sabato 23 novembre 2013

San Giorgio e il drago ovvero l'essenza del teatro


Quei due, nemici da sempre, si fronteggiano ostili, posti eternamente di profilo. San Giorgio e il drago si fissano negli occhi, pronti all’attacco. Sarebbe meglio dire il drago e san Giorgio, perché il drago si trova sulla sinistra del quadro come fosse entrato in scena dalla quinta della cornice e non dalla grotta stilizzata che s’intravvede sul fondo. San Giorgio campeggia nella parte destra e non dà l’impressione, pur essendo a cavallo, di essere arrivato in quell’istante con l’intenzione di sconfiggere il drago. Ha l’aria di essere sempre stato lì. È il drago che entra in scena, il cavaliere lo aspetta da tempo ed è pronto a ucciderlo ficcandogli la lancia nella gola fiammeggiante. I due personaggi, anzi tre con il cavallo, sono dipinti con la precisione maniacale dei miniaturisti, mentre il paesaggio è accennato con tratti approssimativi in modo da somigliare al fondale di una scenografia teatrali. Tutti i quadri che ho visto con san Giorgio e il drago, così mi sembra di ricordare, hanno lo stesso schema compositivo. Cambiano i colori, gli sfondi e i particolari. Il drago può avere forme fantasiose, può anche essere fornito di ali palesemente inadeguate al volo, ma si trova inevitabilmente in basso rispetto al cavaliere. Deve dare l’idea di un mostro partorito dalla terra, per quanto grande e alato è costretto a strisciare. Invece l’uccisore del drago è con bella evidenza figlio dell’aria. Anche se incarnato e umanizzato nonché bisognoso di cavalcatura per i suoi spostamenti, è imparentato con gli angeli. Forse è stato calato sulla scena per mezzo di corde e carrucole. Il cavallo ha la fissità rampante dei suoi simili messi alla gogna nelle giostre. Anche la lancia, anche l’armatura, anche il pennacchio sul cimiero evocano la giostra, quella che si fa per gioco nelle piazze dei paesi reinventando un ingenuo medioevo da figurine Liebig. Il dragone verde ormai non fa paura neppure ai bambini. Dunque san Giorgio e il drago non sono che personaggi araldici, senza carne, visti solamente di profilo. Ritagliati in un lamierino di ferro e appesi a un angolo di strada, potrebbero diventare l’insegna di una trattoria o di un vecchio albergo in una cittadina di provincia. Ora ci vuole una musica d’organetto o di violino dal ritmo un po’ ossessivo sostenuto da un tamburino scordato. Ecco, ci siamo inventati il nostro teatrino. Per trasformare san Giorgio e il drago da emblema colorato in personaggi a tutto tondo basta un colpo di luce radente. Adesso drago cavallo e cavaliere fremono di vita, la lancia sta per scendere nelle fauci spalancate della bestia, tra un attimo si concluderà l’antico dramma e calerà il sipario.
Ma prima, cosa è successo prima? Intendo prima dell’arrivo miracoloso dell’argenteo cavaliere. Per centinaia di anni il drago è rimasto solo sulla scena. Immaginiamolo dunque nell’aspro paesaggio, il nostro drago, perplesso e solitario. Si porta addosso il fetore del proprio sterco e della propria orina che soffoca la grotta abitata per secoli. Egli non può accoppiarsi e riprodursi perché su tutta la terra non esiste una femmina della sua specie. Forse per questa sua condizione di unico sopravvissuto di una razza antichissima, è costretto all’immortalità. E questa è la sua maledizione, la sua condanna. Ogni anno, nel giorno stabilito, gli tocca divorare la vergine che gli abitanti del paese portano in dono vestita dell’abito più bello. Per loro è una festa, per il drago un terribile sacrificio. Un sacrificio inutile, tra l’altro, perché gli uomini non sanno, o fanno finta di non sapere, che ormai da molto tempo la stirpe dei draghi è sconfitta, e che i mostri non costituiscono più un pericolo per l’umanità. Fuori della grotta ci sono scarpine, cinture, brandelli di vestiti, collane spezzate, specchietti che lentamente la polvere cancella. Quando arriverà il cavaliere dalla lunga lancia acuminata? Lo vedrò avvicinarsi, ci fisseremo per alcuni secondi: leggerà nei miei occhi la disperazione, il desiderio di farla finita? Capirà che spalancherò le fauci non per terrorizzarlo con le fiamme ma per facilitare l’introduzione della lancia in gola – ultima comunione – giù fino al cuore? Sarà spaventato, tremerà, la sua giovine fronte sarà gelata di sudore, ma a un certo punto prevarrà la sete di gloria. La vanità, non il coraggio, gli darà la forza di spronare la cavalcatura e buttarsi in avanti. Per qualche istante saremo uniti da quel ferro sottile, io il cavallo e il cavaliere, a formare il più singolare degli organismi viventi, poi per me verrà finalmente quella morte dolcissima, tante volte sognata.
San Giorgio e il drago: due personaggi che si incontrano su un palcoscenico, l’uccisore e la vittima, l’uomo e la bestia, l’anima e il corpo, Jekyll & Hide, il giorno e la notte, il maschio e la femmina che in coppia danzano spruzzando dalla bocca gocce di saliva e parole.
San Giorgio e il drago sono il teatro. Tutto il teatro.

(Tonino Conte, L'amato bene)

giovedì 21 novembre 2013

Un illegale imperituro


Oggi mi è venuta voglia di sparare a delle anatre. Così, di punto in bianco.
Ho cominciato a pensare a cosa avrei dovuto fare: la richiesta per il porto d’armi, l’acquisto di un fucile e pure trovare un posto pieno di anatre perché in realtà nella mia zona non c’è manco una cazzo di anatra. Quanta fatica, quanta burocrazia e chissà quanti soldi dovrei spendere, ho pensato.
Allora, sul divano, ho chiuso gli occhi e ho sparato alle anatre con la fantasia. Però o non le centravo oppure, quando le colpivo, non provavo nessuna soddisfazione perché erano uccelli troppo gracili.
Ho virato le mie fantasie su degli enormi avvoltoi come li ricordavo in alcuni cartoni animati e sì che godevo quando li colpivo. PUA’! un grosso proiettile esplosivo centrava il pennuto ed esso esplodeva con grande spargimento di sangue membra e piume che schizzavano da tutte le parti. Mi piacciono i proiettili esplosivi. I proiettili esplosivi sono quei proiettili che entrano nel corpo dell’obiettivo, non lo trapassano, e una volta dentro PUA’! esplodono come bombe creando un macello meraviglioso perché sanguinolento.
Poi sono uscito, sono andato alla posta. Mentre mi recavo lì ho pensato, ma non riesco a ricordare cosa. È una sensazione scocciante: so benissimo di aver pensato, ma non ricordo cosa.
Alla posta la solita storia, quelle facce di cazzo degli impiegati che forniscono un servizio pessimo e quei vecchi di merda più gli ignoranti abissali che per fare un’operazione impiegano quaranta minuti di orologio. Li odio, li odio veramente tutti.
L’unica novità è che nell’ufficio ho visto Maonicao. Il nome è Monica, ma da noi si pronuncia Maonicao. Non abbiamo mai avuto rapporti (per fortuna), non abbiamo avuto mai niente da dirci (per fortuna) e anche oggi è stato così (per fortuna). Son diciassette anni che è così (per fortuna).
Dopo la posta son tornato a casa, ho perso tempo, ho mangiato e per evitare di collassare sul divano che poi sto male, sono uscito a fare due passi.
Il cielo era grigio, sul tempestoso. Ma non mi ha fatto nessun effetto particolare. Il mare sì, invece. Quando è così grigio e agitato, mi mette sempre una strana sensazione addosso. C’era pure un vento fottuto. Ho camminato un bel po’, poi mi son seduto su una panchina e ho letto il brevissimo e bello Elogio di Carmelo Bene scritto da Giancarlo Dotto. Finita la lettura son tornato a casa e non ricordo né cosa ho fatto né cosa ho pensato.
Domani parlerò dell’Elogio e dopodomani parlerò del concetto di “sentenza suicida”. Poi verrà la domenica e chissà, magari parto per l’Uruguay.

mercoledì 20 novembre 2013

Perché votare PD? Lista (non esaustiva) di motivi che spero vi convinceranno


1. Perché sono un giovane che ha degli amici che vanno alla Festa dell'Unità per ballare, mangiare il panino con la salsiccia e bere birra e io per non rimanere solo e isolato mi adeguo.
2. Perché sono un vecchio che frequenta il circolo PD del mio paese per incontrare altri vecchi come me per giocare a carte. Se non votiamo PD, i soldi finiscono e ci tolgono anche la sede. E poi che facciamo, dove andiamo?
3. Perché sono uno che ha la pensione d'oro grazie al clientelismo creato da partiti come il PD. Li voto per riconoscenza e per mantenere la pensione.
4. Perché lavoro in RAI grazie agli amici del PD e so che finché voterò partiti come il PD la RAI sarà sempre la cara e munifica "Mamma RAI" con tanti posti e stipendi per gli amici elettori.
5. Perché lavoro con le coop rosse e votare PD mi assicura appalti affari ecc. Viva il PD!
6. Perché sono un corrotto e votando il PD son sicuro che sulla corruzione faranno sempre e solo leggi farsa. Lascio un saluto per Penati, ciao!
7. Perché sono un corruttore e ha già detto tutto il mio collega corrotto.
8. Perché sono una persona che lavora alla *mettete il nome di una società qualunque* di Roma dove papà mi ha fatto entrare grazie agli amici del PD.
9. Perché Civati è un rivoluzionario! (ahahhahahahahahahhahahahahahahahahhahahahahahahahahhahahahahahahahahahhahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahhahahahahahahhahahahahahahahah)
10. Perché hanno difeso la Cancellieri che è una brava persona che non fa favoritismi e telefonate per i Ligresti.
11. Perché hanno cacciato la Idem dimostrando grande durezza e dignità e non è vero che l'hanno cacciata perché non contava un cazzo e non aveva amicizie importanti.
12. Perché sono di destra e voto Renzi.
13. Perché non governeranno mai con Berlusconi.
14. Perché Alessandra Moretti è bona.
15. Perché Letta è carismatico.
16. Perché il PD non si fa comandare da Napolitano.
17. Perché Cuperlo mi pare tanto il nuovo Gramsci.
18. Perché la TAV è un'opera necessaria importante e vitale per l'economia del nostro Paese.
19. Perché con la tessera del PD rinnovata io e la mia famiglia possiamo fare un giro gratis sugli F40.
20. Perché il PD è un partito con orizzonti aperti e di mentalità flessibile. Riesce a passare da un appoggio convinto a Monti per 16 mesi a Monti cretino il giorno dopo.
21. Perché sono dadaisti in quanto riescono a fare la campagna elettorale contro le leggi e i provvedimenti che loro stessi han votato alla Camera e al Senato poco tempo prima.
22. Perché il PD sforna leader a ripetizione. Ogni anno un nome, ogni anno un leader. Franceschini Fassino Veltroni Bersani. Come fai a non votare un partito, una fucina di tal meraviglia?
23. Perché sono di sinistra. (ahahahahahhahahahahahahahahahahahahahahahahahahahhahahaahahhahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahhaahahahahhahaahahahahhaahahahhaahahahhahahaahahhahahahaha)
24. Perché sono un mafioso massone piduista e voglio stare tranquillo.
25. Perché sono azionista del Monte dei Paschi di Siena.
26. Perché il PD vuole bene a noi amici delle slot machine.
27. Perché poi parte Canzone popolare di Ivano Fossati e ci abbracciamo stretti stretti cantando sotto la pioggia.
28. Perché mio padre mio nonno la bandiera rossa e tàttà tottò gnàgnà gnògnò.

martedì 19 novembre 2013

Ho paura di Beckett


Ho cercato sul vocabolario “fobia” e “paura” per vedere un po’ le differenze che potevano sussistere tra questi due termini. In realtà cercavo un pretesto per usare il termine d’origine greca “fobia” per darmi un tono, visto che usare “paura” mi ripugna in maniera direi ancestrale.
Alla fine ho deciso di arrendermi, di non farla tanto lunga e confessare schiettamente: ho paura di Beckett.
Il fatto è che oggi ho ripreso in mano Aspettando Godot. Sono arrivato quasi alla fine del primo atto e poi ho chiuso il libro.
Non so che pensare. Prima mi si affollano nella mente tante, troppe considerazioni e suggestioni e il momento dopo buio completo.
Ho una paura fottuta di toppare la comprensione dell’opera.
Beckett riesce ad essere profondo e lieve contemporaneamente. È questo che mi frega.
Se ti muovi con la pesantezza del grande ermeneuta rischi di fare la figura del coglione che non ha colto l’assurdità del testo.
Se ti muovi con la levità dell’uomo di mondo letterario rischi di fare la figura dell’imbecille che non ha capito la complessità del testo. E allora ti capita di fare la fine dell’asino di Buridano.
Il fatto è che Beckett ha troppi strati, strati su strati con un insondabile substrato e un incomprensibile sostrato.
Che ne so io da dove partite, quale strada prendere...l'assurdo (che sarebbe comunque un termine da approfondire soprattutto per la sua applicazione al contesto teatrale)? l'esistenzialismo? una critica della società? il nichilismo? la depressione? Basta sbagliare la partenza e tutto il percorso diventa una sequela di scemenze.
Chiaramente l’unica via d’uscita sarebbe quella di leggere qualcosa su di lui scritta da un commentatore di comprovata qualità ed esperienza, ma a parte il fatto che ora non mi viene in mente nessuno e non ho alcun materiale sottomano, il dubbio rimane sempre: e se in realtà manco il commentatore ci ha capito un cazzo solo che è più furbo e sfrontato da scrivere e basta? Allora non resta che seguire il suo esempio: scrivere quello che mi pare come meglio posso camuffando paure e incertezze.
Ok, farò così. Ma almeno, prima, ho onestamente detto che non ci capisco un cazzo di Beckett.
Comunque non so se scriverò mai qualcosa su Aspettando Godot. Forse cercherò di scappare parlando di Malevic, del Suprematismo, di Hegel...che ne so...e di post in post lascerò perdere l'idea di affrontare Beckett.
Forse ne scriverò domani.

sabato 16 novembre 2013

Sull'Arlesiana di van Gogh


(pagina tratta da Storie che danno da pensare, Adelphi, del grande scrittore Robert Walser)
Di fronte a questo quadro viene in mente ogni sorta di pensieri, e svariate domande si impongono spontanee a chi si perda a contemplarlo, domande di tipo così semplice e nello stesso tempo, tuttavia, di tipo così strano e sconcertante che sembra non possa esservi nessuna risposta. Molte domande trovano il loro significato più bello e la risposta più squisita e più fine proprio nel fatto che non abbiano risposta. Quando per esempio un innamorato chiede alla sua dama: “Posso avere qualche speranza?” e lei non replica nulla, la mancata risposta equivale in certi casi a uno stupendo sì! E altrettanto avviene in tutte le cose misteriose, in tutte le cose grandi; e qui siamo di fronte a un quadro pieno di misteri, pieno di grandezza, pieno di profonde e belle domande e pieno di risposte altrettanto profonde, sublimi e belle. È un quadro meraviglioso e c’è da rimanere stupefatti che lo abbia potuto dipingere un uomo del diciannovesimo secolo, giacché è dipinto come se fosse opera di un uomo e di un maestro dei primi tempi del cristianesimo.
Tanto grandioso quanto semplice, tanto commovente quanto sereno, tanto discreto quanto di estasiante bellezza è il ritratto della donna di Arles che, senza troppi complimenti, uno vorrebbe avvicinarsi a lei con la semplice domanda: “Dimmi, hai sofferto molto?”. Ora è il mero ritratto di una donna, ora torna a essere l’immagine del crudele enigma della vita nelle fattezze di colei che ha posato per il pittore e gli è servita da modello.
Tutto in questo quadro è dipinto con uno stesso amore di cattolica solennità, di inesorabile devozione, serio e severo, la manica come la cuffia, la sedia come gli occhi cerchiati di rosso, la mano come il viso; e il tratto e lo slancio del pennello, misterioso ed energico, pare assolutamente leonino, sicché non ci si può sottrarre all’impressione di qualcosa di titanico. Eppure e sempre, non è nient’altro che l’immagine di una donna presa dalla vita d’ogni giorno, e proprio questa circostanza così misteriosa ne costituisce l’aspetto grandioso, toccante sconvolgente. Lo sfondo del quadro è come l’ineluttabilità stessa di un duro destino. Qui una persona è dipinta tale quale come essa è, e con l’aspetto di chi da lungo tempo ha dovuto abituarsi a tenere in silenzio per sé tutto ciò che ha provato, in quanto forse si è già dimenticata per metà di tutto, di tutto quanto ha dovuto sopportare, lasciar perdere e superare. Verrebbe voglia di accarezzarle, le guance smagrite di questa…donna sofferente. Il cuore dice che non si dovrebbe stare a capo coperto davanti al dipinto, ma che bisognerebbe togliersi il cappello, come entrando sotto le volte consacrate di una chiesa. E non è curioso forse, e al tempo stesso nient’affatto curioso, che qui a un pittore provato dal destino (perché tale egli fu!) capiti di rappresentare una donna provata dal destino? Deve essergli subito piaciuta in sommo grado, e l’ha dipinta. Costei, trattata crudelmente dal mondo e dalla sorte, e ora forse divenuta essa stessa crudele, fu per lui un’improvvisa, grande esperienza, un’avventura dell’anima. Sembra anche, come ho sentito dire, che l’abbia dipinta più volte.
(infatti io ne ho trovate sei versioni)

venerdì 15 novembre 2013

Ma fatevi un biocidio nell'ano


Sinceramente non credo al fatto che gli americani e i loro servi, cioè alleati, esportino la democrazia. Non credo neanche alla guerra al terrorismo. Sono due cazzate degne dei mentecatti che ancora credono a queste emerite stronzate.
Però non sono neanche il tipo che scrive sul muro 1 100 1000 Nassyria. A me fanno solo pena quei poveretti (soprattutto meridionali) che vanno in Iraq Afghanistan o in chissà quale buco del culo del mondo perché è l’unico modo che hanno trovato per fare qualcosa di soldi.
Com’è stupida retorica e imbecille la pubblicità della Barilla. Il solito coglione che torna da chissà dove che trova la solita vecchia bavosa che…HA FATTO LE TAGLIATELLE. E sticazzi? Non comprerò mai la Barilla, almeno finché farà queste pubblicità vomitevoli.
Stamattina ho avuto un impedimento in italiano. Nella lingua italiana. Ho scritto ad una tizia su anobii perché volevo sapere se il sito è in disarmo. Però “disarmo” mi pareva un termine troppo forte; ne ho pure cercato un altro ma non andava bene. Il fatto è che in italiano ero sincero, ma brutale. E allora ho sostituito “disarmo” con stand by. È più soft stand by, credo. Il fatto è che anobii mi pare in smerdamento completo. È più di un mese che cerco di aggiungere un nuovo libro, ma niente. Poi han problemi con le copertine. E che cazzo.
Uno dei problemi del mondo del lavoro è quel tipo lì, quello stachanov con sette-otto figli a carico che deve lavorare lavorare lavorare. Nun t’avess’ prurut’ ‘o cazz’, stess’m appost.
Sono molto contento di aver ricevuto i cinque opuscoli anarchici che avevo ordinato. Non vedo l’ora di leggerli e di parlarne qui. Leggere gli scritti anarchici è come leggere Artaud: un’operazione di igiene mentale. Dopo tante coglionerie, ci vuole lo sfavillio abbagliante e quasi insopportabile della verità nuda e cruda.
Ho fatto un bel discorsetto all’Adelphi. In pratica secondo me le grandi opere letterarie non possono stare fuori commercio per troppo tempo. È una bestemmia contro la cultura. Prendiamo Cime abissali di Zinov’ev. Un’opera in due volumi uscita tra il 1977-1978, ovvero 35 anni fa. Secondo me si dovrebbe mettere un tetto temporale alle grandi opere fuori commercio. Massimo massimo 30 anni. Ma pure 25 anni, che sarebbe pure meglio. Invece di stampare tante cacate, vedete di ristampare più spesso i capolavori, please. Ovviamente non mi prenderanno in considerazione, ma almeno lo dico.
Segnalo due fatti sulla Campania: una è quella sulle dichiarazioni del pentito Schiavone sui rifiuti tossici seppelliti illegalmente e un’altra sull’acqua avvelenata. Bella scoperta del cazzo, mi fa piacere che siano diventate due notizie della strafottuta attualità di cui scordarsi dopo 10 minuti. Ma porco dio. È già tutto scritto in Gomorra anno 2006 e son cose che si sanno anche da prima. Tutti a scoprire l’acqua calda e a inventare parole da stronzi come “biocidio” che fa il pari con quell’altra cacata di parola “femminicidio”. Comanda la camorra e nessuno ci può fare un cazzo, avete capito?
Ultimamente su facebook ho intravisto un video (non visto perché vederlo tutto non reggevo). C’era un tizio anziano, una brava persona, che diceva: Renzi? Non lo voterò mai! A ‘sto punto voto Civati.
AH BE’! allora siamo in quindici botti di ferro. La solita miseria, niente da aggiungere.
Per il resto, niente da segnalare.
Solo il fatto che è difficile vivere con fotocopie di fotocopie di fotocopie di essere umani sempre uguali.

mercoledì 13 novembre 2013

Le 10 notizie che NON ho cliccato

Sono tranquillo perché sono talmente sociopatico, solitario e antipatico che pure i fantasmi mi stanno alla larga.

Coglione, si può sapere perché almeno questa non l'hai cliccata e approfondita?? Non lo so, giuro. Mi starò rammollendo.

Neanche questa? Allora non è che ti stai rammollendo, sei proprio definitivamente rincoglionito. 100 euro è un grandissimo affare!

Ecco, io vorrei che tornassero i nazisti solo per potergli consegnare Berlusconi e famiglia.

Questa non l'ho cliccata perché le storie di zombie già mi stanno sulle palle. Figurati la storia di uno zombie talmente imbecille che non riesce manco a uscire dalla tomba da solo.

Andate a cacare, illudere così la gente! Un asteroide che distrugga questo schifo di pianeta e i suoi luridi abitanti è il sogno segreto di tutte le persone perbene.

L'hanno arrestato perché aveva prezzi da ladro. Non vi dico quanto pretendeva per un rene. Roba da matti.

Volevo segnarmi la marca di questi sughi perché trovarci del vetro è una fortuna rispetto alle sostanze chimiche che si trovano di solito.

Con quello che costa la benzina, questo papà è un irresponsabile.

Sta a vedere che dopo averne parlato tanto male devo rivalutare la mafia.



domenica 10 novembre 2013

Notizie su Euridice


In questi giorni fa notizia il fatto che Caselli avrebbe lasciato Magistratura Democratica per questo scritto di Erri De Luca che apparirà sull'agenda 2014 di MD. Sinceramente non ci trovo niente di così offensivo e violento da spingere Caselli a dare le dimissioni dalla corrente Magistratura Democratica che egli stesso contribuì a fondare negli anni '60.
Credo sia una reazione isterica.
Certo, De Luca ha fatto degli interventi a favore degli attivisti No Tav, gli stessi attivisti che Caselli persegue come magistrato. Forse questo fatto più lo scritto Notizie su Euridice hanno portato a questa decisione.
Però io nello scritto di De Luca non ci vedo niente di aberrante, così come ho letto in giro fra commenti vari. Solo che in Italia sembra sempre che non si possa parlare liberamente perché ci sono le vittime, i parenti delle vittime, i magistrati, i poliziotti, ecc. ecc.
Non è un atteggiamento giusto. Bisogna sempre essere disposti a parlare e a confrontarsi. Su tutto.
Certo, i toni e la qualità degli interventi vanno selezionati, ma le reazioni isteriche sono sempre dannose. In Italia c'è stato un movimento di massa durato anni e anni e che ha coinvolto migliaia di persone. Perché? Cosa era successo? Cosa volevano? Non si può semplicemente tacitare il tutto, condannare e strapparsi le vesti. Bisogna studiare e dibattere.
Nel breve testo, De Luca pone l'accento su due questioni in particolare: la prima è che la sua generazione visse un sogno rivoluzionario; la seconda punta l'indice su alcune storture giudiziarie che a rileggerle oggi fanno ribrezzo.
Sul primo punto io credo di capire cosa voglia dire De Luca. Sicuramente la scelta della lotta armata fu sbagliata, non portò a niente di buono se non a omicidi e caduti (da una parte e dall'altra). Però è anche vero che una generazione che ha questo sogno è una generazione bella. Io sono cresciuto, invece, in una generazione che la rivoluzione non ha fatto altro che leggerla un po' sui libri o che della rivoluzione se ne sbatteva semplicemente il cazzo e non vedeva l'ora di vendersi e salvarsi semplicemente il culo. Anzi, a noi meridionali è andata anche peggio. Noi abbiamo visto che la rivoluzione l'ha fatta la mafia e l'ha pure vinta.
Per quanto riguarda il secondo punto, basta leggere un po' di storia per capire. Ci sono stati casi atroci come quelli di Fabrizio Pelli o Alberto Buonoconto. Senza contare i carceri lager, il teorema Calogero e molto altro.
Concludo con i No Tav. Vero è che Caselli rappresenta la legge e fa il suo dovere. Ma i No Tav hanno diritto di manifestare. La maggioranza degli attivisti sono pacifici e anche le manifestazioni lo sono. Chiaro che qualche testa di cazzo che commette violenze o atti gravi può sempre capitare.
Però attenzione, non è una situazione facile. Caselli rappresenta la legge, ma può anche difendere INCONSAPEVOLMENTE (lo scrivo maiuscolo) una legge voluta da farabutti che stanno in parlamento. Così come i No Tav fanno la parte dei fuorilegge, ma potrebbero benissimo stare dalla parte del giusto.
Non c'è bianco o nero, c'è solo la storia che giudicherà. Stare con i No Tav non vuol dire essere terroristi o delinquenti, come qualche testa di cazzo parlamentare ha già dichiarato più volte alla stampa, significa solamente avere un'altra idea e lottare per essa.
Comunque, ecco il testo di De Luca a cui ho apportato alcune correzioni grammaticali perché sui siti dove l'ho reperito era sbagliato in qualche punto.
Euridice alla lettera significa trovare giustizia. Orfeo va oltre il confine dei vivi per riportarla in terra. Ho conosciuto e fatto parte di una generazione politica appassionata di giustizia, perciò innamorata di lei al punto di imbracciare le armi per ottenerla. Intorno bolliva il 1900, secolo che spostava i rapporti di forza tra oppressori e oppressi con le rivoluzioni. Orfeo scende impugnando il suo strumento e il suo canto solista. La mia generazione è scesa in coro dentro la rivolta di piazza. Non dichiaro qui le sue ragioni: per gli sconfitti nelle aule dei tribunali speciali quelle ragioni erano delle circostanze aggravanti, usate contro di loro.
C’è nella formazione di un carattere rivoluzionario il lievito delle commozioni. Il loro accumulo forma una valanga. Rivoluzionario non è un ribelle, che sfoga un suo temperamento, è invece un’alleanza stretta con uguali con lo scopo di ottenere giustizia, liberare Euridice.
Innamorati di lei, accettammo l’urto frontale con i poteri costituiti. Nel parlamento italiano che allora ospitava il più forte partito comunista di occidente, nessuno di loro era con noi. Fummo liberi da ipoteche, tutori, padri adottivi. Andammo da soli, però in massa, sulle piste di Euridice. Conoscemmo le prigioni e le condanne sommarie costruite sopra reati associativi che non avevano bisogno di accertare responsabilità individuali. Ognuno era colpevole di tutto. Il nostro Orfeo collettivo e stato il più imprigionato per motivi politici di tutta la storia d’Italia, molto di più della generazione passata nelle carceri fasciste.
Il nostro Orfeo ha scontato i sotterranei, per molti un viaggio di sola andata. La nostra variante al mito: la nostra Euridice usciva alla luce dentro qualche vittoria presa di forza all’aria aperta e pubblica, ma Orfeo finiva ostaggio.
Cos’altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Chi della mia generazione si astenne, disertò. Gli altri fecero corpo con i poteri forti e costituiti e oggi sono la classe dirigente politica italiana. Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell’esercito, nelle aule scolastiche e delle università. Perfino allo stadio i tifosi imitavano gli slogan, i ritmi scanditi dentro le nostre manifestazioni. L’Orfeo che siamo stati fu contagioso, riempì di sé il decennio settanta. Chi lo nomina sotto la voce “sessantotto” vuole abrogare una dozzina di anni dal calendario. Si consumò una guerra civile di bassa intensità ma con migliaia di detenuti politici. Una parte di noi si specializzò in agguati e in clandestinità. Ci furono azioni micidiali e clamorose ma senza futuro. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò nel buio delle celle dell’isolamento, lei non c’era.
Ho conosciuto questa versione di quei due e del loro rapporto, li ho incontrati all’aperto nelle strade. Povera è una generazione nuova che non s’innamora di Euridice e non la va a cercare anche all’inferno.

sabato 9 novembre 2013

Guido Morselli e il comunismo


Guido Morselli è un grandissimo scrittore.
Se non lo conoscete, ve lo consiglio caldamente. Scegliete uno dei suoi romanzi a caso, leggetelo e vedrete che mi darete ragione. Purtroppo in vita non ebbe fortuna, tanto è vero che Morselli si suicidò nel 1973 e le sue opere cominciarono ad essere pubblicate postume da Adelphi a partire dal 1974.
Stasera voglio segnalare una pagina del suo Diario dedicata al comunismo. Il comunismo fu un interesse costante della vita intellettuale e artistica di Morselli che scrisse due romanzi intitolati: Il comunista e Incontro col comunista ai quali dedicherò dei post prossimamente.
La pagina che voglio segnalare risale al 7 maggio 1961 e tratta del comusmo sovietico.
Dopo aver letto una lunga relazione (che riassume il lavoro dei comunisti italiani nel campo politico e in quello sindacale) di Giovanni Amendola su L’Unità del 6 maggio 1961, Morselli annota:
…Colpiscono le cifre che dimostrano la sproporzione tra i profitti degli imprenditori e i salari. Il plusvalore è aumentato sia in senso assoluto sia in senso relativo (“tasso del plusvalore”).
Il progresso tecnico, oggi come 100 anni fa quando Marx scriveva, sebbene forse in grado minore, non si ripercuote in un alleggerimento della fatica degli operai. L’uso delle ore “straordinarie” neutralizza in parte la riduzione della giornata alle otto ore. Gli infortuni sul lavoro non diminuiscono. I disagi a cui sono sottoposti gli operai per raggiungere il luogo del lavoro, sono sempre gravi.
…Le mie obiezioni contro il comunismo qual è praticato dall’Amendola (ossia, s’intende, il comunismo in atto nell’Urss), rimangono. – Cerco di esporle qui in compendio.
Alcune sono obiezioni di principio.
1. La storia del comunismo sovietico è, e séguita ad essere, costellata di violenze arrecate alla libertà e alla vita stessa degli individui, e qualche volta delle masse (dalla repressione dei kulaki 35 o 40 anni fa, alle vicende ungheresi del ’56, e oltre). Se non erro, si cerca di contestarlo dicendo che per la costruzione del socialismo era pur necessario ricorrere a rimedi estremi, e affrontare certe crisi con drastica energia: le grandi riforme, le rivoluzioni, sono conquiste che non si raggiungono senza sacrifici: ecc. – Ora a me pare che la tesi del fine che dovrebbe giustificare i mezzi, sia una tesi tipicamente “borghese”, e una delle più inique. Come sostegno di ogni forma di Realpolitik, da Machiavelli a Bismarck e a Hitler, questa tesi si è rivelata come un vero flagello dell’umanità.
2. La cosiddetta dittatura del proletariato anziché essere uno stadio transitorio accenna a diventare lineamento permanente del regime di tipo comunistico. Il brutto si è che codesta formula significa in pratica, brutalmente, dittatura dei pochi individui, o dell’unico individuo, che il caso o la violenza o l’astuzia ha portato a essere alla testa del proletariato.
E non basta ancora. La dittatura del proletariato viene intesa e attuata da parte sovietica come implicante il primato, non pure ideologico ma politico e di fatto, di un popolo sopra gli altri popoli. Come è stato ripetuto tante volte, la politica del comunismo russo ha molte somiglianze con l’espansionismo e l’imperialismo del vecchio regime degli czar, e di altri regimi capitalistici.
3. Venendo al bagaglio dogmatico del comunismo, la teoria del determinismo storico materialistico integralmente inteso, la famosa teoria per cui i fatti della cultura, le idee, le ideologie, i prodotti dell’attività fantastica e sentimentale dell’uomo, sono semplici soprastrutture di una fondamentale realtà economica – riesce sempre meno accettabile agli stessi comunisti più evoluti. Lukàcs ha affermato che i fautori di tale teoria la desumono, non dall’autentico marxismo, ma da una caricatura di esso. D’altra parte, codesto dogma o assioma ha nel marxismo la funzione che quello del peccato d’origine ha nel cristianesimo: è qualcosa che si può sottacere, forse, ma che rimane sempre nello sfondo, a spiegare, o a colorire, l’insieme della dottrina. Senza di esso il vino dell’insegnamento marxistico risulta pericolosamente annacquato, e il comunismo minaccia di ridursi a semplice prassi priva di un proporzionato e caratteristico rilievo ideologico.
L’obiezione di fatto che oppongo al comunismo è la seguente.
Se è vero che avete rinnovato dalle radici la società, dovreste aver rinnovato nello stesso modo l’individuo, che è ciò di cui in concreto la società si sostanzia. Nella sua effettiva condotta di vita, nella sua moralità, nel costume, l’uomo sovietico dovrebbe essere ben superiore (e in ogni caso ben diverso) dall’uomo della società capitalistica. Pare – viceversa – che non sia così. Non mi occorre una lunga indagine per rendermene conto. Prendo in considerazione un aspetto solo, ma caratterizzante, ma essenziale, della vita dell’individuo, ossia il suo comportamento e la sua mentalità nei confronti del problema dell’amore e del sesso. Da questo, giudico lo stadio intellettuale, morale, psichico cui è giunto; non dalla circostanza che possieda o no un frigorifero, o che frequenti più o meno assiduamente le biblioteche e i musei. – Ora io sento dire che il più piatto, il più borghese conformismo impera in questa materia in terra sovietica. L’uomo o la donna che abbiano la sventura di un’esistenza, sessuale, irregolare, sono bollati a fuoco a Mosca come e peggio che nelle nostre “benpensanti” cittadine di provincia. Non è nemmeno da stupirsene, se si pensa che Lenin su tale argomento professava principi che potremmo definire da morale parrocchiale; ma, secondo me, questo è sufficiente a svelare che, se andiamo un poco oltre la superficie, l’uomo sovietico, prodotto vivente della rivoluzione comunista, non è gran che diverso dall’esemplare umano che alligna in regime capitalistico.

lunedì 4 novembre 2013

Ballata di cose da niente


Sto dando realizzazione a un progetto semi folle a cui pensavo da un po': rileggere il racconto La lettera rubata di Edgar Allan Poe e a seguire il seminario di Lacan sul racconto di Poe e il libro di Derrida sul seminario di Lacan sul racconto di Poe. In pratica prima Poe, poi il seminario di Lacan su Poe e infine Derrida su Lacan che psicoanalizza Poe.
Siccome mi aggiro tra tematiche complesse espresse in maniera ancora più complessa e siccome i due filopsicoanalisti (Lacan soprattutto) sembrano aver raggiunto chissà quale sapienza diventando un po' pomposi...credo ci stia bene questa poesia di Villon che mi è capitata casualmente sottomano stasera.
Confesso che più mi avventuro in letture teoretiche di difficile accesso più sento la necessità di prendermi una pausa con i poeti.
In effetti abbiamo raggiunto tante conoscenze, dalle più banali alle più tecniche filosofiche e chi ne ha più ne metta, ma in realtà la cosa più importante (chi siamo noi), non l'abbiamo mica capito...

So vedere una mosca nel latte,
So riconoscere l'uomo dal vestito,
So distinguere il bel tempo dal brutto,
So giudicare dal melo la mela,
So conoscere dalla gomma l'albero,
So quando tutto è poi la stessa cosa,
So chi lavora e chi non fa un bel niente,
So tutto ma non so chi sono io.

So valutare dal collo il giubbetto,
So riconoscere il monaco dall'abito,
So distinguere il servo dal padrone,
So giudicare dal velo la suora,
So quando chi parla sottintende,
So conoscere i folli ben pasciuti,
So riconoscere il vino dalla botte,
So tutto ma non so chi sono io.

So distinguere un cavallo da un mulo,
So giudicare il carico e la soma,
So chi sono Beatrice e Belet,
So fare il tiro per vincere ai punti,
So separare il sonno dalla veglia,
So riconoscere l'errore dei Boemi,
So che cos'è la potestà di Roma,
So tutto ma non so chi sono io.

Principe, so tutto in fin dei conti,
So vedere chi sta bene e chi sta male,
So che la Morte porta tutto a compimento,
So tutto ma non so chi sono io.

sabato 2 novembre 2013

Profezia. L'Africa di Pasolini


Per me il 2 novembre non è il giorno dei morti, ma di un morto solo. Anzi di un morto che non morirà mai.
Il 2 novembre io commemoro Pasolini. Lo leggo e lo rileggo un po' tutto l'anno, ma il 2 la tristezza per il suo omicidio e la perdita di un tale uomo e artista mi invade completamente.
Sono contento che Napoli abbia aderito all'iniziativa di proiettare, oggi, il documentario Profezia. L'Africa di Pasolini.
L'hanno trasmesso al cinema Modernissimo e, trattandosi di Pasolini, ho fatto con piacere uno strappo al mio essere pigro e anti cinematografico.
La proiezione è avvenuta nella sala 4. Una saletta minuscola che poteva contenere appena venti persone. Non ne serviva una più grande visto che in tutto eravamo sei persone.
Vabbè, si sa che un evento del genere, non può attirare la folla. La folla è per Zalone o per quell'altro che ha fatto un film su un prete spretato, zoccole e scamarci vari.
Il documentario mi è piaciuto, anche se alcuni filmati li conosco a memoria. (il discorso di Moravia, i comizi d'amore, ecc.)
Certo è che la parole e i versi di Pasolini dedicati all'Africa, alla povertà, all'Occidente del consumismo e dell'imperialismo mi hanno molto colpito. C'è sicuramente qualcosa di profetico quando Pasolini parla dei barconi di migranti che invaderanno (e conquisteranno) l'Europa e i paesi occidentali.
In realtà gli appunti che pasolini stava raccogliendo riguardavano non solo l'Africa, ma i sottoproletari-contadini-sfruttati dell'India, del Sudamerica, dei ghetti dell'America del Nord.
Credo volesse fare un film sulla povertà universale, sulla povertà mondiale e indagare somiglianze e differenze delle varie povertà del mondo.
In realtà noi o lo diamo per scontato (e chissenefotte) o ci dispiaciamo quei cinque minuti (alcuni manco quello, i poveri i migranti e tutta 'sta gente gli sparerebbe volentieri dei calci nel culo)...ma le domande, a pensarci, sono terribili e senza riposta: perché i poveri? perché la povertà?
Ecco perché Pasolini lo amo. Perché non è accademico né professorale. Innanzitutto è: una persona sensibile.

venerdì 1 novembre 2013

Il ricco di spirito


Avevamo cominciato a ragionare dell’amore. Sui nomi ridicoli con i quali si chiamano gli innamorati: quei nomi da cani o da pappagalli sono i frutti naturali delle intimità della carne. Le parole dettate dal cuore sono infantili. La voce della carne è elementare. Si potrebbe pensare che l’amore consista nel potere fare gli stupidi assieme, in completa libertà di stupidaggine e di bestialità.
Poi mi son detto no. Passiamo ad altro. Questo:
Quest’uomo aveva in sé tali possessi e tali prospettive, era fatto di tanti anni di letture, di confutazioni, di meditazioni, di combinazioni interne, di osservazioni, di tali ramificazioni che le sue risposte erano difficili a prevedersi; che ignorava lui stesso dove sarebbe arrivato, quale aspetto infine lo avrebbe colpito, quale sentimento sarebbe prevalso in lui, quali deviazioni e quale imprevista semplificazione si sarebbero verificate, quale desiderio sarebbe nato, quale rimando, quali illuminazioni!...
Forse egli si trovava ormai nella strana condizione di non poter considerare la propria decisione o risposta interiore che sotto l’aspetto d’un espediente, sapendo bene che lo sviluppo della sua attenzione sarebbe infinito e che l’idea di porvi fine non ha più alcun senso in un’intelligenza che si conosce bene. Egli era a quel grado di civiltà interiore in cui la coscienza non sopporta più opinioni che non siano accompagnate dal loro corteo di modalità, ed in cui essa s’affida (se quello è affidarsi) solo alla coscienza dei propri prodigi, dei propri esercizi, delle proprie sostituzioni, delle proprie innumerevoli precisioni.
… Nella sua testa o dietro gli occhi chiusi si svolgevano curiose rotazioni, - cambiamenti molto variati, molto liberi, e tuttavia molto limitati, - luci simili a quelle fatte da una lampada portata da qualcuno in una casa di cui si vedono le finestre nella notte, come feste lontane, come fiere di notte; ma che se ci si potesse avvicinare potrebbero rivelarsi stazioni o gabbie di un circo – o terribili disgrazie, - oppure verità e rivelazioni…
Era come il santuario e il lupanare delle possibilità.
L’abitudine alla meditazione faceva vivere quello spirito in mezzo a – attraverso – stati rari; in una perpetua progettazione d’esperienze puramente ideali; nel continuo uso di condizioni-limite e di fasi critiche del pensiero…
Come se le rarefazioni estreme, i vuoti sconosciuti, le temperature ipotetiche, le pressioni e i pesi mostruosi fossero state le sue naturali risorse – e nulla potesse esser pensato in lui che egli sottomettesse per ciò solo al più energico trattamento e che non chiamasse in causa tutto il campo della sua esistenza.