poter dire nulla su come dovrebbe essere svolta, e questo per il profitto dei proprietari, i quali non contribuiscono affatto al progetto, e senza nessuna opportunità di dividere i compiti e di distribuire il lavoro fra quelli che effettivamente lo devono compiere.
Questa è la realtà del mondo del lavoro: un mondo di confusione burocratica, di molestie e discriminazioni sessuali, di capi ottusi che sfruttano e tiranneggiano i loro subordinati i quali — secondo ogni criterio tecnico razionale — sarebbero in realtà nella posizione di decidere da soli. Ma nel mondo reale il capitalismo subordina l'aumento razionale della produttività e del surplus alla propria esigenza di tenere sotto controllo l'organizzazione della produzione.
Il senso di degradazione che molti lavoratori sperimentano sul lavoro deriva da un insieme assortito di prevaricazioni, le quali possono essere tutte riassunte nel termine "disciplina".
Nell'analisi di Foucault tale fenomeno appare piuttosto complesso, mentre in realtà esso risulta essere abbastanza semplice. La disciplina consiste nell'insieme di quei sistemi di controllo totalitari che vengono applicati sul posto di lavoro — sorveglianza, lavoro ripetitivo, imposizione di ritmi di lavoro, quote di produzione, cartellini da timbrare all'entrata e all'uscita —.
La disciplina è ciò che la fabbrica, l'ufficio e il negozio condividono con la prigione, la scuola e il manicomio. Storicamente questo sistema risulta essere qualcosa di originale e terrificante. Un tale risultato va al di là delle possibilità di demoniaci dittatori del passato quali Nerone, Gengis Khan, o Ivan il Terribile.
Nonostante le loro peggiori intenzioni, essi non disponevano di macchine atte a un controllo dei loro sudditi così capillare quanto quello attuato dai despoti
moderni. La disciplina è un diabolico modo di controllo tipicamente moderno, è un corpo estraneo prima d'ora mai visto, e che deve essere espulso alla prima occasione.
Tale è la natura del "lavoro". Mentre il gioco è esattamente il suo opposto. Il gioco è sempre deliberato. Ciò che altrimenti sarebbe gioco si tramuta in lavoro quando diviene un'attività coercitiva. Questo è lampante. Bernie de Koven ha definito il gioco come "la sospensione della consequenzialità". Tale definizione è inaccettabile se implica che il gioco non sia un'attività conseguente. La questione non è se il gioco sia privo di conseguenze. Affermare ciò significa svilire il gioco. Il fatto è che le conseguenze, quando ci sono, hanno il carattere della gratuità. Il giocare e il donare sono attività fortemente correlate, sono aspetti comportamentali e transazionali relativi ad uno stesso impulso, l'istinto del gioco. Condividono lo stesso aristocratico disprezzo per i risultati. Il giocatore vuole ottenere qualcosa dal gioco; questo è il motivo che lo spinge a giocare. Ma la ricompensa essenziale sta nell'esperire quella stessa attività, qualunque essa sia.
Uno studioso del gioco altrimenti avvertito, quale è stato Johan Huizinga (Homo ludens), definisce il gioco come un'attività retta da regole. Per quanto io nutra rispetto per l'erudizione di Huizinga, respingo energicamente una tale limitazione. Esistono, è vero, numerosi e ottimi giochi (scacchi, baseball, monopoli, bridge) che seguono regole ben precise. Tuttavia l'attività ludica comprende molto di più che il gioco normato. La conversazione, il sesso, il ballo, i viaggi — queste attività non seguono regole ma sono sicuramente dei giochi, se mai ne esiste qualcuno —.
E delle regole ci si può prender gioco facilmente, come di qualsiasi altra cosa.

lunedì 26 novembre 2012

CSI NAPOLI!!!


Ci siamo recati sulla scena del delitto.
Il cadavere di una giove donna dall’apparente età di venticinque anni giaceva sul pavimento di una casa elegantemente arredata, situata in uno dei quartieri più in di Napoli.
Abbiamo esaminato porte e finestre in cerca di segni d’effrazione.
Abbiamo rilevato le impronte.
Abbiamo controllato gioielli e argenteria che erano al loro posto, escludendo così la rapina.
Abbiamo scattato un considerevole numero di fotografie al cadavere e molte altre foto sono state fatte agli schizzi di sangue alle pareti.
Il medico legale, dopo aver preso la temperatura del fegato, ci ha riferito che la donna poteva essere stata uccisa tra la mezzanotte e le due.
Abbiamo interrogato i vicini per sapere se avessero sentito qualcosa.
Abbiamo requisito il computer per analizzarne il contenuto.
Abbiamo requisito il cellulare per leggere i messaggi e verificare il traffico telefonico.
Abbiamo, altresì, requisito l’agenda in cerca di nomi numeri telefonici e appuntamenti.
Abbiamo convocato il fidanzato della vittima in centrale per interrogarlo e per verificare l’alibi.
Abbiamo convocato anche l’ex fidanzato per interrogarlo e per vedere se aveva un alibi.
L’anatomopatologo ha eseguito un’accurata autopsia e fatto numerose analisi tra cui quelle tossicologiche.
Abbiamo parlato con i genitori e gli amici più stretti della vittima per sapere di più sulla sua vita.
In laboratorio abbiamo analizzato al microscopio le sostanze trovate sotto le unghie della vittima.
Abbiamo poi analizzato le sostanze che si trovavano sotto le scarpe di un vicino della vittima.
Abbiamo prelevato campioni di dna all’ex fidanzato, a un vicino e a un garzone che consegna le pizze nel palazzo della vittima.
Abbiamo analizzato il proiettile trovato nel corpo della vittima.
Con due manichini che costano 5.000 euro l’uno abbiamo eseguito delle prove balistiche con l’ausilio del laser.
Abbiamo interrogato la proprietaria di un night club di Napoli dove la vittima si esibiva come spogliarellista di nascosto del fidanzato e dei genitori.
Abbiamo interrogato un noto malavitoso che frequenta abitualmente il locale.
Abbiamo eseguito indagini bancarie per verificare la situazione finanziaria della vittima.
Abbiamo interrogato la migliore amica della vittima in cerca di scheletri dell’armadio che potessero darci una pista.
Abbiamo visionato il contenuto delle registrazioni delle telecamere della zona dove abitava la vittima.

E sapete cosa abbiamo scoperto?



MANC’‘O CAZZ’

domenica 25 novembre 2012

Ho votato alle primarie


Stamattina sono andato a votare per le Primarie del centrosinistra.
Certo che centrosinistra fa cacare come cosa, avrei preferito votare per le Primarie della Sinistra e basta. Ma tant’è. Del resto siamo un popolo un po’ coglione, che se non vede il “centro” in politica poi ha paura degli estremismi. Ha paura della destra e della sinistra e allora vai coi preti coi casini e coi pompini olè.
Comunque sono andato a votare. Perché? Non lo so.
Di sicuro non sono andato perché la partigiana Carla con gli occhi rossi di pianto mi disse che “tanti ragazzi sono morti per questo straccio di democrazia, non dimenticatelo mai e andate sempre a votare o vengo a tiravi per i capelli la notte anche dopo che sono morta”.
No, non è per questo. Non sono neanche andato perché mi piace votare, perché per me il voto è sacro o perché è la mia liturgia invece di quella stronzata arteriosclerotica della messa.
Nessuno di questi motivi.
In realtà non lo so, anche perché di sicuro non voterò il PD o altri partiti di centrosinistra.
Ho votato Vendola, ma anche in questo caso mica so perché.
Cioè non avrei mai votato Bersani vecchio arnese politico, che vota le cacate di Monti e tutto mi pare tranne che una persona di sinistra. Renzi? Hahahhahahahahahahahahahaha ma mai nella vita! Ogni volta che parla pare sempre pronto a piazzarmi un set di pentole. Poi tu fai il sindaco? E finisci il mandato e non rompere i coglioni! Fammi vedere che sai fare lì e poi ti presenti.
Tabacci e Puppato no comment.
Come vedi, caro il mio gianduiotto cremoso che leggi, votare alle primarie è un’azione senza perché e dai moventi oscuri e sconosciuti. È un voto inconsapevole. È un voto che rappresenta il non so perché voto e non so perché voto proprio quello lì. È un atto pregno di minchia di cane.
È un po’ come la vita.


p.s. come la vedete mia madre che voleva dire a quelli del seggio che c'era un errore perché c'era scritto vendola e non ventola?

venerdì 23 novembre 2012

Differenza tra il mi piace di facebook e il mi piace della vita reale

Capita su facebook di mettere pure 20-30 mi piace al giorno. Su facebook il “mi piace” è la puttana del sito. Clicchi mi piace con estrema facilità.
Nella vita reale, invece, il “mi piace” è molto raro. Mi riferisco al “mi piace” vero, profondo, importante non certo il “mi piace la fottuta cioccolata bianca”.
Almeno per quanto mi riguarda il “mi piace” riferito a una donna è veramente un evento eccezionale. Spesso di una donna dico è carina; oppure è bella (spesso il “bella” lo uso in maniera direi asettica…sì, lo so, non è molto chiaro ma è così); oppure è bona; oppure ammazza che trojjone.
Ma “mi piace” non capita quasi mai. Davvero.
Cioè quando la ragazza mi piace, succede qualcosa di strano. È come se fosse composta da tanti piccoli pezzettini che mi piacciono che messi insieme formano la ragazza che mi piace.
E mi piacciono i suoi capelli. Mi piacciono più corti e mi piacciono ancora di più quando sono lunghi.
Mi piacciono i suoi occhi. Scuri, luminosi, profondi, allegri, tristi. Che sembrano sempre velare un sentimento nascosto.
Mi piacciono le sue labbra. Sottili. Sensuali. Che bacerei per giorni.
Mi piace il suo sorriso. A volte così aperto, a volte infantile, a volte come se provenisse da un altro mondo, a volte come se non riuscisse a nascondere un dolore o un impaccio.
Mi piacciono le sue mani. Quando le tiene in grembo e quando le agita mentre parla.
Mi piace la sua voce. Mi piace da impazzire e mi manca molto. Muoio senza sentire la sua voce; anche se per poco tempo. È bella la sua voce. Quando parla è come se costruisse un letto di rose su cui vorresti adagiarti per godere della sua melodia.
Mi piace come cammina.
Mi piacciono i suoi seni. Mi piace il suo culo. Mi piacciono le sue gambe. Mi piace il suo sesso. Ah che voglia di starle tra le gambe e leccare all’infinito.
Mi piace quando scherza, quando non mi capisce. Mi piace quando è violenta.
Mi piace quando esita. Mi piacciono le sue convinzioni e le sue insicurezze.
Mi piace quando mi parla dei suoi gusti.
Mi piace. Mi piace tutta, mi piace tutto.
Sono fottuto e niente ci posso fare.

giovedì 22 novembre 2012

Tranvata farmacia Mistero lavanderia Sicurezza salumeria


Stamattina, aggirandomi per il corso di una cittadina della provincia di Napoli, ho visto su una vetrina di una lavanderia il seguente cartello appiccicato: PIUMONI PAGAMENTO ANTICIPATO. Era l'unico cartello appeso e mi ha incuriosito. Mi sono affacciato per vedere il dentro del negozio e sotto l'immagine di Gesù Cristo (quella classica dove si vede un CRISTO! capelli castani, carnagione chiara, pizzetto e occhi azzurri) c'era lo stesso cartello con gli stessi caratteri cubitali: PIUMONI PAGAMENTO ANTICIPATO.
Perché questa specificazione ripetuta riguardante i piumoni? Che significa? Forse la gente li porta in tintoria e poi non li ritira più? Forse il negoziante non li sa lavare e se li fa pagare prima perché poi nella lavatrice si distruggono? Chi lo sa; il mistero è fitto.
Nel pomeriggio poi sono andato in farmacia perché il dentista mi aveva consigliato un dentifricio elettrico per pulire meglio i denti.
Entro, faccio vedere il modello del depliant e la farmacista gentilmente me lo porge.
"Quant'è?", chiedo innocentemente.
"170 euro", fa lei, "però con lo sconto fa 165".
ahahhahahahahhahahahahahahahah me stavo a collassà!!! Ho cominciato a ridere semi isterico e la commessa rideva appresso a me. Non la finivamo più. Alla fine ho ringraziato e ho preso una stecca di liquirizia in omaggio.
Dopo la farmacia sono andato in salumeria per prendere una confezione di caffè.
Bella la salumeria, con tutte quelle leccornie, gli odori che provengono dal bancone dei salumi e dei formaggi. Illuminata, le confezioni allegre e colorate dei biscotti, delle patatine, delle caramelle...si torna bambini in certi negozi.
Comunque sono andato alla cassa e insieme al caffè ho pagato pure un tronky che mi sono sgranocchiato sulla via del ritorno.
Poi bò? ho ricevuto un'inaspettata richiesta d'amicizia su facebook e ho accettato.
Perché ho accettato? Perchè mi faceva piacere.

martedì 20 novembre 2012

Alla frase "che Dio li protegga" mi sono girati i coglioni


La guerra (l’ennesima) tra Israele e Palestina scatena reazioni da tifosi di calcio.
Leggo ovunque espressioni come: Forza Israele! Arabi di merda!
Forza Palestina! Sionisti bastardi!
È, questa, una reazione che non mi piace e che trovo pure abbastanza stupida e volgare.
La situazione, a grandi linee, è chiara. Dalla fine del XIX secolo gli ebrei decisero che volevano indietro la Palestina e cominciarono a occuparla. Dopo la Seconda guerra mondiale non hanno fatto altro che incrementare questa occupazione.
La Palestina è un po’ come il Tibet; un piccolo popolo attaccato da uno grande e di cui nessuno se ne fotte un cazzo a livello internazionale.
Quando hai contro Cina e Usa che vuoi fare? Il famoso diritto internazionale non esiste più, o meglio esiste solo il diritto del più forte. Esistono l’ipocrisia, la prepotenza, la violenza, i soprusi e le porcate.
Io chiuderei le ambasciate israeliane per protesta, così da ridefinire il concetto e lo status dell’espressione “Stati canaglia”.
Comunque stamattina un tizio ha scritto: “Dei miei amici sono stati mandati come riservisti a Gaza; che Dio li protegga”.
Uhm.
Capisco la preoccupazione per gli amici, ma che c’entra Dio?
Cioè scusate non faceva prima Dio a non far scoppiare proprio la guerra?
Oppure: come potrebbe Dio proteggere dei riservisti israeliani quando non ha protetto dei bambini palestinesi che sono morti sotto le bombe?
Sarebbe un Dio veramente strano se dovesse proteggere dei militari e non dei bambini. Non credete?
Secondo il mio modesto parere, l’idea di Dio è semplicemente nociva. Lo dico agli ebrei fissati con Dio e agli arabi imparanoiati con Allah.
Non sarebbe meglio eliminare questa idea di Dio così malsana?
Non è questa idea tremendamente pericolosa nelle mani di gente falsa ipocrita e corrotta e nelle menti della gentarella che si fa manipolare e che con questa idea di Dio nel cervello non capirà mai le cose, non crescerà mai e mai migliorerà?
Pensiamoci.

domenica 18 novembre 2012

il mio spirito è diventato insofferente ovvero oggi ho preso due librerie ikea così i miei libri saranno più ordinati e io più felice


Perché vai all'Ikea?
Perché si risparmia. Io non tengo i soldi fuori la sacca; al contrario.
Non ti fa schifo andare all'Ikea?
Sì.
Hai letto che usavano prigionieri politici della Germania Est per fare i mobili?
Sì.
Hai letto quanto fanno schifo dal punto di vista del trattamento dei lavoratori?
Sì.
Sai che all'origine di ogni fortuna economica c'è un crimine?
Sì.
Che librerie hai preso?
Il nome non me lo ricordo, però sono semplici. Poi ho preso pure due mensole aggiuntive e due ferma libro per la mensola. In totale ho speso 100 euro, sono andato bene dai.
Faccio pure notare che il peso totale era di 80 kg e le ho portate su tutto da solo.
Questo non interessa.
Hai mangiato il salmone, vero?
L'ho mangiato.
Che banale che sei...non solo vai all'Ikea per risparmiare, non solo ci vai di domenica ma quando sei lì mangi pure il salmone.
Non ho mai detto di non essere banale, anzi. Lo confesso: sono banalissimo.
Che poi che c'entra lo "spirito insofferente"?
Ah, giusto!
Ho notato che sto odiando i discorsi confusi, i discorsi ibridi, i discorsi ipocriti e tutti quelli dove non si capisce un cazzo.
Odio i discorsi indefiniti. C'ho preso proprio una ripugnanza mondiale.
Quando parla un politico, per esempio, mi sale un odio indicibile.
Bè, ma è sano.
Sì è sano, ma mi girano veramente i coglioni.
Poi, dico io, uno o fa un discorso letterario o poetico o filosofico o psicoanalitico...io ascolto tutto e tutti solo i confusi mi fanno sclerare. Cioè parla pure, ma fatti capire porcoddeo! Annuso la truffa, la furbizia e non ce la faccio.
Cioè Céline fa Céline, Nietzsche fa Nietzsche, Leopardi fa Leopardi e cazzo! poi può piacere o no, essere d'accordo o no, ma almeno il discorso è chiaro, ha una direzione.
E che miseria!
Va bene, va bene ora rilassati che stai stanco e domani ti aspetta una luuuunga giornata.
Vero.
So che hai già deciso come consolarti...me lo dici?
No, fottiti. Ciao.

venerdì 16 novembre 2012

Mi sono sbattezzato


Ho deciso di sbattezzarmi.
Stamattina ho compilato il modulo che ho scaricato dal sito UAAR, ho fatto la fotocopia della carta d’identità e poi ho spedito il tutto tramite raccomandata A/R (5 euro li mortacci loro) al parroco della parrocchia dove i miei genitori mi battezzarono senza chiedermi niente ormai più di trent’anni fa.
Era una cosa da fare perché io non appartengo a nessuna chiesa, tantomeno quella cattolica, e non sono neanche religioso.
Alla fine la religione cos’è? A quale campo appartiene? Potremmo dire a quello spirituale, dico giusto? Ebbene, io il mio spirito me lo coltivo da me e non ho bisogno della religione. Ho la filosofia, la letteratura, la poesie, l’arte…la religione non mi interessa. Al massimo posso leggere vangeli e altre menate semplicemente per curiosità e per cultura.
Non li leggo certo perché credo o per avere delle risposte. Figuriamoci.
Dice eh vabbè, ma la morale l’etica l’educazione…bè, io tutte queste cose le ho imparate da mia madre e da mio nonno in campagna. Il mio spirito si è formato in campagna, tra gli animali, gli alberi, i fiori, la voliera del nonno dove lui mi parlava in maniera tanto genuina e dolce. Coi preti mai ci ho avuto a che fare.
Quando m’iscrissero al corso per la prima comunione mi ricordo solo di un tipo che ci faceva ridere da morire, delle parole della catechista bò? Parole a vuoto.
Poi io non mi sento rappresentato né dalla gerarchia ecclesiastica né dal papa che a volte spara delle cazzate immani. Quando dice delle cose giuste è perché dice banalità su cui possono essere d’accordo gli uomini dotati di ragione. Quindi è la ragione importante, non il Credo.
È importante che vi sbattezziate se non siete cattolici, se non andate a messa e se non credete perché altrimenti i clericali diranno sempre che hanno il gregge pieno di milioni di pecore e invece no, col cazzo, a me non mi dovete contare.
Poi, scusate, mettiamoci un attimo nell’ottica cattolica quando si crepa. Io non voglio né il paradiso, né l’inferno, né il purgatorio. Io voglio stare al castello del limbo dove ci sono Platone, Atistotele e tutti gli altri amici. Se poi, come credo, non fossi degno di entrare al maniero vuol dire che mi attenderò vicino al castello, sull’erba e lì starò per l’eternità sperando di poter entrare ogni tanto per fare due chiacchiere con i filosofi.

giovedì 15 novembre 2012

Indovinello


Ecco un indovinello proprio carino.
Dalle seguenti definizioni si deve indovinare di quale categoria di persone si sta parlando.
Pronti? E via!

- Tangheri addottrinati che inquinano la tazza della mente.
- Melliflui chiacchieroni che rimpiangono tempi che non hanno mai vissuto.
- Che amano le ammuffite librerie indipendenti e i librai invadenti.
- Che se gli chiedi: Qual è la cosa che apprezzi di più in una donna? rispondono: L’intelligenza...
- ...e per questo hanno grossi problemi a rimorchiare
- ...e preferiscono stare a casa a rileggere Infinite Jest.

mercoledì 14 novembre 2012

Oggi è sciopero

Bene, bene, oggi c'è lo sciopero dei dilettanti.
Voi ominidi scioperate per 4 ore, qualcuno più coraggioso addirittura per 8...io sono in sciopero da ben 289089 ore; ergo, tutti voi dello sciopero istituzionalizzato e cretino non potete farmi altro che una colossale pippa.
Sciopero è una parola nobile, ma voi tutto fate tranne che uno sciopero.
Ormai lo sciopero è diventato una buffonata, una carnevalata, una GIORNATA, addirittura una giornata europea! ma andate a cacare voi e le vostre giornate da mentecatti. Come ieri...la giornata mondiale della gentilezza!!! ahahhahahahahahahha ma andate a dar via il culo bucaioli!
Lo sciopero odierno serve a divertire i brufolosi cheguevariani liceali, alla presenza assenza ci siamo ma non serviamo dei sindacati, a far sfogare le rabbie represse dei poliziotti, ecc. ma in realtà non serve a un cazzo.
Primo perché non vi partecipano tutti, ma solo i ragazzi per non andare a scuola e quelli con le pezze al culo.
Ma quello che mi irrita davvero è il fattore temporale. Porca troia, uno sciopero deve durare giorni, settimane, mettere sul banco questioni importanti e non mollare finché non si hanno riscontri e risultati veri.
Invece questi scioperano qualche oretta...ahahhahahahaha ma a che serve?
Cioè che cazzo concludete con questo sciopero mignon? Fate una giornatina diversa, una scampagnata? vi piace cantare qualche slogan prima di tornare alla merda?
Non so, ma mi sembra tutto così mediocre.
Poi, per cosa scioperate? Per avere il lavoro? per i soldi? ma così non si va da nessuna parte. Un sistema fondato su lavoro e soldi non potrà essere altro che una chiavica, quindi è inutile.
O scioperate per abolire soldi e lavoro oppure levatevi dal cazzo.

martedì 13 novembre 2012

Razzi


Nel volume Il mio cuore messo a nudo sono raccolti alcuni scritti postumi di Baudelaire. La prima parte è intitolata Razzi e stamattina l’ho riletta per l’ennesima volta. In questi giorni mi sento azzurro come una poesia russa del Novecento e infatti sto leggendo Blok che piace anche all’Adorabile Etrusca, ma di lui parlerò in un altro post perché voglio ancora degustarmelo per bene.
I primi pensieri che mi hanno colpito sono stati quelli sull’amore:
L’amore è il gusto della prostituzione. Non c’è anzi piacere nobile che non possa essere ricollegato alla Prostituzione.
L’amore può derivare da un sentimento generoso: il gusto della prostituzione; ma è corrotto ben presto dal gusto della proprietà.
Subito dopo segue una coerente (e meravigliosa) definizione dell’arte:
Che cos’è l’arte? Prostituzione.
Poi Charles ha scritto una cosa proprio per me, nel senso che è un pensiero che io sento completamente affine:
L’entusiasmo applicato ad altro che alle astrazioni è sintomo di debolezza e malattia.
Una breve nota sul “naturale linguaggio artistico” umano:
Cielo tragico. Epiteto d’ordine astratto applicato a un essere materiale.
Quest’altro pensiero dovrei stamparlo e metterlo alla parete sopra il mio giaciglio:
La vita ha un solo vero fascino; il fascino del Gioco. Ma se vincere o perdere ci è indifferente?
Ecco. Io sono completamente indifferente a questo gioco. Che me ne frega a me di concorrere con i miserabili per le loro stronzate? Non sono uno snob, ma sono nato così.
Andiamo un attimo al porto:
Quelle belle e grandi navi, impercettibilmente cullate (dondolanti) sulle acque tranquille, quelle navi robuste, dall’aria sfaccendata e nostalgica, non ci dicono forse in una lingua muta: Quando partiamo per la felicità?
Una stoccata a Victor Hugo:
Hugo-Sacerdozio ha sempre la fronte china; - troppo china per poter vedere qualcosa di diverso dal proprio ombelico.
E concludiamo con un pensiero sull’uomo e il Progresso, un argomento che spesso mi prende e mi porta via. È un pensiero bicorne. Da una parte penso che l’uomo non sia cambiato dai tempi delle caverne e che mai cambierà. Dall’altra parte mi è rimasto impresso un passo del Libro delle previsioni che Saramago appose a Le intermittenze della morte: Sapremo sempre meno che cos’è un essere umano.
Lascio la parola a Charles e ritorno da Aleksandr, Heinrich e altri.
Che c’è di più assurdo del Progresso, dato che l’uomo, come il fatto quotidiano dimostra, è sempre simile e uguale all’uomo, ossia sempre allo stato selvaggio. Che cosa sono i pericoli della foresta e della prateria in confronto agli urti e ai conflitti quotidiani della civiltà? Che l’uomo catturi la propria vittima sul Boulevard, o che trafigga la preda in foreste sconosciute, non è forse l’uomo eterno, cioè il più perfetto animale da preda?