giovedì 30 giugno 2011

Rapimento in famiglia e altri racconti

Innanzitutto mi scappello davanti a chi scrive come il mio compatriota John Fante.
Uno scrittore usa spesso la propria famiglia come serbatoio per le proprie storie, ma quando lo facciamo noi comuni mortali è solo insulso autobiografismo mentre i tipi come John ne fanno arte vera.
E grandi racconti.
Il volumetto di cui mi accingo a parlare ne contiene cinque.
Rapimento in famiglia (che dà il titolo alla raccolta) narra la storia del primo incontro dei genitori del narratore. Il bambino vuole che gli si racconti tutto, ma a mo' di favola e non si arrende finchè non la ottiene. Devo dire che anche io da bambino, vedendo una foto di mia madre da giovane e confrontandola con la donna che lavava i piatti in cucina, ho avuto una piccola stretta al cuore.
Muratore nella neve è incentrato sul padre e la sua difficoltà di stare fermo e di non poter lavorare a causa della neve che gli impedisce di svolgere il suo mestiere di fravecatore. Ci sono molti momenti buffi nel racconto, soprattutto quando leggiamo la descrizione delle "invenzioni" paterne e del suo maldestro modo di fare bricolage. Ma il sottofonfo è malinconico, come malinconica è la situazione in cui un uomo non può provvedere adeguatamente alla propria famiglia.
La canzonetta scema di mia madre è una storiella molto tenera. Il protagonista ruba del carbone in una bottega entrando dalla finestra insieme ad un complice. Entrambi vengono scoperti e arrestati. Siccome è un bambino il padre lo va a riprendere in cella dopo un'ora e gliele suona di santa ragione. Tornato a casa, confessa tutto alla madre, ma ella non ci crede; lui insiste ma la mamma copre le sue parole con una buffa canzonetta e gli spalma una pomata per lenire il dolore delle botte paterne. A'mamm e semp' a'mamm...
L'odissea di un wop è il rifiuto del protagonista di essere un italoamericano, è lo schifo per le proprie origini che egli cerca di nascondere a tutti i costi. Nel finale, però, avverrà un vero e proprio capovolgimento grazie all'aiuto di un cameriere...
Chiudiamo in grande stile con Casa, dolce casa. Qui è inutile riassumere la trama.
Dico solo che la scena familiare rappresentata (un pranzo per festeggiare il figlio tornato a casa dopo il periodo universitario) è emozionante dall'inizio alla fine.
Nei gesti della madre, negli sguardi della sorella, nelle frasi dei fratelli c'è l'essenza di cosa vuol dire tornare a casa dopo una lunga assenza e dover fare i conti con i propri cambiamenti che devono essere accettati e compresi dagli altri.
Soprattutto è stupendo il confronto e i ricordi del giovane con il padre.
Quelle speranze che si tramutano in disperazione, il pezzo di torta nella credenza e un verso meraviglioso tratto da L'universo misterioso:
E il numero totale delle stelle dell'universo è probabilmente qualcosa come il numero totale di granelli di sabbia di tutte le spiagge del mondo...

mercoledì 29 giugno 2011

ho scritto una poesia d'amore intitolata A morte i puttini del cazzo

m’hai rubato l’attenzione,
stravolto i miei pensieri
che indicibile violenza

è una rivoluzione
successa appena ieri
a cui fò resistenza

una maligna sorte
ha voluto t’incontrassi
meglio della Morte
seguire i neri passi

strega perfida e malvagia
predi l’alma mia randagia
ed il cuore poi mi squarti
che spettacolo ammirarti

quanto t’odio e ti disprezzo
non potrai saperlo mai
stringimi forte al petto
voglio e bramo guai

scappare lontano
dovrei certamente
ma mi avvicino
il rischio è eccitante

ora sorridi, lucente candore
io sono calmo, nel mio furore
dammi, ti prego, tanto DOLORE
quello che gli altri chiamano amore

martedì 28 giugno 2011

Tuteliamo il VARIOPINTO!!!

Ti ringrazio, adorabile Ingestibile, perchè ti batti per un'uguaglianza che tenga conto delle diversità e per un'identità che non calpesti le differenze
(sms di Spaccianeve)

Ultimamente ho parlato con due amiche.
Con Giusy dal vivo, in un bar di Napoli e con CeRaSeLLa tramite uno scambio di commenti nel VARIOPINTO mondo dei blog. [attenzione, questo è uno dei rari casi in cui il termine VARIOPINTO non è usato a cazzo di cane]
Saprete già che dalle conversazioni con soggetti femminili si può estrarre sempre un 1% di pregnante significato e scartare tranquillamente il restante 99%. [con i soggetti maschili, purtroppo, questo non succede sempre]
Il succo, l'essenza dei discorsi che ho avuto il piacere di avere con queste due donne è il seguente: a mie spontanee osservazioni su ciò che avevano detto e scritto, una ha risposto
Non ci far caso, è colpa del preciclo
mentre l'altra ha detto
Non ci badare, sono solo paturnie femminili
A sto punto il mio istinto filosofico ha cominciato a vibrare tutto, una sensazione calda e soffocante mi sconquassava il petto.
Grandezza delle donne! Hanno ammesso in un certo senso che qualcosa in quel che dicevano non andava, ma hanno rimosso l'obiezione con stile e con categoricità e allora m'è venuta la curiosità di sapere come l'uomo possa fare altrettanto.
Nel caso del preciclo, la donna fa ricorso ad uno stato fisico che può provocare, senza che la donna ne abbia colpa, strani abbassamenti nella logica e nella qualità del ragionamento. Qui l'uomo non si può mettere semplicemente in pari perchè l'uomo col preciclo non esiste. Ci vorrebbe una scusante fisica, ma non è facile.
In primo luogo non è facile perchè l'uomo odia le malattie che gli ammaccano l'armatura e in secondo luogo che malattia potrebbe mai addurre come alibi? Può un uomo dire
Non ci badare, è stato un attacco di andropausa?
No, non può. Quindi se la cava con un semplice e diretto
Ok scusami, stavo scazzato
Lo scazzo funziona, è abbastanza maschile.
E come fare per "paturnie"?
Paturnie appartiene all'ambito psicologico ed è pure una parola abbastanza ricercata, con un discreto pedigree. Quale vocabolo può usare l'uomo?
All'inizio avevo pensato a pippa/sega mentale perchè anche la pippa/sega mentale appartiene all'ambito psicologico e poi la pippa/sega rappresenta l'essere maschile abbastanza fedelmente.
Tuttavia, non ho potuto accettare la suddetta soluzione perchè i maschi si sarebbero ribellati e mi pareva di sentirli mentre gridavano Ma come? Le femmine "paturnie" e noi pippa/sega mentale?
Hanno ragione, non va.
Allora ho proposto "elucubrazioni", ma qui i rappresentanti del sindacato Uomini Pane&Salame mi avrebbero fischiato perchè "elucubrazioni" risveglia traumatici complessi edipico-scolastici. Ancora non ci siamo.
"Malinconie" e "melanconie" le ho scartate perchè non conosco ancora la differenza tra le due parole.
Ero in un vicolo cieco, quando mi sono ricordato di Massimo, il mio barman di fiducia. Una volta gli chiesi una birra chiara e due noccioline. Lui me le portò e non si soffermò a parlare come faceva tutte le volte. Gli chiesi Massimo cos'hai? Qualcosa non va? No, Andrè, rispose, oggi c'ho il cazzo storto.
Perfetto.
Quindi per favore non badate a questo post
Oggi c'ho il cazzo storto.

Postilla. A chi pensasse che "scazzo" e "cazzo storto" son piuttosto simili e che in entrambe le espressioni c'è un'allusione al membro virile rispondo con un laconico: cazzarola, avete proprio ragione...

lunedì 27 giugno 2011

fegato fegato fegato spappolato

senti mezzatacca, ti aggiri, parli e fai...posso dirti una cosa?
sei zero, non conti niente.
e ora che ne diresti di un vaffanculo????
gallina quechera che non sei altro, sei una ignobile.
tu e il tuo dio potete averlo quando vi pare. sai dove te lo puoi mettere? anche l'sms sai che vuol dire? sei merda secca

perchè sono sempre un signore.

Una strage sfioratental

In casa fa caldo e non ho l'aria condizionata (la odio), quindi passo le mie giornate fuori al balcone seduto su una sedia imbottita con le gambe distese su uno sgabello. Tenerle distese in questo modo mi fa sentire un gran signore.
La maggior parte del tempo leggo romanzi e racconti o guardo le foto dei dipinti che mi piacciono di più. Di fianco a me sorge una pila enorme di monografie d'artisti come Schiele, Klimt, Kandinskij...
Quando mi stanco sia di leggere sia di guardare i quadri, osservo la vita che si svolge in strada e spio quel che succede nei palazzi di fronte.
I miei spettacoli preferiti sono la cameriera che pulisce i vetri dei balconi perchè quando si abbassa mostra il lato migliore del suo fisico e una donna che si spoglia in camera da letto e io ho una vista magnifica su quella camera da letto... Il top, come ben potete immaginare, è quando scoppia una rissa in strada per un parcheggio o per un auto lasciata in sosta davanti ad un passo carrabile.
Ieri, tuttavia, lo show era da un'altra parte.
Sulla destra rispetto alla mia postazione c'è un terrazzo dove una famigliola usa mangiarci d'estate. E' un terrazzo molto attrezzato che usano per dare allegre festicciole nelle calde serate agostane.
Ieri la mamma stava apparecchiando la tavola ed era intenta a sistemare bicchieri e posate.
D'improvviso arriva il figlio che con una faccia da cazzo dice: "Mamma che c'è per pranzental? Avrei una certa famental!"
La mamma fa un risolino e una faccia da ebete.
Poi arriva la figlia piccola, quella con tre denti in bocca, che dice: "Ci vorrebbe qualcosa di freschental!!"
"E di gustosental!", aggiunge il figlio con l'aria di uno che ha appena detto una battuta degna di un'opera di Shakespeare.
La mamma fa un risolino e una faccia da ebete.
Sbuca il padre da sinistra (e capisco da chi ha preso la faccia di cazzo il figlio) che dice: "Non è un'ottima idea quella di mangiare in terrazzental?"
La mamma fa un risolino e una faccia da ebete, mentre dentro di me cominciano a farsi sentire istinti omicidi.
Finalmente il pranzo è pronto e la mamma porta a tavola una zuppiera con dentro carne gelatinosa, olive nere, sedano, pomodorini e origano.
La famigliola è tutta contenta e mangia di gusto il pappone così fresco e così estivo.
Come al solito il fratello ruba dal piatto della sorellina un po' di cibo e le dice: "Fregatental!" al che lei risponde: "Scemental!"
La mamma, vedendo questa scena, fa un risolino e una faccia da ebete mentre il padre, con tono bonario, dice: "Su, non litigatental".
Io, nel frattempo, sto oliando e caricando il mio kalashnikov ma, generosamente, lascio che consumino il loro ultimo pasto.
I quattro finiscono di mangiare, mamma e figlia sparecchiano mentre padre e figlio fanno una gara di ruttental.
Io sono pronto e prendo la mira, quando il padre si alza, raggiunge la moglie che sta lavando i piatti, l'abbraccia da dietro e le dice: "Che ne dici se stasera a lettental..."
"Mal di testental...", risponde lei con un risolino e la faccia da ebete.
E' troppo; ho il dito sul grilletto e fremo.
Il padre, però, mi stupisce perchè mentre si allontana esclama: "E vabbè, vuol dire che stasera andrò a puttanental!"
Ripongo il kalashnikov nella custodia, mi risiedo in poltrona e penso tra me e me che il Nudo rosso di Chagall mi piace da impazzire.


domenica 26 giugno 2011

In culo oggi no

Naturalmente sono già di nuovo le tre, stanotte ho finito alle quattro, tratto il tempo in modo un po’ avventuristico.

La scarpetta di cenerentola calza a pennello

Anche la mia fica
ma solo a qualcuno

Non però a uno solo
a te starebbe senz’altro bene

Le fiche si cuciono su misura
e al sarto gli si dice
Mi ci metta una fodera di seta
e non metta bottoni
tanto la porterò slacciata

Si cuciono quindi così
come la biancheria da uomo
Venderei mia sorella per poter leggere il diario segreto del parrucchiere del nipote di Joyce, quindi potete ben immaginare i salti di gioia che ho fatto quando finalmente si sono decisi a ristampare In culo oggi no di Jana Cerna.
Chi è Jana Cerna? E' la figlia di Milena Jesenska, la famosa Milena di Kafka (Lettere a Milena). Eccitati? Bene.
Come nasce Clarissa, il primo breve testo di questa purtroppo piccolissima raccolta?
Dalla nostalgia o - se volete - dalla noia, che del resto è la stessa cosa, dal malumore e dal capriccio, dall'insoddisfazione e dalla masturbazione.
Se i sogni e i desideri erotici per l'assenza di un amante sono giunti così lontano che viene scritto questo libro, non c'è in questo niente di esistenzialista, la cosa è del tutto logica e riguarda la psicoanalisi, piuttosto che vuote acrobazie sartriane di ozi insensati - anche in caso affermassimo che l'origine sia la stessa.
Clarissa si dibatte tra la rivoluzione e l'affascinante decadenza della borghesia.
La tragedia sta nel fatto che per fare la rivoluzione ha le unghie troppo lunghe e per realizzare i sogni borghesi ha molte inclinazioni ma poco talento. Clarissa è figlia di una giornalista progressista e di un architetto surrealista quindi può solamente fregarsene di tutto ciò che ha anche solo odore di rivoluzione.
Ha una storia con un amante bambino, un bambino amante: Battista.
Battista è giovane e non sa davvero accarezzarle le spalle perchè non sa ancora che in effetti quelle spalle sono bellissime. Battista tenta di toccare i seni di Clarissa con aria di uomo vissuto e il suo desiderio di violentare arriva a fare di lui un amante attivo, lasciando che Clarissa compia la sua volontà - costringendola a violentarlo di nuovo a sua volta.
A Clarissa è possibile vivere solo in sogno e il rapporto con la realtà la spaventa e riempie questo sogno di una sensazione di terrore, di paura e di spavento. Il rapporto con la realtà, la famosa formula magica delle persone la cui attività sessuale si esaurisce in coiti col preservativo e il cui intelletto riesce a contenere grossi dizionari enciclopedici e il diritto romano, persone che vi chiedono della vostra salute solo se avete tossito o starnutito davanti a loro e il cui desiderio di poesia si esaurisce "al di fuori della realtà", cioè nel loro "privato". A Clarissa ripugnano queste persone risolute, che hanno riservato alla poesia una parte del proprio tempo, come a qualsiasi altro hobby, per le quali quella pappetta diluita, senza sorprese, che spacciano per poesia, si limita alla versificazione e all'incontro fortuito con una prostituta di notte, quando tornano dai locali notturni.
C'è poi una Lettera, scritta da Honza, che considero una delle cose più belle che abbia letto negli ultmi quindici anni.
La forma esteriore è quella di una lettera d'amore.
Vi sono pensieri sulla filosofia, sulla poesia, su come dovrebbero essere e "fatte", su come dovrebbero unirsi per dar vita ad una terza cosa; che sono strabilianti per il loro essere dirette e oneste. E soprattutto molto, molto vere.
Honza incoraggia il suo uomo e così facendo incoraggia TUTTI gli uomini.
Ha una forza incredibile Honza quando parla del suo modo di intendere l'amore e il rapporto d'amore. Su cosa vuole sentirsi dire e come vuole sentirselo dire. Pensieri sulla speranza, sul tipo di fede che l'uomo deve avere, sul cosa significa sbarrare le vie di fuga da un rapporto...
Honza vuole sapere, dal suo uomo, tutto ciò che è sostanziale. Non crede alla veridicità così come è di solito concepita nella convivenza tra due persone: "Avevi detto che tornavi alle due e sei tornato alle otto e per giunta la settimana dopo, adesso mi dici immediatamente chi è la puttana che ti ha allontanato dal focolare domestico!", e lui dice che non è stata una puttana ma il compagno direttore che aveva l'onomastico e "devi ammettere, tesoro, che non potevo dirgli di no!", cosa che lei ammette fino a quando qualcuno non le dice che la puttana aveva i capelli biondi e le gambe storte, dopodichè segue la scena strappalacrime "come hai potuto!" e la riconciliazione a letto, che ha per conseguenza da una parte la proliferazione della famiglia e dall'altra una nuova puttana, questa volta coi capelli neri.
La Lettera prosegue fino a quando comincia una marcia furiosa di tutte le fantasie erotiche e le voglie sessuali che Honza vuole fare con il suo uomo.
Devo dire che mi piacciono tutte e non ce n'è nessuna che io non approvi.
Leggete la Lettera di Honza, vi sembrerà di chiavare in direzione della stratosfera.

sabato 25 giugno 2011

DEFICIENTHEART

Il cuore è un deficiente.
Sarà pure un organo importante, prodigioso e indispensabile per la vita, ma è un deficiente.
Non regge assolutamente il confronto con il cervello, che è intelligente, ironico e creativo. Il cuore paragonato a lui è un povero analfabeta (e deficiente).
Ha tante qualità il cuore, non lo nego: romantico, poetico, generoso, sensibile e capace di captare qualsiasi vibrazione e indizi di cambiamento; pronto a battere per una giusta causa, una bella donna, innamorato dell’amore e dell’amicizia, ma è e resta un deficiente.
Non capisce cose che capirebbe anche un bambino. Non si arrende alle evidenze più evidenti, non crede a quello che in cuor suo sa già. Testardo, minchione, insomma proprio un deficiente.
Come definirlo altrimenti? Aspetta telefonate da una persona che non telefonerà mai, guarda il cellulare trentacinque volte al giorno per vedere s’è arrivato un sms che non arriverà mai…comportamenti che solo un deficiente può avere.
Vuole tornare indietro nel tempo, quando tutti sanno che è una cosa impossibile. Ricorda delle cose che vorrebbe cambiare, ma i ricordi sono quelli che sono e non si posso mutare. Al massimo si può cercare di obliarli, sarebbe un’azione saggia e invece no; più i ricordi sono tristi e dolorosi più lui si mette lì pensoso a rimembrarli. Che deficiente!
Il massimo della deficienza lo raggiunge quando s’abbraccia il cuscino. Una scena davvero patetica! Io gli domando Scusa, ma cosa stai facendo? Calore, risponde con un filo di voce, poi mi fissa con quella faccia da pesce lesso che si ritrova, arrossisce, comincia a pompare il sangue come fosse impazzito e si chiude in un ostinato mutismo.
Qualche settimana fa, ha toccato proprio l’apice della stupidità. Sentivo un singhiozzare sommesso provenire dal salone. Io ero in cucina a degustare pane e mortadella. Mi sono alzato e mi sono diretto verso il salone. Piano piano mi sono avvicinato alla porta e ho sbirciato nella stanza. Cos’hanno dovuto vedere i miei occhi! Una scena disgustosa! Quel deficiente del cuore stava piangendo su una fotografia! Ma perché? Che senso ha? Vi rendete conto di quanto è deficiente sto cuore? Ma perché? Quella volta non lo rimproverai per delicatezza, ma presi la ferma decisione di fare assolutamente qualcosa perché non si poteva certo andare avanti così.
Ho cercato di parlargli con calma, di fargli ascoltare la voce della ragione. Gli ho proposto di uscire, di distrarsi, magari di andare in un bar e prendersi una sbronza colossale, purché uscisse da quell’impasse.
L’altra sera siamo andati in un pub con degli amici. Eravamo circa una ventina di persone e c’erano pure sei ragazze di cui quattro single. Abbiamo ordinato delle birre alla spina e le patatine fritte che a lui piacciono tanto.
Durante la serata il cuore si è isolato da tutto e da tutti, fissava il boccale di birra con l’aria afflitta, non ha proferito parola, non ha riso alle battute degli amici, non ha degnato d’uno sguardo le ragazze e non ha neanche scherzato con la cameriera tettona.
Io cercavo di scuoterlo, ma inutilmente.
Qui ci vuole una terapia d’urto, pensai, bisogna affidarsi al famigerato “chiodo scaccia chiodo”.
Così l’indomani chiamo Valeria che è da un po’ che ci siamo conosciuti e ha mostrato della simpatia per me.
Le chiedo un appuntamento e sabato sera usciamo per cenare insieme.
Prima di andare a prendere a Valeria, faccio un discorsetto al cuore su come deve comportarsi; lui ascolta, annuisce senza essere troppo convinto ma promette di impegnarsi al massimo.
Valeria ritarda di mezzora, ma è un buon segno. Vuol dire che ci tiene a farsi bella per me.
Quando esce dal portone non posso fare a meno di notare che è davvero carina, quando mi vede sorride ed ha un sorriso meraviglioso e quando entra in macchina noto pure che ha un buon profumo.
Il cuore, intanto, non batte colpo.
Il ristorante che ho scelto è sul mare, la cucina è buona e il personale di ottimo livello.
A tavola la conversazione con Valeria fila che è un piacere, perché lei sa essere brillante e spiritosa e sa scegliere gli argomenti con molto gusto. Abbiamo molte cose in comune, specialmente un amore viscerale per il rock degli anni ’70.
Il cuore, intanto, non sembra per niente interessato a quello che succede.
Il vino scorre a fiumi perché sia a me che a lei piace bere, un violinista suona una melodia dolcissima e gli sguardi tra me e Valeria si fanno più intensi.
Il cuore, intanto, se ne sta per i fatti suoi.
Finita la cena, decidiamo di fare una passeggiata nel parco sito vicino al locale, in cielo c’è la luna e ci sono le stelle. Sono contento, va tutto a meraviglia.
Il cuore, intanto, sussulta. Sembra quasi scalciare.
- Che c’è? gli dico sotto voce.
- Voglio andare a casa.
- Sei per caso impazzito?
- Voglio andare a casa.
- Ma che dici? Sta andando tutto bene, ora facciamo sta passeggiatina con Valeria fino al muretto. Guarderemo il mare e il luccichio che la luce argentea della luna imperla su di esso, ci guarderemo negli occhi e…e poi dai, andiamo! Non ti preoccupare.
- Voglio andare a casa.
Ve l’ho già detto, vero, che è un gran testardo?
- Scusa, ma come faccio con Valeria? Che le dico?
- Non lo so e non me ne importa. Inventati una scusa qualunque, dille che hai mal di testa, fingi un attacco di diarrea, basta che torniamo a casa.
Niente da fare, non riesco a convincerlo in nessun modo e visto che davvero al cuor non si comanda, sono costretto a fare una epocale figura di merda con Valeria, ma almeno decido di dirle la verità, senza inventare stupide bugie.
- Valeria…
- Sì?
- Mi spiace, debbo riaccompagnarti a casa. Non me la sento, scusami.
Lei ha un lampo d’odio negli occhi, ma si contiene alla grande. Dice solo Ok andiamo, e si avvia verso la macchina.
Io la seguo. Non mi sono mai sentito così un verme in vita mia.
Durante il tragitto non vola una mosca, ce ne stiamo tutti e due in silenzio. Fermo l’auto vicino casa sua, lei apre la portiera, scende, poi si volta e dice Scordati il mio numero.
- Ecco fatto, dico al cuore, sei contento? Hai rovinato una bella serata e ferito Valeria che non si meritava un simile trattamento.
- Chissenefrega! Non m’importa di nessuna Valeria, voglio solo andare a casa e stare per i fatti miei!
- Ma perché? Non vedi che stai imboccando una strada triste e senza uscita?
- Lo so, forse mi occorre solo un po’ di tempo.
- Un po’ di tempo dice…ma che tempo e tempo! Di tempo ne hai avuto a tonnellate, ma non è cambiato niente! Ti stai comportando da cretino! Devi scuoterti, devi reagire! Possibile che ogni volta, anche per una stupidaggine, ti ferisci e ti blocchi come se fosse successo chissà che? Non sei un cuore da uomo, sei una femminuccia! Devi essere più combattivo, più veloce a guarire che cazzo! Devi cambiare!
- Come sei ingenuo. La mente può cambiare con l’età, le esperienze, l’istruzione, ma il cuore non cambia mai. Resta sempre quello. Hai dimenticato cosa scrive Schopenhauer in proposito?
Ero talmente arrabbiato che decisi di non continuare quella discussione e di tonare a casa.
Una volta lì, come prima cosa andai in bagno a sciacquarmi la faccia e poi presi dalla libreria un volume del vecchio Arthur.
Così quella serata si concluse con io che filosofavo in poltrona e quel deficiente del cuore ad abbracciarsi lo stramaledetto cuscino.

venerdì 24 giugno 2011

Apocalisse blu

Una notte cupa e senza stelle, gravava sull’addormentata città di Trafalmignòt.
Neanche la luce argentea della luna rischiarava un po’ quel fosco panorama perché coperta da nubi minacciose. Nella vicina foresta di Merdràl i gufi e le civette intonavano il loro canto sinistro fatto di striduli versi, mentre i lupi si aggiravano affamati tra gli alberi e i cespugli.
In una radura della foresta si erano accampati alla bell’e meglio Belisario di Cappadocia, valoroso cavaliere errante e il suo fedele scudiero Crapone Menefregazzo. Presto, l’aurora dalle dita rosate venne a scacciare quell’atmosfera demoniaca dipingendo in cielo uno dei rari spettacoli che siano riusciti a Dio nella Creazione. A oriente, come al solito, sorse il poderoso astro solare che con i suoi raggi andò a bussare, delicatamente, sulle palpebre di Belisario.
Il prode cavaliere aprì gli occhi, stiracchiò le braccia e balzò in piedi con slancio. Raccolse la bisaccia che aveva appesa ad un ramo e si bagnò vigorosamente il viso. Poi a gran voce chiamò Crapone.
“Ehy, Crapone, sveglia! Ci aspetta un’altra gloriosa giornata piena di fantastiche avventure!”
“Mi scusi, vossignoria,” disse Crapone con la voce ancora impastata dal sonno, "prima delle avventure non potremmo fare una tappa alla locanda? Son due giorni che non mangiamo...”
“Taci, o gretto plebeo! Quello che conta sono le imprese memorabili! Mangeremo quando capiterà. Vai a prendere i cavalli piuttosto, dovremo affrontare una lunga cavalcata verso la lontana città di Postriboli"
Crapone, ammutolito dalla sferzata del suo padrone, andò a prendere i cavalli mentre lo stomaco emetteva l’ormai consueto brontolio. Dopo circa tre ore che cavalcavano, i nostri eroi giunsero nei pressi del fiume Olezz e Belisario decise di fare lì la prima sosta per riposare le stanche membra e far abbeverare i cavalli. Indi smontarono e con le briglie in mano si diressero verso il fiume quando, sulla riva, scorsero un poderoso cavallo nero.
“Guardi Signore, che bel cavallo!”, urlò Crapone entusiasta.
“Ssssh, Crapone! Non fare rumore! Voglio avvicinarmi piano piano, per catturarlo. E’ davvero una magnifica bestia. Lo monterò io e a te darò il mio così non sarai più costretto a stare in groppa di quel ronzino fetente”
“Grazie, Signore”
“Prego, ma ora sta fermo e zitto. Non vorrei che la nostra preda scappasse”
Crapone serrò le labbra e restò immobile come una statua di cera mentre Belisario quatto quatto si avvicinava all'agognato morello. Appena il temerario cavaliere ebbe fatto qualche passo, il cavallo alzò la testa e guardò Belisario continuando a ruminare la sua erba. Belisario si arrestò e fissò, a sua volta, il cavallo negli occhi. Continuarono a fissarsi per un po’ finché l'equino disse: “E allora? che facciamo?”
A Crapone per poco non prese una sincope e spaventato gridò: “Signore il cavallo ha parlato!!”
“Ho sentito, Crapone. Guarda, ha una stella bianca sulla fronte. Dev’essere il leggendario Ducefalo, il cavallo magico”
Quindi si rivolse al quadrupede parlante. “Sei tu Ducefalo, il cavallo dai mille prodigi?”
“Sì, sono Ducefalo, ma perché dici mille prodigi? L’unico prodigio che so fare è quello di riuscire a godere anche se mi hanno castrato da cucciolo”
“Ah, e come fai?”
“Alzo la coda"

giovedì 23 giugno 2011

Il marxismo del vino polacco annata '69 [seconda parte]

Per Marx, la storia deriva dalla necessità dell’uomo di dominare tecnicamente la natura.
La crescente coscienza dell’umanità le ha poi permesso di organizzare una società e uno Stato che sono prima di tutto un sistema di produzione di beni. L’aspetto primario consiste nel fatto che in questa organizzazione, un uomo deve essere sottomesso è sfruttato da un altro uomo, per poter giungere all’accumulazione dei beni.
L’uomo che fa parte di un gruppo è soggetto alla sua legge, che esige la forza, e questa forza è la conseguenza dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo: ad esempio, l’esercito, o gli schiavi, le caste, i differenti livelli nei sistemi feudali, le classi.
È l’uomo che costringe l’uomo a lavorare.
Tocchiamo, ora, una questione molto cara a Marx, ossia la massa degli sfruttati.
La massa degli sfruttati soggiace alla classe dominante che crea le sovrastrutture come la filosofia, la religione, la legge, che, per dirla in breve, organizza la coscienza.
Le sovrastrutture servono a perpetuare lo sfruttamento.
Ad esempio la religione afferma che ogni autorità deriva da Dio, che coloro che sono infelici in questo mondo andranno in paradiso, per cui il senso profondo, l’unico, della religione consiste nel trasferire la giustizia in un altro mondo.
Marx illustra come la religione cristiana e la filosofia funzionino come sovrastrutture.
Il cristianesimo, che all’inizio ha avuto il carattere di una rivoluzione degli schiavi di Roma, ha tuttavia sempre mantenuto un fondamento metafisico: Dio, su cui ha edificato la Chiesa, ossia uno strumento di sfruttamento. Quando consideriamo la morale vigente, vediamo che essa consiste essenzialmente nel conservare il diritto proprietà e nell’imporre i valori borghesi al proletariato.
Marx si scaglia anche contro la filosofia; tant’è che egli non si considerava un filosofo e cercava un’uscita dalla filosofia. Basta ricordare la celebre XI tesi su Feuerbach:
I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.
Marx considerava la filosofia come essenzialmente speculativa, non impegnata a trasformarlo sto cazzo di mondo. Il peccato capitale della filosofia è quello di rifugiarsi nella metafisica.
È la ragione separata dalla sua base, una sovrastruttura che cerca di nascondere le proprie origini, che cerca valori assoluti e non si cura delle necessità umane. Anche le nostre leggi costituiscono un sistema che tende a consolidare il diritto di proprietà e di sfruttamento. Qui il marxismo denuncia la mistificazione, proprio come Freud, o Nietzsche. Anch’essi l’hanno fatto, dimostrando che dietro i nostri “nobili” sentimenti si nascondono i complessi, le viltà, il sudiciume della vita. È uno dei grandi meriti di Nietzsche, che ha operato una critica estremamente perspicace degli atteggiamenti considerati puri, dimostrando che il nostro pensiero è fatto della stessa materia di tutte le altre cose.
Tutto questo ci permette di scoprire, per così dire, la prima natura dell’uomo. La seconda è una natura deformata dagli uomini, dalle necessità di questo sistema di sfruttamento che è stato chiamato società, e il cui scopo è di produrre beni. Il sistema economico in cui ci troviamo deforma la nostra coscienza.
Abbiamo visto come per il marxismo la religione, la morale, la filosofia si pongano quale unico fine la mistificazione, il mantenimento dello schiavo nella sua schiavitù.
Giungiamo, ora, alla famosa teoria del plusvalore.
I capitalisti, ossia i membri della classe dominante, comprano il lavoro come se fosse una merce, cioè al miglior prezzo possibile. Questo miglior prezzo consiste in quello di cui l’operaio ha bisogno per nutrirsi e generare i figli.
Il plusvalore si crea perché l’operaio rende molto di più del salario che riceve; il resto va al capitalismo. Questo è il plusvalore.
Il lavoro dell’operaio è soggetto, come tutte le merci, alla famosa legge economica di Adam Smith, secondo la quale se l’offerta è maggiore della domanda, la merce si deprezza.
Questa legge spiega il processo di svalutazione. Per frenare la svalutazione bisogna aumentare l’offerta, ossia la produzione.
Se si svaluta la moneta, è necessario metterne in circolazione una sempre maggiore quantità. Poiché il plusvalore finisce nelle tasche del capitalismo, gli operai devono offrire il proprio lavoro a prezzi sempre più bassi. Si determinano così la svalutazione del lavoro e l’aumento del capitale, che è una forza anonima, al di fuori dell’umano, e questo dà luogo alla famosa alienazione. L’uomo alienato, ossia che non può essere se stesso, è costretto a produrre come una macchina, anziché avere una propria vita.
Il plusvalore è una delle teorie più affascinanti e complesse di Marx, ma ora, essendo ingestibile, vorrei concludere il post facendo una considerazione controversa sul controverso capitalismo.
Il capitale serve a creare nuova ricchezza, e lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo non ha come fine la felicità dell’individuo. Il capitalismo non favorisce unicamente il capitalista, che può consumare solo entro certi limiti: ad esempio, non può comprare più di cento cappelli, o più di uno yacht all’anno. E il resto del suo denaro dove finisce? A creare altre fabbriche, altre industrie, e in questo modo la potenza tecnica dell’umanità si accresce. Lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo non favorisce solo pochi individui, ma è piuttosto una necessità fondamentale del progresso umano, che è estremamente complesso.

Ci rivediamo nella terza parte, ove parleremo della rivoluzione.

mercoledì 22 giugno 2011

Perchè l'uomo fa la guerra?

Posto la teoria del comico americano George Carlin sul perchè l'uomo è così affamato di guerra. Il discorso si riferisce agli USA e alla guerra del Golfo, ma, secondo me, si può benissimo adattare a qualsiasi guerra e a qualunque paese occidentale.
Ho preferito trascriverla e non pubblicare il video perchè voglio conservarla e anche perchè i video di youtube a volte spariscono sia dai blog che dal web.
Enjoy!

Su questa guerra non la penso come ci hanno detto che dovremmo, nel modo in cui ci è stato ordinato e comandato di pensarla dal governo degli Stati Uniti. La mia mente non funziona così.
C’è una cosa veramente idiota che faccio. Si chiama pensare.
E non sono un buon americano perché mi piace farmi la mia opinione da solo.
Non rotolo quando me lo dicono. Triste a dirsi, la maggior parte degli americani si rotola a comando. Non io.
Io vivo secondo certe regole. La prima regola: non credo a nulla di quello che mi dice il governo. Nulla. Zero!
E non prendo molto sul serio i media e la stampa di questo paese che nel caso della guerra del Golfo non sono stati che impiegati non pagati del Ministero della Difesa, e che il più delle volte, fungono da agenzia non ufficiale di pubbliche relazioni del governo degli Stati Uniti.
Perciò non li sto ad ascoltare. Non credo al mio paese. E devo dirvelo, gente, non mi viene il nodo in gola per nastri gialli e bandiere americane [i nastri gialli, durante la prima guerra del Golfo, erano il simbolo del sostegno alle truppe].
Li considero in quanto simboli e i simboli li lascio ai sempliciotti.
Io la guerra la vedo un po’ diversamente.
Per me la guerra non è altro che un grande agitare il cazzo, ok? Semplice, altro non è.
La guerra è una massa di uomini in piedi in un campo che si agitano il cazzo in faccia a vicenda. Gli uomini provano insicurezza per le dimensioni del proprio cazzo e quindi devono uccidersi a vicenda per superarla.
È questa l’origine di tutte quelle stronzate da sportivi. È l’origine di tutto questo atteggiarsi e pavoneggiarsi come macho adolescenti nei bar e negli spogliatoi.
Si chiama paura del cazzo.
Gli uomini sono terrorizzati dal fatto che i loro cazzi siano inadeguati e quindi devono entrare in competizione per sentirsi meglio. E visto che la guerra è la competizione definitiva, fondamentalmente gli uomini si uccidono l’un l’altro per incrementare la propria autostima. Non c’è bisogno di essere uno storico o un politologo per cogliere il funzionamento della teoria politica estera da cazzo più lungo.
Suona più o meno così: “Cosa? Hanno il cazzo più lungo? Bombardiamoli!” e ovviamente le bombe, i razzi e i proiettili sono tutti a forma di cazzo.
È il bisogno inconscio di lanciare il pene negli affari altrui. Si chiama fottere la gente!
Quindi per quanto mi riguarda, l’intera questione del Golfo Persico non è stato altro che un enorme combattimento tra stronzi che agitano il cazzo.
In questo caso particolare, Saddam Hussein ha messo in discussione le dimensioni del cazzo di George Bush. E George Bush è stato definito incompetente per così tanto tempo (incompetente fa rima con impotente…) George è stato definito incompetente per così tanto tempo, che ha dovuto manifestare le sue fantasie virili mandando a morire i figli altrui. Anche il nome: Bush, “cespuglio”…anche il nome Bush, è collegato ai genitali senza essere i genitali. Il cespuglietto è una sorta di passiva e secondaria caratteristica sessuale. Ora se il suo nome fosse stato George Cazzoduro forse si sarebbe sentito un po’ meglio e non avremmo avuto problemi laggiù fin dall’inizio.
L’intero paese ha un problema di virilità, un grosso problema di virilità per gli USA. Lo si può dire dal linguaggio che usiamo. Il linguaggio ti tradisce sempre. Cosa abbiamo sbagliato in Vietnam? Ci siamo tirati fuori. Non una cosa molto virile da fare, vero? Quando fotti la gente, devi restare dentro e fotterla per bene, fotterla fino in fondo, fotterla fino alla fine! Fotterla a morte! Resta dentro e continua a fotterli finché non sono tutti morti!
Abbiamo lasciato un po’ di donne e bambini vivi in Vietnam e non siamo stati bene con noi stessi da allora. È per questo che nel Golfo Persico George Bush ha dovuto dire: “Questo non sarà un altro Vietnam”. Ha davvero usato queste parole.
Ha detto: “Questa volta andremo fino in fondo”.
Immaginate un presidente americano che usa il gergo sessuale di un tredicenne per descrivere la sua politica estera. Se volete sapere cos’è successo nel Golfo Persico, ricordatevi solo i nomi dei due uomini che hanno gestito questa guerra: Dick [=cazzo] Cheney e Colin [=colon] Powell.
Qualcuno è stato fottuto nel culo!

martedì 21 giugno 2011

Les Demoiselles d'Avignon

Dopo Dalì, è ora di far debuttare Picasso sul blog.
Molti altri lo seguiranno, perchè io amo la pittura ed i pittori. Non saprei dire se amo di più i pittori o i musicisti, ma questo ora non importa.
Sto leggendo una monografia sulla vita e le opere di Picasso, che copre il periodo che va dal 1881 al 1914.
Nel 1907 Picasso dipinge les demoiselles, un quadro che diverrà uno dei più importanti del '900.
Il progetto di quest'opera fu tra i più faticosi per Pablo. Lavorò mesi su schizzi e disegni prima di giungere all'esecuzione definitiva, ma dopo averla mostrata agli amici dovette affrontare un lungo periodo di delusione per le critiche ricevute.
Matisse, Braque, Derain, i collezionisti come Gertrude Stein, Sergej Scukin, i mercanti Kahnweiler e Uhde non capirono immediatamente il senso della nuova strada intrapresa da Picasso. Tra i più indignati vi fu Matisse, che definì il lavoro un oltraggio, un tentativo di mettere in ridicolo il movimento moderno.

Il punto di partenza dell'opera era un interesse per le figure di nudi, associato a una malinconica predilezione per gli ambienti squallidi. Il tema, un gruppo di prostitute in un bordello di Barcellona, rimase il medesimo anche attraverso le fasi preparatorie.
Picasso partì da una composizione affollata: uno studente, scostando la tenda, entra nella stanza dove cinque donne lo attendono assieme a una figura maschile, forse un marinaio. Il teschio e i fiori al centro della sala scompariranno nella tela finale.
Il punto d'approdo sarà un lavoro in cui forme geometriche taglienti e spigolose s'incastrano per dare forma a personaggi scomposti, contorti, dove gli oggetti e i piani sembrano ribaltarsi verso lo spettatore. La donna all'estrema sinistra solleva una tenda rosa; il profilo duro assomiglia a quello dei dipinti egizi, mentre le due figure al centro hanno maggiore affinità con gli affreschi medioevali della Catalogna. La figura in alto a destra e quella sotto hanno volti simili a maschere, apparentemente slegati dal corpo. Non c'è sfondo in questa tela, nè illusione spaziale.
Linee chiare e scure segnano i contorni delle forme essenziali attraverso uno stile sintentico.

Mi piacerebbe che ognuno che passasse di qua, lasciasse un suo pensiero su Picasso.

lunedì 20 giugno 2011

Attento a non convertirla troppo, caro baciapile. Che farai quando sarà diventata una suora?

Quando avevo circa diciassette anni, mio padre mi disse una cosa. Che cosa di preciso non saprei perché mio padre non me lo sono mai cacato.
Io, fortunatamente, ho preso tutto da mia madre a cominciare dall’indole, dal carattere, dal colore degli occhi e dei capelli. Certamente ho preso anche i suoi difetti e non so se sia un bene il fatto che io sia visceralmente “materno”. [anzi, sicuramente no e mi spiace aver causato diminuzioni di libido nel pubblico]
Mio padre non m’è mai piaciuto e da piccolo era solo una sensazione che non riuscivo né a capire né ad accettare; da adulto credo di dover imputare questa insofferenza nei suoi confronti al fatto che è egoista e meschino; cioè il tipo di persona che io più odio e che più non voglio essere o diventare. [oddio, credo proprio che anche quest’odio verso il padre faccia di me un uomo medio borghese di mezza tacca]
Chissà se è un fatto d’età e prima o poi sarò anch’io così, oppure la radice essenzialmente e profondamente buona di mamma mi salverà. Lo scoprirò solo vivendo. [a proposito, ma le persone egoiste sanno di esserlo o non se ne rendono conto?]
Comunque non divaghiamo, la vera notizia è che a diciassette anni decisi che la mia vita sarebbe stata il più possibile piena di poesie e di poeti. Non speravo certo che avrei goduto di essi tutti e 365 giorni dell’anno, ma puntavo almeno all’onorevole quota di 150.
Il mio poeta preferito è Dino Campana. Rimando ai prossimi post la spiegazione di questa mia preferenza, dico solo che l’estate scorsa ebbi la fortuna di recarmi a Marradi (il suo paese natio) e di visitare la sua casa così isolata, austera e quasi spettrale con tutte le finestre chiuse. Ma più che il paese, la casa o il museo a lui dedicato ero andato da quelle parti soprattutto per aggirarmi tra i monti dove lui si ritirava per leggere, studiare e scrivere.
Fu un’emozione stupenda, una gioia nel cuore camminare su quelle montagne, respirare quell’aria e fu per me divertentissima la scena dei passanti che mi guardavano come fossi un marziano. C'avevano ragione, poverini.
Che pensereste voi vedendo un tizio con la barba sfatta, mezzo ubriaco, che con due valigie scala montagne in pieno agosto indossando una maglia nera con la faccia di Gesù Cristo con la scritta Never Trust A Hippy?
Godetevi La Chimera.
Non so se tra rocce il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina o Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfi rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.

domenica 19 giugno 2011

The SlutWalk (la marcia delle sgualdrine)

Prendete una città qualunque, diciamo Toronto.
Immaginate un poliziotto con il quoziente intellettivo del 25% inferiore a quello di un’ameba.
Trasportate questo poliziotto in una scuola di quella città canadese a parlare in una classe, per una di quelle pallosissime conferenze che spesso organizzano negli istituti scolastici (anche se i ragazzi in fondo son contenti, almeno non si fa lezione).
Orbene, ora leggete cosa dice il poliziotto ad un certo punto della conferenza: “Se le donne non vestissero da sgualdrine, non correrebbero il rischio di essere violentate”.
BOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOM!!!
Questa frase ha scatenato un’ondata di proteste da parte del mondo femminile, ma non solo. Dal Canada agli Stati Uniti, dalla Nuova Zelanda all’Inghilterra è partita quella che è stata chiamata la SlutWalk (marcia delle troie) per rivendicare il diritto di andare in giro vestite come pare a loro senza sentirsi accusare di attirare gli stupratori.
La SlutWalk è un movimento fondato da due donne canadesi, Sonya Barnett e Heather Jarvis; la prima marcia è stata organizzata il 3 aprile a Toronto ed è stata seguita da moltissime donne vestite in maniera provocante, con guepiere e calze a rete, reggiseni, tacchi a spillo e qualcuna brandiva anche dei falli di plastica (a Napoli la marcia si chiamava Nun simme zoccole e falli di plastica non ne ho visti, ma bambole gonfiabili sì).
“Mostrare le gambe non significa aprirle”, “Sì significa sì e no significa no” e “Non puoi toccarmi le tette senza il mio consenso” sono gli slogan più popolari delle slutwalkers, che hanno organizzato un’altra grande manifestazione a Londra a causa delle dichiarazioni del ministro della giustizia Ken Clarke che aveva rilasciato questa perla: “C’è stupro e stupro. Quando chi subisce violenza conosce lo stupratore, il reato può essere derubricato a stupro di seconda classe”.
Ora, non dico che codesto ministro mi abbia fatto apprezzare il nostro Angelino Alfano, ma c’è mancato davvero poco.

sabato 18 giugno 2011

Il caso Cesare Battisti, un primo scritto


Il caso Battisti, recentemente salito agli onori della cronaca, è un caso difficile, perché la questione è complicata e controversa.
Quello che mi sento di dire è che in questo caso, come in tutti i casi d’attualità, le fonti le cerco da me e non m’appoggio né agli opinionisti scorreggioni che infestano la tv né ai grandi giornali che di “grande” hanno solo il padrone alle loro spalle. Il chiasso mediatico, l’opinione che diventa una “massa berciante” non fa per me. Sono pigro di corpo, non di cervello.
Ho spulciato il web, letto articoli su articoli, ma non ho ancora una posizione ben definita.
Innanzitutto ci son due cose che non mi sono chiare: 1) perché Battisti, condannato più di venti anni fa, venga richiesto dall’Italia solo ora; 2) perché pretendiamo Battisti dal Brasile e non ce lo siamo fatti consegnare dalla Francia, paese amico, alleato, con rapporti diplomatici secolari, al quale siamo legati (tra l’altro) dalla comune appartenenza all’Unione Europea.
Cominciamo dai processi che si svolsero negli anni ’80. Sono stati processi giusti, condotti sotto il magistero del Diritto?
Le carte processuali evidenziano come l’attribuzione dei delitti a Battisti trovino fondamento esclusivo nelle parole di un paio di pentiti, essi stessi appartenenti ai PAC, che oltre ad essersi più volte contraddetti, avevano tutto l’interesse alla chiamata in correità in considerazione dei vantaggi previsti dalla legislazione premiale in favore del pentitismo, tanto che alla fine, effettivamente, le accuse a Battisti son valse loro dei più che sostanziosi sconti di pena.
È un fatto che i processi di quegli anni, in casi come questo, si svolsero secondo un modello prettamente inquisitorio, quindi si deve tener conto di una tecnica processuale che certo non mette i diritti di difesa dell’accusato al centro dei propri interessi.
Ora ti posto qualcosa che ho trovato sul sito di Carmilla, poi starà a te continuare a cercare ed “indagare”. Non accettare mai nessuna risposta preconfezionata. Neanche da me.

Un processo dubbio

- Quando Battisti subì il primo processo, nel 1981, fu condannato a 12 anni di prigione per possesso di armi e associazione sovversiva. La pena risultò pesante perché aumentata da finalità terroristiche. Evase, riparò in America Latina.
- Le condanne successive all’ergastolo gli caddero addosso lui assente. Una serie di “pentiti” dei PAC, Proletari Armati per il Comunismo, gli attribuirono tutti i crimini compiuti dall’organizzazione. Solo poco a poco ammisero che certi delitti attribuiti a lui li avevano commessi loro.
- Il pentito principale, Pietro Mutti, smentì più volte se stesso. Ha di recente lasciato intuire che lo fece sotto tortura. Le sue rivelazioni sono tutte di seconda o di terza mano. Ha detto poco tempo fa che vide di persona Battisti uccidere il direttore del carcere di Udine, Santoro. Peccato che, dagli atti giudiziari, ciò non risulti possibile. Mutti avviò anche l’infausta “pista veneta”, che vedeva l’OLP di Yassir Arafat quale sponsor delle Brigate Rosse. Finì in nulla.
Noi preghiamo di leggere la sentenza del 1988 contro Battisti e i PAC. Sembra irreale, eppure è quella vera. A quel tempo le sentenze si scrivevano così, con catene di “sentito dire”. Oggi si spera – senza troppa convinzione – che sia diverso.
- Mutti fece arrestare tale Sisinnio Bitti. Lo aveva ascoltato, in un bar, dirsi d’accordo con l’omicidio del gioielliere Torregiani. Bitti fu arrestato e sottoposto a percosse che gli lesero l’udito. Successivamente fu catturato di nuovo e subì anni di prigione. Ciò per la frase al bar, udita da Mutti.
- A parte l’incrocio tra pentiti e dissociati, non esiste alcun riscontro ulteriore che accusi Battisti.

Battisti è innocente?

Non possiamo affermarlo. Di una serie di azioni armate, inclusi azzoppamenti e atti gravi, fu sicuramente responsabile, e non lo ha mai negato. Ci limitiamo a notare che:
- Il caso che gli viene più di frequente attribuito, l’omicidio Torregiani, è l’unico che sicuramente non lo vide presente. I colpevoli furono arrestati poco dopo il delitto. Battisti, accusato del simultaneo omicidio Sabbadin, fu tirato in ballo molto più tardi, per avere partecipato alla riunione che decise i due attentati.
- Battisti fu condannato in contumacia, e mai più potrà rispondere dei suoi presunti crimini. La legge italiana, unica in Europa, non prevede una ripetizione del processo, qualora il contumace sia catturato.
- Se estradato in Italia, verrebbe sottoposto al famigerato articolo 41 bis, riservato a terroristi e mafiosi. Avere contatti con lui diventerebbe difficilissimo.
- Fra i motivi di riluttanza delle autorità brasiliane all’estradizione, c’è il fatto che lì la colpa si estingue in vent’anni di buona condotta. Da noi in trenta, e non è detto (fonte: Amnesty International, Brasile).
- La legislazione brasiliana non contempla l’ergastolo, ritenuta sanzione disumana, al pari della pena di morte.

Quando avrò finito di leggere Il caso Battisti. Un terrorista omicida o un perseguitato politico? di Giuliano Turone ne riparlerò.

venerdì 17 giugno 2011

Odio i tranci di baccalà

[Interno di una casa piccolo borghese o minimal chic. Un uomo è stravaccato sul divano e sta guardando la tv. D'improvviso, una donna si frappone fra lui e lo schermo]


- Ciao Andrè.
- Ciao pupa.
- Ascolta, dovrei dirti una cosa.
- Di' pure; tutto ciò che vuoi tesoro! ma scommetto che non sarà “una cosa”.
- In che senso?
- Nel senso che immagino tu voglia dirmi “più cose”; ho ragione?
- Sì, è vero.
- Vai, allora. Senza remore.
- Senza…?
- Remore, cioè senza paura. Rendimi partecipe di quello che la tua testolina ha deciso di espormi.
- Perché sei così scurrile quando parli?
- Ma non è vero, cazzo.
- Perché non cerchi di essere più profondo?
- Ok, da oggi in poi tirerò fuori la voce direttamente dal diaframma.
- Intendevo dire perché sei così superficiale?
- Perché è alla superficie delle cose che tutto avviene.
- Perché parli sempre di scemenze?
- Perché nessuno mi paga per essere impegnato.
- Perché non provi ad essere serio ogni tanto?
- C’ho provato una volta ed ero talmente concentrato ad essere serio che girai per tuto il paese con la patta aperta.
- Perché non stai più attento con i soldi? Sei uno scialacquatore.
- Vabbè, vorrà dire che mi accenderò le sigarette con i pezzi da 50 euro e non da 100.
- A proposito di sigarette, perché non cerchi di smettere di fumare?
- Perché non trovo nient'altro che mi uccida lentamente dandomi tanto piacere.
- Perché non cerchi di essere edificante?
- Scusa, rifammi la domanda. Mi stavo togliendo il cotone dall’ombelico.
- Voglio dire che dovresti provare ad essere un po’ più poetico.
- Ma per me tutto è poetico, anche un usignolo con la diarrea.
- Mi dispiace, ma devo dirti che sei insensibile.
- Solo perché l’altro giorno ho aiutato una vecchia ad attraversare la strada e l’ho lasciata in mezzo alla carreggiata?
- La delicatezza non sai nemmeno dove sta di casa.
- Certo che lo so, sta in via dai coglioni.
- Sei troppo brutale, troppo veemente.
- Son così: fecale e abbacinante.
- Vabbè, sei incorreggibile.
- Già, ma tu non ti arrendi e vuoi che cambi, vero?
- No, non voglio cambiarti. Vorrei solo che tu fossi diverso.
- Per te me la sentirei di provare a cambiare. Non ti prometto nulla, ma se sei tu a chiedermelo posso tentare di cambiare almeno qualcosina.
- Lo faresti? lo faresti per me??
- Certo.
- Dici davvero??
- No.

giovedì 16 giugno 2011

Sitting on a cornflake / waiting for the cow to come

Avevo nostalgia dei suoi abbracci e d’improvviso ho abbrancato, stringendola forte, un’estranea per strada che s’è messa a gridare e quattro o cinque uomini, accorsi alle sue urla, m’hanno fatto un mazzo così.
Avevo nostalgia dei suoi lunghi baci; ho mangiato quattro chili di aringhe e io le aringhe le odio.
Avevo nostalgia di quando col suo nasino si strusciava sulla mia guancia; ho afferrato un gatto che stava su un muretto e me lo sono strofinato sul viso. Ora son pieno di graffi e forse ho la toxoplasmosi.
Avevo nostalgia della sua voce e ieri notte ho ascoltato a tutto volume Finché la barca va di Orietta Berti, beccandomi una denuncia per schiamazzi notturni, disturbo della quiete pubblica e spargimento di merda nell’etere.
Avevo nostalgia del suo calore e di quando ci tenevamo per mano; mi sono rinchiuso nel forno di un panettiere che s’è arrabbiato tanto che ha tentato di infilarmi tre sfilatini nel culo.
Avevo nostalgia dei suoi sms; ho dato un foglio con una settantina di frasi dei baci perugina e 100 euro a mia sorella come compenso perché me li inviasse sul mio cellulare.
Avevo nostalgia della sua vivacità, della sua gioia e della sua allegria e sono andato a teatro a vedere l’Opera da tre soldi di Brecht.
Avevo nostalgia di quando insieme aspettavamo l’alba o ci fermavamo ad osservare un tramonto e ho pisciato dal balcone su un folto gruppo di pellegrini che si recava a piedi al Santuario della Madonna di Pompei.
Avevo nostalgia del suo modo di pensare, di ragionare, di essere profonda e intuitiva e mi sono chiesto come potessi avere nostalgia di qualità che Lei non aveva mai posseduto.
Avevo nostalgia del suo sorriso e dei suoi occhi luminosi; ho comprato una maschera di carnevale di Berlusconi e ho fatto una rapina a un gioielliere che vende oro falso.
Avevo nostalgia del suo corpo, delle sue spalle, del suo seno prosperoso e del suo culetto a mandolino e sono andato da una puttana per poi scoprire che sono molto più economiche di quanto pensassi.
Avevo nostalgia del suo essere comprensiva, paziente e dolce nei miei confronti e ho acquistato in libreria un'edizione economica del Mein Kampf di Hitler.
Avevo nostalgia di quando facevamo l’amore; ho infilato il pene in una crostata di fragole e mia zia Clorinda, dopo averla assaggiata, ha fatto i complimenti a mia madre dicendo che era venuta più buona del solito.
Avevo nostalgia del suo magnifico modo di dedicarsi alla fellatio e ho capito che in fondo era l’unica cosa di Lei che mi mancava.

mercoledì 15 giugno 2011

Poema sulla prima volta che incontrai Freud

Mentre pensoso fumavo su un cavalcavia
Mi venne voglia di conoscer la psicologia
O forse dovrei dire la teoria psicoanalitica
Che potesse arricchire la mia mente stitica
Così presi un treno e mi recai da Sigmund Freud
Mentre nell’ipod suonava Ummagumma dei Pink Floyd
Il maestro mi diede il benvenuto
E volle che sul divan fossi seduto
Disse che all’inizio provò con l’ipnosi
Ma quei metodi eran troppo faticosi
Voleva curare l’isteria
E cercava una nuova terapia
Un giorno d’un tratto scoprì le libere associazioni
Che riuscivano a guarire lapsus, tic e altre distrazioni
Studiò i sogni e le interpretazioni
Per capir fobie, nevrosi ed ossessioni
Passò a parlare della sessualità
Di com'è nell’infanzia e nella pubertà
Mi illustrò il concetto di libido come forma di energia
Che condanna l’uomo all’inferno della poligamia
Parlò del narcisismo, dell’oggetto sessuale
E del perché alcune donne non fanno sesso anale
Andando avanti col discorso
Del brandy prendeva un altro sorso
Dichiarò che lui era l’inventore di una scienza
Che studiava, facendola a pezzi, la coscienza
M’affascinarono talmente questi “squartamenti”
Che gli chiesi subito ulteriori chiarimenti
Innanzitutto c’è l’oscuro Inconscio
Seguito dall’accessibile Preconscio
Col Preconscio basta un poco d’insistenza
Perché ci mostri docile la sua consistenza
Con l’Inconscio non basta l’assalto col cannone
Per abbattere la sua testarda rimozione
Altri personaggi si aggiungevano alla fiera
Mentre su Vienna e nello studio calava la sera
Apparve l’Es che è ciò che in noi è acquisito
Ed è l’istinto che nascendo abbiamo ereditato
A un secondo livello pose l’Io
Della nostra vita onnipotente Iddio
Il super-Io è l’influenza dei genitori e di ogni autorità
E si scontra col mondo e la sua esteriorità
Affrontò ancora molte altre questioni
Sociali, culturali e varie considerazioni
Il disagio della civiltà, il totem e i tabù
Ma io a quel punto non lo reggevo più
Mi disse d’Eros principio della vita
E di Thanatos che regna sulla sfiga
I poeti e che cos’è la fantasia
I castelli in aria e come nasce la mania
Continuò con sesso, coito e masturbazione
Ma io gli dissi fermo lì, qui son io a farti lezione.

martedì 14 giugno 2011

Chiudere la scuola con il vecchio Hank

Il sogno di ogni professore è quello di non rompere le palle ai propri studenti con noiosissime lezioni come i suoi professori avevano fatto con lui quando era anch'egli uno studente. È anche il mio sogno e ci provo, ci provo davvero.
All’inizio dell’anno scolastico, consegnai ai ragazzi di V questo frammento di Deleuze.
Il frammento deleuziano è nel mio cuore perché dà un’idea precisa di quello che può essere la filosofia e quale uso se ne può fare ai nostri giorni. Al di fuori delle dinamiche scolastiche, universitarie, cattedratiche e cacalibresche.
Del resto è una superstizione di questi tempi malandati credere che la filosofia sia solo teoria, un vuoto arzigogolare in astratto, insomma qualcosa per masturbarsi il cervello. Ritengo sia compito di un professore di filosofia estirpare le credenze sciocche e stereotipate sulla sua materia e cercare di far capire ai ragazzi come stanno davvero le cose con essa.
In questi ultimi giorni di scuola, mentre affrontavamo la storia della filosofia del Novecento (Sartre, Heidegger, gli esistenzialisti, la Scuola di Francoforte ecc.), ho portato loro un frammento tratto da Musica per organi caldi del mio amato Bukowski.
Era un modo per far capire che la filosofia non è confinata ai filosofi, né si trova soltanto nelle loro opere o nei manuali scolastici. Voleva essere un tentativo per dire loro che un compito prettamente filosofico è quello di allargare gli orizzonti, andare oltre le etichette e diffidare sempre e comunque anche dei filosofi stessi. C’era un po’ di ironia in tutto questo, chissà quanti di loro l’hanno colta...
Lo regalo anche a voi, mes amis.
Prese L'uomo in rivolta di Camus e ne lesse qualche pagina.
Camus parlava di angoscia, di terrore e dell'infelicità della condizione umana, ma ne parlava in modo così sereno e fiorito... il suo linguaggio era tale da dare l'impressione che niente sarebbe mai riuscito a scalfire né lui né il suo stile. In altre parole, era lo stesso che se tutto fosse andato nel migliore dei modi. Il suo modo di scrivere era quello di un uomo che aveva appena finito di mangiare una grossa bistecca, con contorno di insalata e di patate fritte, accompagnandola con una bottiglia di buon vino francese. Forse l'umanità soffriva, ma lui no di sicuro.
Molto saggio da parte sua, ma Henry preferiva qualcuno che urlasse quando il mondo andava a fuoco. Lasciò cadere il libro e cercò di dormire.

lunedì 13 giugno 2011

Terrore tra le chiappe

Con facebook ho un rapporto intermittente.
A volte lo uso, a volte non lo uso. Mi rendo conto, pensandoci, che praticamente con tutto ho un rapporto basato sull'intermittenza perché con ogni cosa conosco momenti intensi e momenti di stasi.
Solo con le donne il rapporto è diverso perché con loro non c’è alcun tipo di intermittenza, ma un rapporto che definisco “d’apice”. L’apice delle rotture di palle.
Non andiamo fuori traccia.
Oggi me ne stavo tutto bellino su facebook a salutare, linkare e commentare a destra e a manca, quando noto un post con la notizia che gli Ameri kani hanno ammazzato non ricordo chi di Al Qaeda. Visto che mi trovavo lì a cazzeggiare, ho commentato con la prima frase che m’è venuta in mente: ecco, ora ricomincerà il ritornello il mondo è più sicuro.
Stop.
Una persona simpatica clicca su mi piace, una normale la legge e la dimentica dopo 5 secondi, una che non sta bene con la capa mi spara sto delirio: Controprova puramente a livello di ragionamento: se da domani Maometto (o Mao, o Cristo) resuscitassero tutti i terroristi religiosi uccisi dall’antiterrorismo negli ultimi dieci anni saremmo più o meno sicuri?
L’Ingestibile [che sarei io] sarebbe più contento o meno contento se fossimo meno sicuri?
Sono ateo e sconcertato (oltre che disgustato) dal filoislamismo degli orfani del comunismo!

Confesso che davanti a sta sortita ho avuto la stessa reazione di Giovannone davanti alla supercazzola del conte Mascetti: non c’ho capito un cazzo.
Mi sono limitato a rispondere che non credo che Mao possa resuscitare nessuno visto che non ha le “amicizie importanti” degli altri due e che non solo sono un filoislamico orfano del comunismo, ma sono pure un filorusso orfano del capitalismo e un filointerdentale orfano del vittimismo.
Poco dopo mi arriva un messaggio da un tizio che non conosco e questo è un limite di facebook: che qualunque mongo-testa-volante del web può mandarti un messaggio perché chissà come è collegato a te.
Riporto testualmente il messaggio:
Incontri di Meditazione, Condivisione e Consapevolezza
“Quando tutto va male, fermati e respira. Quando tutto va bene, fermati e respira”
Non siamo il nostro corpo, non siamo la nostra mente, non siamo circondati da nemici e difficoltà insormontabili...possiamo godere di ogni minuto, di ogni respiro, di ogni passo, di ogni incontro.
Possiamo esplorare tutto questo attraverso meditazioni statiche e dinamiche, esperienze guidate e rilassamento profondo e soprattutto possiamo condividere le nostre esperienze, le nostre scoperte, le nostre sensazioni, in questo comune cammino di crescita.
A sto punto non ho fatto niente di particolare né ho scritto una risposta, mi sono inclinato un po’ verso sinistra ho alzato un pochino la gamba destra e ho scorreggiato per 40 secondi.

domenica 12 giugno 2011

Non puoi togliermi l'illusione del cowboy solitario, tesoro

(opera dell'artista Orsa BIpolare)

- Che facciamo stasera, caro?
- Stasera c’è la finale di Champions League, avevo pensato di vederla con gli amici.
- Il calcio? Ma il calcio fa schifo, vero?
- Sì, tesoro.
- E poi i tuoi amici son tutti stupidi. Non preferisci stare con me?
- Sì, tesoro.
- Stasera ho deciso che andiamo al san Carlo perchè c’è un balletto che voglio vedere. Ti piace il balletto?
- Sì, tesoro.
- E’ meglio ammirare le piroette di Roberto Bolle o guardare alla tv ventuno deficienti in mutande che corrono dietro ad un pallone?
- Le piroette di Bolle, tesoro. Comunque i deficienti in mutande sono ventidue, non ventuno.
- Io mi ricordavo ventuno, sicuro di non sbagliarti?
- E’ vero, tesoro. Sono ventuno.
- Bene. Allora sarà meglio che scelga quale vestito indosserò stasera. Che dici? metto quello nero che mi rende sexy ed elegante nello stesso tempo o quello viola di seta così chic?
- Direi quello nero, ti sta d’incanto.
- Ma quello viola non mi sta ancora meglio?
- Sì, tesoro. Quello viola ti dona da morire.
- Ora che ci penso però, non ho dei gioielli da abbinare. Non mi regali mai niente.
- Il mese scorso ti ho regalato una parure di Bulgari.
- Il mese scorso è il mese scorso. Non merito almeno un brillante a settimana?
- Sì, tesoro.
- Prima che mi dimentichi. Ha telefonato quella megera di tua madre.
- Mia madre non è una megera e ti vuole molto bene.
- Non è vero, mi odia e ti mette contro di me.
- Ti giuro che non è così.
- Vuoi forse dire che sono paranoica?
- No, tesoro.
- Tua madre mi odia.
- Sì, tesoro.
- Ma tu sei dalla mia parte?
- Sì, tesoro.
- Pure tua sorella mi odia. È invidiosa perché io sono più bella di lei.
- Mia sorella? Ma se dice sempre che sei una cognatina adorabile.
- No, tua sorella mi odia e basta.
- Sì, tesoro.
- Poi insiste sempre per andare a mangiarci una pizza. Io non sopporto la pizza; è roba da barboni, no?
- Sarà da barboni, ma è buona dài! Margherita, capricciosa, marinara...
- No, la pizza fa schifo e basta!
- Sì, tesoro.
- Se si va fuori a cena bisogna prendere cocktail di scampi, aragosta e champagne, non sei d’accordo?
- Sì, tesoro.
- Che fai ora?
- Prendo una birra dal frigo.
- La birra? La birra è così rozza! Solo camionisti e muratori la bevono! Butta quella birra non la voglio neanche vedere!
- Sì, tesoro.
- Bravo, ora preparo una tisana. La tisana è meglio del caffe, non trovi?
- Bè, il caffè mi piace lo bevo da quando avevo dieci anni.
- No, il caffè è una bevanda stupida e macchia pure i denti.
- Sì, tesoro.
- Mentre l’acqua bolle, fumiamoci una sigaretta insieme. Le hai comprate le Lucky Strike?
- No, tesoro. Ho preso le Marlboro.
- Le Marlboro? Solo gli zoticoni fumano le Marlboro! Ora scendi e compri le Lucky Strike mentre io butto ste Marlboro puzzolenti.
- No, tesoro. Le Marlboro non si toccano.
- Non fare il cretino. Dammi quelle Marlboro o mi arrabbio.
- Arrabbiati pure, le Marlboro sono mie e ora me ne accendo una.
- Se lo fai non mi vedrai mai più. Scegli: o me o le Marlboro.
- Non sbattere la porta mò che esci.

sabato 11 giugno 2011

Referendum quesito quarto che poi ti squarto in mezzo al porto all'anema de chi te mmuorto

(opera dell'artista Orsa BIpolare)

Sapete quando si vota per i Referendum e sapete per cosa si vota ai Referendum.
Son settimane e settimane che se ne parla e vi avranno già rotto le palle le tv (poco per la verità), le radio, i giornali, facebook, i forum, internet in genere, i manifesti sui muri delle vostre città e gli attivisti coi loro bancarielli e megafoni. Ergo, siete già informati (o deformati che è lo stesso).
Chi non sapesse tutto questo o vive sulla Luna in un cratere ad equo canone o ha un abbonamento a qualche porno tv via cavo che trasmette capolavori dell'hard 24 ore su 24 e se ne sbatte del mondo reale per concentrarsi su dei corpi che si comportano come sassi che si strofinano.
Apro questo post per un motivo più limitato.
Leggo in giro di gente che non va a votare ai Referendum per tutta una serie di motivi, la maggiore delle quali essendo che i Referendum non servono a niente perchè poi i politici se ne sbattono.
Giusto, qui non ho niente da obiettare.
Così come non ho niente da obiettare a chi è per la privatizzazione dell'acqua e a chi vuole il nucleare. Se una persona ha raggiunto tali convincimenti, non starò a discutere. Però, c'è un però.
Mi chiedo: come può una persona sana di mente non precipitarsi alle urne per votare SI' all'abrogazione di quella legge mafiosa e medievale del Legittimo impedimento?
Me lo spiegate per favore?
Cioè un magagnone, piduista, mafioso si fa una legge per non dover sottostare ad un procedimento penale e garantirsi così l'immunità e l'impunità. Comoda la vita! Magari il mese prossimo si fa una legge per salvare le sue aziende e farsi un sacco di soldi! (dalla regia mi dicono che l'ha già fatto)
In pratica siamo al ridicolo; bisogna andare a votare per affermare una cosa ovvia: LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI.
Avevo promesso di non dilungarmi e non mi dilungo - quindi: alzate il culo e andate a votare SI' al quesito sul Legittimo impedimento.
Non avete scuse. Altrimenti dovrei pensare che siete delle persone piccine per le quali non fa problema che la mafia sia al potere.

venerdì 10 giugno 2011

Barack Obama, considerazioni varie


Innanzitutto devo dire che trovo disgustose quelle persone che si accalcano per salutare ed applaudire i capi di Stato quando questi fanno i cosiddetti viaggi ufficiali. Ultimamente Obama è stato a Londra è m'è toccato vedere un sacco di scimmie che erano lì a festeggiare. Ma cos'ha la gente nel cervello? bruchi? Quello è un politico, è un potente; il compito delle persone comuni è controllare e sapere cosa cazzo combina coi nostri soldi e con le nostre vite, non è una rockstar! Ma non c'è niente da fare, il popolo è suddito nel midollo.
Per quanto riguarda la composizione di questo post, mi servirò di alcune considerazioni lette nel No logo di Naomi Klein.
Obama prima di tutto è un super marchio.
Con Bush, la popolarità del presidente americano e degli Stati Uniti in genere erano arrivate ai minimi storici. Obama e il suo staff hanno messo in atto la campagna di rebranding più efficace della storia, e sono riusciti ad invertire completamente la tendenza.
Il suo guru dei social network è Chris Hughes, uno dei giovani fondatori di Facebbok. Il segretario per le politiche sociali è Desirèe Rogers, affascinante laureata in gestione d'impresa a Harvard nonchè ex direttrice marketing. E David Axelrod, il principale consulente di Obama, è stato socio della ASK Public Strategies, una società di relazioni pubbliche che ha orchestrato campagne per aziende come Cablevision e AT&T. Questa squadra di consulenti ha sfruttato tutte le risorse nel moderno arsenale del marketing per creare e sorreggere il marchio Obama: il logo perfettamente calibrato (un sole che sorge sopra la bandiera a stelle e strisce); un uso attento del marketing virale (suonerie a tema Obama); il product placement (spot pro Obama nei videogiochi sportivi); i contenuti generati dagli utenti (il tormentone di Obama Girl su You Tube, per esempio); uno spot tv da trenta minuti (che rischiava di apparire melenso, ma che invece è stato definito da tutti "autentico"); e le alleanze strategiche con altri marchi (Oprah Winfrey per ampliare al massimo il bacino d'ascolto, la famiglia Kennedy per darsi un tono di serietà; e un mucchio di star dell'hip-hop per costruirsi un'immagine al passo coi tempi).
Lo sfruttamento delle opportunità non è terminato, e neppure rallentato, con la vittoria alle elezioni. Obama ha trasformato la Casa Bianca in una specie di reality show senza fine che vede protagonista l'adorabile clan Obama. In questo modo la Casa Bianca è diventata il fiore all'occhiello del marchio Obama, uno spazio fisico in cui il governo può incarnare i valori di trasparenza, innovazione e diversità che hanno attratto alle urne tanti elettori.
Ovviamente non c'è niente di male in tutto questo. Perchè mai un presidente che vuole cambiare il Paese non dovrebbe sfruttare le tecniche del marketing come fa, per esempio, la Nike?
Il problema non è che Obama usi gli stessi trucchi e strumenti dei grandi marchi; chiunque voglia influenzare la cultura di oggi deve farlo per forza. Il problema è che, come è accaduto prima di lui a tanti altri marchi legati agli stili di vita, le sue azioni non sono minimamente all'altezza delle speranze suscitate.
E' presto per stroncare Obama, ma posso dirti questo: Obama preferisce sempre il vistoso gesto simbolico rispetto al cambiamento strutturale profondo. Quindi annuncia a gran voce di voler chiudere la famigerata prigione di Guantanamo; e intanto procede con l'espansione del carcere di Bagram in Afghanistan, di profilo più basso ma spaventosamente fuorilegge, e si oppone ai processi contro i funzionari di Bush che hanno autorizzato le torture. Nomina fra squilli di tromba la prima giudice latinoamericana alla Corte Suprema, e intanto intensifica le misure restrittive dell'era di Bush con un nuovo giro di vite sull'immigrazione. Investe nell'energia pulita, e intanto sostiene la fantasia del "carbone pulito" e rifiuta di tassare le emissioni, l'unico metodo sicuro per ridurre in modo sostanziale il consumo dei carburanti fossili. Si scaglia contro l'inaccettabile avidità dei banchieri, e nel frattempo cede le redini dell'economia a insider veterani di Wall Street come Timothy Geithner e Larry Summers, che prevedibilmente hanno ricompensato gli speculatori e non hanno smembrato le banche. E, quel che è peggio: Obama promette di porre fine alla guerra in Iraq, manda in pensione l'orrendo concetto di "guerra al terrore"; e intanto i conflitti ispirati da quella logica fatale si intensificano in Afghanistan e in Pakistan.
Queste e molte altre cose potrei aggiungere, ma la finisco qua per non annoiarvi.
Obama non mi eccita per niente, mi sta sul cazzo come tutti i presidenti, i re e i possidenti che infestano questa Terra.
Che la vostra parola d'ordine sia: OCCHI APERTI!

giovedì 9 giugno 2011

La cerimonia del massaggio

La principale caratteristica della divinità è sempre stata l'ironia, e infliggere a un peccatore candido come Geoffrey una pena tanto sproporzionata poteva allettare il cosmico umorismo dell'Onnipotente. Sapeva di essere ingiusto nei confronti di Dio, ma aveva sempre pensato che la divinità avesse un cotè malvagio.
Visto che in questi giorni s'è parlato di chiropratica, occhi orientali e punto G scheletrico, io non voglio essere da meno e vi parlerò de La cerimonia del massaggio, romanzo brevissimo di Alan Bennett. Prima però, metto sul giradischi l'Adagio per archi di Samuel Barber.
Dico subito che è uno scritto godibile e divertente, adatto a diventare una lettura estiva. Corro il rischio, dicendo così, di farlo apparire leggero e stupido ma non è vero. In questo libriccino c'è tanto humor inglese che io adoro.
Su, vestitevi e venite con me ad una commemorazione funebre. La differenza tra un funerale e una commemorazione è che alla commemorazione ci si è già sbarazzati della salma e non è obbligatorio essere tristi e lacrimevoli, anzi. (a noi uomini, poi, piace andare ai funerali perchè entra in ballo un senso di superiorità).
E' morto Clive Dunlop, un massaggiatore 34enne dalla vita sessuale molto attiva e senza limiti. Sono presenti moltissimi amici e conoscenti e molti di essi sono vip, starlette e altri pesonaggi importanti.
Ad officiare la funzione religiosa c'è padre Geoffrey Jolliffe e sarà divertente entrare un po' nei pensieri di questo prete anglicano. Sia per vedere cosa pensa della messa, del gregge di anime che la ascolta, di Dio, della fede intesa come relax e soprattutto: non siete curiosi di sapere quali siano i più reconditi pensieri di un prete omosessuale? In fondo alla chiesa, semi nascosto, c'è padre Treacher - ma lui è meno simpatico perchè è un controllore (l'unico sprizzo di simpatia è quando pensa che "...una donna può organizzare la pesca di beneficenza o le composizioni floreali; può anche girare con il piattino delle offerte o leggere dei brani della Bibbia. Ma sull'altare o sul pulpito una lei proprio non ci può stare).
La morte precoce di una persona molto attiva sessualmente provoca preoccupazione nei partner e non è difficile immaginarne il perchè...("nessuno può scopare tanto senza pagarne le conseguenze")
Comunque non distraiamoci perchè, dopo un tremendo assolo di sax, gli amici di Clive (a turno) ricorderanno lo scomparso e noi staremo attenti sopratutto al ricordo pronunciato da Carl perchè Carl intende commemorare Clive facendo un "viaggio anatomico" del suo corpo. Ma parlerà pure del cazzo? si chiede una signora seduta su una delle ultime panche.
Ringrazio Bennett perchè tra tutti quelli che parlano, l'unico che fa una figura di merda è un azzimato filosofo.
Grazie Alan, ti devo una birra.

p.s. Non perdetevi la scena finale di padre Jolliffe e del suo approccio ad un giovane geologo con quelle mani che vanno e che vengono, che toccano stringono e si ritraggono.

mercoledì 8 giugno 2011

Le roboanti ipotesi di una cozza attaccata ad uno scoglio dell'oceano australe

Perchè le donne non scrivono? Perchè hanno la risorsa del pianto.
Emile Cioran
Essendo un uomo non ho mai pianto in vita mia.
Piangere è roba da femmine, si sa.
Non piansi nemmeno quando in quarta liceo, durante una rissa con quelli della quinta F, un bastardo mi diede un calcio nelle palle. Urlai dal dolore, questo sì – ma non piansi. Feci un lungo respiro e gliele diedi di santa ragione perché, essendo un maschio, ho partecipato pure a parecchie risse e le ho prese e le ho date. Sempre deciso, petto in fuori e sguardo da duro. Elvis Presley è mio padre e James Dean mia madre. Pacche sul culo e corteggiamento violento del tipo: Ehy, bambina! Salta su che ti porto in paradiso!
Siccome però sono curioso di natura voglio tentare un esperimento molto ardito e contraddire, così, la famosa frase di Newton: Hypotheses non fingo (citare Newton non è da uomo, ma per stavolta lasciatemi passare st’eccezione); io, invece, la voglio formulare l’ipotesi.
Mettiamo per ipotesi e solo per ipotesi che stamattina io abbia pianto per Lei. Ora la domanda è: perché? Qual è la vera ragione che m’ha fatto piangere? (è solo un’ipotesi)
Perché ti manca?
No. Mi manca, è vero, ma questo è un sentimento che seppur non m’abbandona va scemando a poco a poco. Non può avermi fatto piangere stamattina. Poteva essere vero mesi fa quando la sua mancanza mi straziava dal dolore, mi toglieva la voglia di vivere e il respiro. Non ti pare?
Allora è perché l’ami ancora e non poterla né vedere né sentire né abbracciare ti fa stare male e quindi piangere.
No, nemmeno questo è il motivo perché non è vero che l’amo ancora; quindi sto ragionamento è privo di fondamento.
Forse è perché Lei ti piaceva da morire e ti era entrata dentro come nessuna prima, perché sentivi che Lei era quella giusta, adoravi il suo modo di essere dolce e te la senti ingiustamente strappata via senza speranza di poterla riavere?
No, troppo idealismo in questa motivazione. Non posso accettare per buona questa ipotesi perchè è orribilmente piena di buoni sentimenti e poi saprei bene di essere bugiardo a rispondere così.
Faccio un ultimo tentativo. Hai pianto perché Lei t’ha mandato affanculo senza tanti complimenti, come se nulla fosse, senza dire né A né B, come una scarpa vecchia, come se non vi foste mai conosciuti?
No, sei fuori strada. Per quello mi sono un po’ incazzato, ma alla fine ho compreso perché s’è comportata in quella barbara maniera.
Senti, mi hai rotto i coglioni. O lo dici tu il perchè oppure la smetti di imbrattare il web con le tue insulse scemenze e la pianti di disturbarmi a quest’ora della notte. Guarda che pure gli alter ego hanno un bioritmo e degli orari!
Vabbè lo dico, tanto è solo un’ipotesi.
Stamattina ho pianto perché io per lei sto male mentre Lei di me non se ne fotte un cazzo e sta pure con un altro.
Fine dell’ipotesi.

martedì 7 giugno 2011

Anna dai capelli rossi va... (va va...va proprio!)

Io sono un tipo normale, estremamente comune, visceralmente anonimo e ordinario.
Non faccio pensieri profondi, non ho intuizioni geniali, non ho reazioni impreviste.
Non sono neanche intelligente perchè se fossi intelligente avrei 100.000 euro in banca.
Volete una prova di questo mio essere un uomo assolutamente banale? Eccola.
Qual è la prima cosa che fa un uomo quando si innamora? Sì, esatto.
Scrive poesie all'amata.
E difatti stamattina appena sveglio (ovviamente stanotte ho sognato lei...), non ho neanche fatto colazione (ovviamente sono innamorato quindi sono inappetente) mi sono fatto la doccia (altra banalità: l'uomo si innamora e scopre la doccia); ho indossato un pigiama azzurro fresco di bucato e ho preso dal cassetto carta e penna.
Mi sento come se fossi in volo, come se fossi un astronauta nello spazio infinito. La gravità non ha potere su di me.
Da quando ho conosciuto Anna, il mio cuore batte più in fretta, tutto mi sembra bello e mi sento estremamente lirico. Ho bisogno di sfogare l'urgenza intima dei versi poetici che mi scorrono nelle vene!

Questi giorni
son caduti dall'alto
doni del cielo
sul mio cuore infranto...

mmm...

Tienimi vicino,
ho bisogno di te
il mondo è sveglio
ma io impazzisco...

mmm...

Adesso che sei mia
troveremo un modo
per inseguire il sole...

mmm...

Lasciami essere l'unico
che splende su di te
al mattino
quand'io prego
per capirti davvero...

plin plin - plin plin
Oh, un sms! Sarà di Anna certamente! Mi precipito sul cellulare!
"Sei stato fantastico ieri sera stallone!"
Rispondo subito.
"Ieri sera non ci siamo visti zukkulò!"

lunedì 6 giugno 2011

Bambino, bolgie e questioni infernali

Ogni età ha il girone e la bolgia infernale che le compete.
Sin da bambino, addirittura da neonato, veniamo assaliti dal mondo esterno che ci caca il cazzo. In seguito, diverremo padroni di codesta realtà esterna, ma sarà solo un bluff e un giorno ti ritrovi in coda alla posta con una gran voglia di urlare.
Innanzitutto ti privano di un cantuccio buio, tranquillo e riservato.
Senza motivo alcuno, un medico ti schiaffeggia, la luce ti fa male agli occhi e degli estranei si pigliano una confidenza che tu non vuoi dargli.
Arriva il momento dei denti. Per spuntare ti fanno patire l'inferno e poi se ne cadono come se nulla fosse; allora siete proprio stronzi!
Salto a pie' pari il momento della scuola, quando ti dicono: Devi andare a scuola!
Ma come? Sto tanto caruccio qui con i miei giocattoli, le costruzioni, i conigli sventrati e i robot che volano dalla finestra...No! Devi andare a scuola!
Il supplizio continua con le guanciotte che vengono arpionate, strizzate e sbattute da chiunque ti capiti a tiro. Ed è in questo frangente che l'uomo impara a NON porgere MAI l'altra guancia.
Un momento davvero difficile è il dover affrontare le domande più idiote che il genere umano abbia mai concepito. Di solito ste domande imbecilli te le fanno le zie.
A chi vuoi più bene a mamma o a papà?
A mamma, rispondeva Peppino. A papà, rispondeva Gennarino. A tutti e due rispondeva quel figlio di buona donna di Carletto. A nessuno dei due! rispondevo io (così la prossima volta imparate a non comprarmi il lego!).
Ce l'hai la fidanzatina? (qui siamo ad un livello di demenza del decimo grado)
No, rispondeva Peppino. Sì, rispondeva Gennarino. Venticinque fidanzatine, rispondeva quel figlio di ndrocchia di Carletto. Fatte li cazzi tua! rispondevo io (c'è da scusarmi, in quel periodo ero sotto l'influsso der Monnezza).
Infine, c'è la domanda delle domande, lo snodo centrale di tutto sto rincoglionimento.
Che lavoro vuoi fare da grande?
L'investigatore privato, rispondeva Peppino. L'astronauta, rispondeva Gennarino. Il politico, rispondeva quel trasaticcio di Carletto. Il lampionaio al polo nord, rispondevo io.
Il lampionaio al polo nord? chiedeva la zia facendo tanto d'occhi, Perchè sto mestiere?
Perchè lavorerei solo due volte l'anno, rispondevo io (sul lavoro ho sempre avuto le idee chiare, cazzarola!).