sabato 29 marzo 2014

Il convito di Gozzano


Devo dire che sì, ogni tanto capita pure a me di pensare alle donne della mia vita.
Seduto in poltrona, o disteso sul letto, ricordo le storie, i fallimenti, le occasioni mancate, le risate, i baci, i litigi…
Devo anche aggiungere, però, che in realtà il materiale da riportare alla memoria è tremendamente scarso.
Cioè storie d’amore importanti: una. Storia di pura passione e coinvolgimento: una.
Tutto il resto è finito semplicemente in merda, perché non credo di essere portato per l’Amore.
Ho tutti i difetti possibili che mi rendono impossibile l’Amore più qualcosa che potrei definire “predisposizione di fondo”.
Sono timido, sono imbranato, sono stronzo, sono ritardato…questo giusto per fare un breve elenco.
La predisposizione di fondo riguarda il fatto che per me l’Amore, avere un amore una compagna, non ha mai rappresentato una priorità o un’ossessione.
Lo vedevo pure quando mi confrontavo con gli amici ai tempi dell’adolescenza.
Non lo so…stavano sempre a parlare e a pensare alle ragazze. Pure io ne parlavo o ci pensavo, ma per me non erano la cosa più importante. Una partita a pallone, un libro, un bel film..era la stessa cosa.
Poi, crescendo, sono peggiorato. Crescendo, il rapporto con le donne si è fatto ancora più complicato. I miei amici, la maggioranza, si sono sposati e hanno anche avuto dei bambini. Gli altri hanno comunque una compagna, una fidanzata, ed entrano ed escono da una storia d’amore all’altra. Io sono rimasto da solo o, come si dice, single.
Il fatto è che dopo una certa età, con le donne sono presenti alcuni discorsi che a me non interessano e che non sono in grado di fare: “sistemarsi” e “avere una posizione/tranquillità economico-sociale”.
Io sono una testa di cazzo, figurati che me frega di instaurare un rapporto duraturo, di porre le basi per una convivenza, mettere su famiglia e altre menate del genere. Poi non lavoro, non ho entrate fisse, del lavoro poi me ne strafotte davvero.
E allora, resterò single, del resto il mio amore sono i libri. L’ho sempre detto.
Ora vi saluto, vado a pensare a Valeria, Alessandra e a Lei, Lei che è l’unico dolore della mia vita e, chissà, forse avere un unico grande dolore può essere anche una fortuna…

Convito

I.

M’è dolce cosa nel tramonto, chino
sopra gli alari delle braci roche,
m’è dolce cosa convitar le poche
donne che mi sorrisero in cammino.

II.

Trasumanate già, senza persone,
sorgono tutte… E quelle più lontane,
e le compagne di speranze buone
e le piccole, ancora, e le più vane:
mime crestaie fanti cortigiane
argute come in un decamerone…

Tra le faville e il crepitio dei ceppi
sorgono tutte, pallida falange…
Amore no! Amore no! Non seppi
il vero Amor per cui si ride e piange:
Amore non mi tanse e non mi tange;
invan m’offersi alle catene e ai ceppi.

O non amate che mi amaste, a Lui
invan proffersi il cuor che non s’appaga.
Amor non mi piagò di quella piaga
che mi parve dolcissima in altrui…
A quale gelo condannato fui?
Non varrà succo d’erbe o l’arte maga?

III.

- Un maleficio fu dalla tua culla,
né varrà l’arte maga, o sognatore!
Fino alla tomba il tuo gelido cuore
porterai con la tua sete fanciulla,
fanciullo triste che sapesti nulla,
ché ben sa nulla chi non sa l’Amore.

Una ti bacierà con la sua bocca,
sforzando il chiuso cuore che resiste;
e quell’una verrà, fratello triste,
forse l’uscio picchiò con la sua nocca,
forse alle spalle già ti sta, ti tocca;
già ti cinge di sue chiome non viste…

Si dilegua con occhi di sorella
indi ciascuna. E si riprende il cuore.

“Fratello triste, cui mentì l’Amore,
che non ti menta l’altra cosa bella!”

martedì 25 marzo 2014

Furio Colombo e la cannata del mese


Ho cercato il verbo più adatto per definire lo scritto di Furio Colombo apparso sul Fatto Quotidiano di domenica 23 marzo nella sua rubrica “A domanda rispondo”.
Alla fine ho scelto “cannare” perché, secondo il dizionario, racchiude tre significati adattissimi al caso in esame: sbagliare, fallire, mancare.
Veniamo all’oggetto del post.
Un lettore, Massimo, scrive:
caro Furio Colombo, leggo e ascolto che la maggioranza dei nostri concittadini vuole uscire dall’euro e tornare alla lira. Ci può essere incubo peggiore?
E fin qui niente di strano, è un dubbio, un’osservazione legittima da parte di un uomo comune che osserva la realtà, la discussione politica del momento e chiede lumi a un giornalista esperto che evidentemente stima (altrimenti non gli avrebbe mica scritto…).
Ma, secondo me, la risposta di Colombo tradisce sia la fiducia del lettore sia il compito del giornalista.
Innanzitutto, la domanda verte sull’euro, una questione economica. Colombo potrebbe far riferimento a qualche economista che secondo lui merita di essere letto, segnalare insomma a Massimo un percorso per approfondire poi da solo la questione. E invece no.
Colombo paragona chi vuole uscire dall’euro a Di Bella e Vannoni. In pratica dice che chi è sceso in campo contro l’euro non ha un vero pensiero, ma è un ciarlatano che vende speranze fasulle.
Non gli passa per la testa che tantissimi economisti, tra cui sette premi Nobel siano contro l’euro; che tanta letteratura scientifica e la storia economica siano “contro” l’euro.
La cosa buffa è che proprio sul Fatto Quotidiano scrive l’economista Alberto Bagnai. Allora tre sono i casi:
1. Colombo l’ha letto, ma non l’ha capito
2. Colombo l’ha letto, ma non ha condiviso
3. Colombo non l’ha letto per niente
E questa terza ipotesi mi pare la più probabile.
Poi Colombo passa in rassegna chi in Italia è su posizioni no euro e sbaglia ancora clamorosamente.
Innanzitutto, è vero che la Lega fa schifo e ha fatto schifo. Su questo non discuto.
Però si deve parlare anche dell’attualità e collegare la Lega alla questione euro così come chiede il lettore. E sulla questione euro, la Lega non ha messo la canottiera sporca di Bossi, non ha fatto comizi urlati con Borghezio a buttare merda sui musulmani con gli idioti col copricapo vichino ad ululare di gioia. No. La Lega, per la campagna elettorale delle Europee, ha preso posizione sul NO EURO, si è affidata all’economista Claudio Borghi e sta facendo un seguitissimo Basta Euro Tour. Si può essere o non essere d’accordo, ma un giornalista ha come primo dovere l’informare correttamente e Colombo non lo fa.
La seconda toppata politica riguarda il MoVimento 5 Stelle che Colombo mette nel calderone dei populisti anti euro e non è vero, purtroppo. Magari il MoVimento 5 Stelle avesse preso una posizione chiara e netta contro l’euro! Il MoVimento 5 Stelle contesta varie cose tra cui la soglia del 3%, il fiscal compact ecc. ma sull’euro si è dimostrato incerto e contraddittorio con il referendum consultivo che campeggia come primo punto sui volantini elettorali (evidentemente Colombo non l’ha letto). Per quanto riguarda il MoVimento 5 Stelle, c’è anche un lato comico perché Colombo critica il MoVimento 5 Stelle usando le stesse parole di Casaleggio.
La castroneria delle vacanze e dei viaggi all’estero impossibili da fare con la lira, della liretta che non vale niente, sono “concetti” (notare le virgolette) che ha espresso Casaleggio in un convegno di qualche tempo fa e quindi l’unica conclusione possibile è che Colombo e Casaleggio siano perfettamente d’accordo.
Ora, io non capisco una cosa.
Ma questi viaggi, queste vacanze all’estero chi le faceva? I ricchi, sì, i grandi e medi borghesi, sì, i piccoli borghesi, ogni tanto, i giornalisti con i soldi dei giornali, sicuramente…e con l’euro cos’è cambiato? I ricchi di prima son sempre più ricchi, i medio ricchi forse un po’ di meno ma ce la fanno lo stesso. Di sicuro si sono impoveriti molti i ceti medi e chi già prima faceva fatica.
Colombo crede davvero che a un operaio che ha perso il lavoro, a un precario, a un disoccupato posa fregare qualcosa che non può andare a Londra a spassarsela? Non credo.
Alla popolazione, alla maggioranza di essa, interessa sapere perché manca il lavoro, perché quello che c’è è sempre più precario e senza tutele, perché ha perso così tanto il suo potere d’acquisto.
Questo sì che interessa, e Colombo dovrebbe sapere (ma non lo sa) che questi fattori dipendono proprio dall’euro, espressione non soltanto di una moneta ma del potere, del perverso potere che serve il progetto criminale neoliberista.

venerdì 21 marzo 2014

Il testo integrale del manifesto contro i marò affisso a Lecce


Pubblico il testo di questo manifesto che qualcuno ha affisso sui muri di alcuni quartieri di Lecce. Lo pubblico non tanto per il contenuto, ma perché questi manifesti sono stati rimossi dalla polizia. Perché rimuoverli? Non mi è piaciuto il gesto e per questo eccolo lì, trascritto, per facilitare la lettura a chi vorrà.
Per il resto, per farsi un’idea onesta e vera della vicenda marò, vi consiglio il libro I due Marò. Tutto quello che non vi hanno detto di Mattero Miavaldi.

MA QUALI EROI…
Negli ultimi mesi ha ripreso vigore, con un coro politico e mediatico senza sbavature, la campagna per i due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, presentati come “eroi” e come “italiani da salvare” dai tribunali indiani, ritenuti indegni di giudicare due soldati di “casa nostra”.

I fatti

Il 15 febbraio 2012, una petroliera italiana è in navigazione verso l’Egitto. A bordo, in “servizio antipirateria”, ci sono 6 marò del Battaglione San Marco. Al largo della costa indiana i fucilieri Girone e Latorre sparano contro un peschereccio uccidendo due pescatori.
I due marò vengono arrestati perché l’omicidio è avvenuto in acque indiane. Non fanno nemmeno un giorno di carcere, ma sono trattenuti in un hotel di lusso, poi ospitati presso l’ambasciata italiana. Il Vaticano si mobilita per convincere le famiglie dei pescatori uccisi a rinunciare al processo. I 300 mila euro versati “inducono” poi i familiari a non costituirsi parte civile.

Dietro le quinte

La sostanza della vicenda è presto detta: due militari occidentali hanno ucciso due inermi pescatori indiani cercando di giustificare l’omicidio con la scusa di averli scambiati per pirati. Hanno ammazzato perché si sentono autorizzati e sono addestrati a farlo; sono dei soldati, il cui mestiere è fare la guerra e quindi uccidere.
Da un po’ di anni, personale militare è impegnato a difesa di navi commerciali, a conferma che questa società è sempre in guerra. E se in certe zone si interviene militarmente per accaparrarsi risorse energetiche, in altre si scortano quelle risorse per farle arrivare a destinazione. Si tratta di merci troppo preziose, per cui se è legittimo ammazzare per accaparrarsele, lo è anche per trasportarle.
Se tutto non è andato liscio come altre volte, è perché sono stati uccisi dei cittadini di uno Stato, l’India, che vuole accreditarsi come superpotenza e guadagnarsi il dovuto rispetto a livello internazionale.
L’Italia non vorrebbe farsi scavalcare e per farlo deve dimostrare che i propri soldati valgono più dei cittadini dalla pelle più scura dell’altra parte del mondo. Ma è costretta a mediare perché non vuole compromettere le relazioni commerciali e i succosi interessi economici tra Finmeccanica e l’India per la vendita di elicotteri da guerra.
Dimenticati del tutto i pescatori uccisi.

Epilogo scontato

È difficile credere che, comunque si concluderà la vicenda, i due rischieranno per davvero una seria condanna. È indubbio, invece, che se i fatti si fossero svolti a parti inverse, e fossero stati due pescatori ad ammazzare due militari, starebbero già languendo nella più oscura galera, di qua come di là dell’oceano. Ma si sa, i morti non sono tutti uguali.

Per noi, che siamo dalla parte degli esclusi di ogni dove, la giustizia non alberga in alcun tribunale. I due marò non sono eroi, ma assassini che si fanno scudo della protezione che la divisa offre loro. Custodi della società dello sfruttamento che tutti ci soggioga, e di cui faremmo bene a disfarci al più presto.
…SONO DUE ASSASSINI

mercoledì 19 marzo 2014

Il referendum sull'Euro del MoVimento 5 Stelle - pensieri critici


Questo è un post “congiunturale” ed ha, quindi, pregi e difetti che hanno gli scritti composti a caldo e nel tempo in cui tutto è in fieri.
Questo post riguarda il primo punto del volantino per le elezioni Europee 2014 fatto dal MoVimento 5 Stelle.
Io sto uscendo pazzo, e voglio brevemente spiegarne il perché.

Un po’ di tempo fa sul blog di Grillo comparvero video e articoli di Alberto Bagnai. Alberto Bagnai è un economista, autore di quel capolavoro che è Il tramonto dell’Euro e che ha creato l’interessantissimo blog Goofynomics. Orbene, Alberto Bagnai è NO EURO.

Qualche mese fa il MoVimento 5 Stelle ha invitato a parlare in commissione, ufficialmente, l’economista Claudio Borghi (c’è anche un video in cui a introdurlo è il deputato 5 Stelle Carlo Sibilia). Orbene, Claudio Borghi è NO EURO.

Lo stesso Beppe Grillo sta sempre a nominare Joseph Stiglitz. Stiglitz di qua, Stiglitz di là, il programma ce l’ha fatto Stiglitz ecc. (lo stesso Stiglitz ha espresso apprezzamento per il lavoro politico che il MoVimento sta cercando di portare avanti in Italia). Orbene, Stiglitz è un premio Nobel per l’economia ed è NO EURO (ci sono altri 6 premi Nobel NO EURO mentre non c’è nessun premio Nobel che dica sì all’Euro).

Quale sarebbe la conseguenza logica di tutti questi fatti? Che il MoVimento 5 Stelle come primo punto del programma per le Europee avesse messo 1. NO EURO e invece, come si vede dall’immagine, al primo punto c’è un cazzo di referendum sull’Euro.
Perché? Io non sono riuscito a capirlo.
È come aver fatto tre passi avanti e quattro indietro.
Nel frattempo, Bagnai è rimasto indipendente invece di affidargli il programma economico del MoVimento, Borghi se lo è accaparrato la Lega Nord e Stiglitz si starà facendo grosse risate pensando che Grillo stia solo scherzando.
Eppure nel volantino c’è il no al fiscal compact, no al 3% come sono state prese queste decisioni? Non sono decisioni difficili, complesse, che riguardano la sfera economica? Perché non è stata presa la stessa decisione anche riguardo all’Euro che è, come sopra, una decisione difficile, complessa e che riguarda la sfera economica?
Il fiscal compact, il 3%, gli euro bond sono parti integranti del progetto criminale neoliberista di cui l’Euro non è una semplice espressione, ma la base.
Bisogna spazzarlo via, senza tentennamenti senza forse né referendum del cazzo.
L’Euro ormai è da quattordici anni che ce l’abbiamo. C’è stato molto tempo per valutare tante cose. La gente va informata giorno per giorno, come benissimo stava facendo il blog. Non puoi fare una campagna elettorale referendaria sull’Euro. È una sciocchezza. Sarebbe solo un modo per i prezzolati, i criminali e gli speculatori per soffiare sulla paura e il terrore della gente.
Grillo aveva cominciato col NO EURO e col NO EURO doveva continuare. Questo passo indietro, questo cacarsi sotto è intollerabile. Bisognava prendere il coraggio a due mani, affidarsi a un economista che negli anni ha dimostrato competenza e onestà intellettuale (quindi su basi empiriche) e andare avanti.
A fare i buffoni di quelli che vogliono cambiare l’Europa mantenendo l’Euro ci sono già quelli della Lista Tsipras.

lunedì 17 marzo 2014

Per la rivoluzione di Grecia


Di recente mi sono imbattuto in due brevi scritti su Giosuè Carducci.
Il primo, redatto da Giorgio Barberi Squarotti, delinea Carducci nel suo tempo, la ricezione che se ne ebbe e ci invita a riconsiderare alcuni giudizi letterari sclerotizzati che nel frattempo si sono affermati. Il secondo, composto da Pier Paolo Pasolini, è brutalmente di condanna del poeta premio Nobel nel 1907, quella brutalità così amabile che solo Pasolini è in grado di creare.
Leggiamo Squarotti:
“…Il Carducci ebbe la grossa sfortuna di riuscire un perfetto interprete del suo tempo, cioè dei decenni seguiti all’unificazione nazionale: lo rispecchiò efficacemente e ampiamente, ne espresse idee, tensioni, ambizioni, rancori, delusioni, velleità, sogni, fantasmi, ne ebbe come risposta un sicuro e durevole successo, fino alla consacrazione a “vate” della cosiddetta “terza Italia”. Un periodo abbastanza lungo della storia della cultura e della società italiana del secondo ‘800 si riconobbe compiutamente nella sua opera poetica, ne fece un mito, oscillante fra l’ammirazione per l’indubbia abilità retorica delle poesie civili e storiche e patriottiche, la sudditanza nei confronti della prosopopea eroica e nobile del poeta del poeta in un tempo di delusioni e di mediocrità dopo il riflusso degli entusiasmi e degli slanci risorgimentali, la conclamata e apologetica suggestione di una “sanità letteraria e morale” quando già si annunciavano le forme decadenti, morbide e inquiete, e anche la delegazione a una poesia tutta animata da fremiti e da nostalgie eroiche, quale è quella carducciana, del riscatto dal senso di frustrazione e di disinganno proprio delle generazioni post-risorgimentali di fronte alle difficoltà, ai problemi gravosi, alle rinunce, alle mediocrità, alle contraddizioni e ai contrasti del giovane e debole e povero Stato unitario, così delusivo in confronto alle immaginazioni e alle speranze del Risorgimento.
Insomma, la poesia del Carducci è lì a dimostrare che il rapporto di mutuo consenso e rispecchiamento ovvero l’”organicità” di uno scrittore con il suo tempo e i gruppi sociali dominanti in esso sono un bel guaio per la poesia stessa. Si aggiunga che, a un certo punto che coincide, dal più al meno, con l’esperienza delle Odi barbare, il Carducci finì a investirsi totalmente della parte di poeta ufficiale e organico, senza più dubbi e ironie, e, di conseguenza, venne a sollecitare all’estremo la tromba storica e patriottica e ammonitoria e pedagogica, fino a costituirsi una fisionomia sublimemente eroica di maestro e di poeta nazionale, che lo consegnò alquanto imbalsamato alle celebrazioni crociane, alle storie letterarie, alla scuola, al successivo radicale rigetto.
È un’immagine che fa torto alla poesia carducciana, che è molto meno uniforme e compatta e quieta di quanto possano far sospettare sia l’esaltazione del Croce, sia i più recenti recuperi in chiave esistenziale di un “Carducci senza retorica”, ripiegato su se stesso nella meditazione della vecchiaia e della morte. E sarà allora opportuno ripercorrerla senza lasciarsi troppo condizionare (e anche fuorviare) dall’estrema figura di sé che il Carducci lascia con le Odi barbare e con Rime e ritmi…”
Insomma, lasciando per un attimo da parte il valore artistico o il gusto personale per la poesia di Carducci, Carducci stesso diventa documento storico importantissimo per un’intera epoca d’Italia.


Veniamo ora a Pasolini che, in occasione di una stampa di Poesie scelte di Carducci, in Descrizioni di descrizioni scrive:
“…Luigi Baldacci ha fatto il meglio che poteva fare, sia nell’antologizzare che nel presentare questo volume. La scelta è abbastanza eslege per giustificarsi di per se stessa. Viene fuori un Carducci semi-inedito, un po’ come quei poeti “rari” di cui egli stesso amava farsi editore. Le cose meno note di Carducci non sono però meno libresche delle altre; anzi, lo sono di più. Sanno fortemente, addirittura a volte insopportabilmente, di cassetto e di lucerna. Il manierismo carducciano mascherato di vitalità e salute (l’operazione più in mala fede di tutta la letteratura italiana) in queste poesie meno note, che appunto per il loro eccesso manieristico dovrebbero piacerci di più, mostra invece tutta la sua rozzezza e la sua mancanza d’intelligenza.
Brutalmente battute e ribattute dal nostro abile “artiere” queste strofe e queste rime non rimandano ad altro che a se stesse, “idioletto” meschino e devitalizzato. Dietro ad esse il background è costituito da una vita sentimentale completamente priva di interesse, insincera, e un mondo culturale il cui “italianismo” è soffocante e il cui accademismo è provinciale e retorico. Penso a che disgrazia è stata per gli adolescenti della mia età aver dovuto cominciare con l’interessarsi a un poeta così: interesse che poi non si è concluso con l’adolescenza, ma è continuato ancora durante la giovinezza. Quante ore buttate via, quanta energia malamente sprecata, quanta aberrazione, quanta stupidità…”
Ora, legittimamente mi si potrebbe chiedere: ma che minchia ci fai con Carducci? Non stai studiando l’Euro, il capitalismo, la speculazione finanziaria, non stai già leggendo i romanzi di Fulvio Abbate e Luciano Bianciardi? Certamente sì. L’incontro con Carducci, con questa sua poesia che voglio postare, è stato puramente casuale.
Stavo spolverando i libri e nel volume di poesie di Carducci c’era un segnalibro che ho recuperato.
Questo segnalibro si trovava a pagina 98, alla poesia Per la rivoluzione di Grecia.
Ovviamente, trattandosi di una poesia sull’amata Ellade, sulla rivoluzione, sulla libertà e la democrazia non ho potuto fare altro che leggerla e rileggerla e avere voglia di condividerla. Mi è parso poi che, quell’accenno all’invasore straniero, all’oppressore nordico, sia un richiamo all’attualità. Un riferimento a quegli invasori dell’Europa del nord che stavolta invece di usare eserciti e armi convenzionali, stanno usando l’arma della finanza per distruggere l’economia, la libertà e la dignità del popolo greco.
Ok, andiamo a leggere quest’ode che è un inno entusiastico alla rivoluzione greca dell’ottobre 1862, che si chiude però in profonda amarezza vedendo deluse le sue speranze di un’instaurazione repubblicana visto che le grandi potenze straniere avevano imposto alla Grecia un altro re barbaro, il principe Guglielmo di Danimarca.

PER LA RIVOLUZIONE DI GRECIA

Dunque presente nume ancor visiti,
Sacra Eleuteria, la terra d’Ellade,
Che già d’armi e di canti
e d’altari fumanti – ardeva a te?

E là, dal vecchio Pireo, da l’isola
Che la tua gesta racconta a i secoli,
De la fuga tremante
Tu ancor l’amaro istante – insegni a i re?

Oh viva, oh viva! Dovunque i popoli
Tu a l’armi accendi tu i troni dissipi,
Ivi è la musa mia,
De l’agil fantasia – su l’ale io son.

Deh come lieto tra il Sunio e l’isole
Care ad Omero care ad Apolline
L’azzurro Egeo mareggia,
Su cui passeggia – de’ gran fatti il suon!

Infrenin regi le genti barbare,
Grecia li fuga. Veggo Demostene
Su ‘l bavarico esiglio
Il torvo sopracciglio – di spianar.

Ombra contenta ricerca ei l’àgora
Che già ferveva fremeva urtavasi
De la sua voce al suono
Sì come al tuono – il nereggiante mar.

Da poi che il brando nel mirto ascosero
Armodio e il prode fratello unanime
Non mai dì più giocondo
Per Atene su ‘l biondo – Imetto uscì.

Udite… È un altro fanciullo barbaro
Che Atene accatta rege. Nasconditi,
Musa: ritorna in pianto
D’Armodio il canto – a questi ignavi dì.

Bologna, 8 novembre, 1862

venerdì 7 marzo 2014

Basta Euro. Come uscire dall’incubo, 31 domande 31 risposte. La verità che nessuno ti dice (settima parte)


27. Non sarebbe meglio decidere con un referendum?

Chi dice di volere un referendum in realtà probabilmente non vuol cambiare nulla; non per niente chi lo propone non ha una posizione propria a favore o contro l’Euro, cosa che, dato che l’Euro già c’è, implica l’accettare che le cose possano rimanere così come sono.
Innanzitutto, non è possibile fare un referendum sui trattati internazionali, inoltre, anche supponendo per assurdo di farlo lo stesso, una campagna referendaria su una questione così complessa sarebbe viziata da ogni genere di terrorismo mediatico, tale per cui le bugie sull’Euro che già normalmente si vedono sui media, si moltiplicherebbero, con l’aggravante che i poteri finanziari europei non esiterebbero a lanciare fortissimi attacchi speculativi contro il nostro debito.
Ai cittadini verrebbe data l’impressione che con il loro voto contro l’Euro provocherebbero un disastro e l’incertezza del risultato in un simile clima comporterebbe terribili agitazioni sui mercati e fughe incontrollate di capitali. L’unico modo per riconquistare la nostra sovranità monetaria è per mezzo di un Governo democraticamente eletto che agisca velocemente per decreto.
Immaginate in che modo un governo favorevole all’Euro potrebbe mai gestire le procedure di uscita se un referendum (incostituzionale) dovesse indicare una volontà di uscita. Le azioni necessarie per cambiare moneta minimizzando i danni non sono semplici, ma un Governo democraticamente eletto che negozi al più presto lo smantellamento dell’Eurozona, magari concordando la strategia con altri
paesi, prima fra tutti la Francia in caso di vittoria dell’alleato Front National e che, nel caso i negoziati falliscano, potrebbe al limite agire per decreto, prendendo tutte le misure necessarie per rendere la transizione indolore.

28. Il Front National di Marine Le Pen è una forza di destra e nazionalista, come può essere un
alleato affidabile?


La battaglia contro l’Euro è una battaglia di indipendenza e libertà. Indipendenza e libertà non sono né di destra né di sinistra, bensì valori assoluti.
Ritornare ad essere padroni in casa nostra è la condizione indispensabile per qualsiasi altra politica, sia per chi è nazionalista sia per chi invece sogna il federalismo. Una volta liberi poi ci sarà tutto il tempo per “rifare le squadre”.
Chi non ha il controllo sulla propria moneta non sarà mai libero. Se alle elezioni europee le forze contrarie all’Euro riuscissero ad ottenere una forte affermazione tutto diventerebbe più facile: a questo scopo ogni voto conta, e un coordinamento fra i partiti avversi all’Euro in tutta Europa è la prova più evidente che senza l’ostacolo della moneta unica potrebbe esserci una diversa e sincera amicizia europea al di fuori delle attuali contrapposizioni.

29. In molti dicono che l’Unione Europea ha portato la pace, se abbandoniamo l’Euro ci sarà la guerra?

La pace c’è fra tutte le nazioni che si sono combattute nelle guerre mondiali e il maggior rischio per il mantenimento di questa pace è proprio l’Euro. Un sistema economico che mette popoli e nazioni gli uni contro gli altri, che costringe popoli a pagare per altri ed impone sofferenze e privazioni con conseguenze economiche del tutto simili a quelle di un conflitto armato, origina odio fra nazioni che avevano dimenticato questa parola.
Fino a pochi anni fa nessun greco aveva alcun motivo di risentimento nei confronti della Germania: oggi se la Merkel vuole visitare Atene deve essere circondata dall’esercito schierato a difesa.

30. Sento dire che molti famosi economisti, compresi alcuni premi Nobel sono contrari all’Euro.
È vero? Chi sono?


È vero, sono almeno 7 i premi Nobel per l’Economia che hanno apertamente criticato l’Europa dell’Euro (Mirrlees, Stiglitz, Sen, Tobin, Krugman, Friedman e Pissarides) ciascuno di essi ovviamente propone anche soluzioni alternative ma, come abbiamo visto, le soluzioni alternative
non sempre sono realisticamente possibili e non sempre sono desiderabili.
Molti economisti hanno ad esempio firmato una proposta (il “Manifesto di Solidarietà Europea”) dove si propone uno smantellamento “dall’alto” dell’Eurozona con l’uscita dall’Euro della Germania come prima mossa. Peccato però che tutto ciò dipenda dalla volontà di altri Paesi.
E se i tedeschi dicono di no? Tutti questi scenari alternativi diventeranno tanto più fattibili quanto
più forti saranno i consensi dei movimenti totalmente contrari all’Euro.

31. Esistono altrettanti premi Nobel e famosi economisti convinti invece che l’Europa dell’Euro sia perfetta così?

NO.

Premi Nobel sull’Euro:

Paul Krugman, Premio Nobel 2008,
economista e professore di Economia e Relazioni internazionali presso l’Università di Princeton.

“Penso che l’Euro fosse un’idea sentimentale, un bel simbolo di unità politica.
Ma una volta abbandonate le valute nazionali avete perso moltissimo in flessibilità. Non è facile rimediare alla perdita di margini di manovra.”
“L’Europa sarà sempre fragile. La sua moneta è un progetto campato in aria e lo resterà fino alla creazione di una garanzia bancaria europea”.

Intervista su l’Express di Parigi, 6 settembre 2012

Joseph Stiglitz, Premio Nobel 2001,
economista e saggista statunitense.

“Questa crisi, questo disastro è artificiale e in sostanza questo disastro artificiale ha quattro lettere: l’Euro.”
Evento “Discussion on the Future of Europe”, organizzato dal “Center on Global Economic Governance” di New York, 25 febbraio 2013.

“Il progetto europeo, per quanto idealista, è sempre stato un impegno dall’alto verso il basso.
Ma incoraggiare i tecnocrati a guidare i vari Paesi è tutta un’altra questione, che sembra eludere il processo democratico, imponendo politiche che portano ad un contesto di povertà sempre più diffuso”.
“L’Europa ha bisogno di un maggiore federalismo fiscale e non solo di un sistema di supervisione centralizzato dei budget nazionali”.

Articolo “Euro, o cambia oppure è meglio lasciarlo morire” di Joseph Stiglitz, da Project Syndicate.

“Ci sono vantaggi e svantaggi ad avere un grande mercato come l’Europa. Ma se non lo si può riformare, io non credo che non sia poi così male tornare alle vostre vecchie monete. Le unioni monetarie spesso durano soltanto un breve periodo di tempo.
Ci proviamo, e o funziona o non funziona. Il regime di Bretton Woods è durato trent’anni. L’Irlanda ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito e ha creato una propria moneta.
Quando succede è un grande evento, ma succede. Ed è possibile. L’idea che sarebbe la fine del mondo è sbagliata”.
“Uscire dall’Euro è meglio che seguire politiche suicide”.

Stiglitz risponde alle domande dei lettori di “Le Nouvel Observateur”, settembre 2012.

Amartya Sen, Premio Nobel 1998,
economista, ha insegnato presso le università di Harvard, Oxford e Cambrige.

“L’Euro è stato un’idea orribile. Lo penso da tempo. Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata. Una moneta unica non è un buon modo per iniziare a unire l’Europa.
I punti deboli economici portano animosità invece che rafforzare i motivi per stare assieme. Hanno un effetto-rottura invece che di legame. Le tensioni che si sono create sono l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Europa. Chi scrisse il Manifesto di Ventotene combatteva per l’unità dell’Europa, con alla base un’equità sociale condivisa, non una moneta unica”.

Intervista al Corriere della Sera, 21 maggio 2013.

Milton Friedman, Premio Nobel 1976,
economista statunitense scomparso nel 2006, considerato il padre del neoliberismo e del monetarismo.

“L’Euro sarà più una fonte di problemi che non di benefici”.
Periodico economico “New Perspectives Quarterly Magazine”, 2005

“L’Euro è un progetto dirigista, autoritario, antidemocratico e pericoloso, Francoforte e Bruxelles
prenderanno il posto del mercato”.
“L’Euro è una costruzione non democratica. Il progetto generale non lo è perché non è quello
che vogliono i cittadini. Se la popolazione tedesca votasse, il progetto sarebbe sconfitto.
E lo stesso accadrebbe in molti altri Paesi. L’Unione monetaria è il prodotto di una élite.
È il frutto di una impostazione non realistica, di una spinta elitaria di chi vuole usare la moneta
unica per arrivare all’unione politica”.
“Più che unire, la moneta unica crea problemi e divide. Sposta in politica anche quelle che sono questioni economiche. La conseguenza più seria, però, è che l’Euro costituisce un passo per un sempre maggiore ruolo di regolazione da parte di Bruxelles. Una centralizzazione burocratica sempre più accentuata. Le motivazioni profonde di chi guida questo progetto e pensa che lo guiderà in futuro vanno in questa direzione dirigista.
È una tendenza che c’è da 15 anni, contro la quale, per esempio, ebbe modo di combattere Margaret Thatcher”.
“A Francoforte siederà un gruppo di banchieri centrali che deciderà i tassi d’interesse centralmente.
Finora, le economie, come quella italiana, avevano una serie di libertà, fino a quella di lasciar muovere il tasso di cambio della moneta. Ora, non avranno più quell’opzione”.

Intervista al Corriere della Sera, 23 marzo 1998

James Mirrlees, Premio Nobel 1996,
economista, ha insegnato presso università di Oxford ed è professore emerito di Economia politica a Cambrige.

“Guardando dal di fuori, dico che non dovreste stare nell’Euro, ma uscirne
adesso.”
“Finché l’Italia resterà nell’Euro non potrà espandere la massa di moneta in circolazione o svalutare: ecco perché si impone la necessità di decidere se rimanere o meno nella moneta unica, questione non facile da dirimere”.

Convegno presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, 5 dicembre 2013.

Christopher Pissarides, premio Nobel 2010,
economista, insegna alla London School of Economics.

“La situazione attuale non è sostenibile ancora per molto. È necessario abolire l’Euro per creare quella fiducia che i Paesi membri una volta avevano l’uno nell’altro”.
“L’Euro dovrebbe essere smantellato in maniera ordinata, oppure i membri più forti dovrebbero fare rapidamente tutto il necessario per renderlo compatibile con crescita e occupazione”.

Lezione presso la London School of Economics, 12 dicembre 2013.

mercoledì 5 marzo 2014

Basta Euro. Come uscire dall’incubo, 31 domande 31 risposte. La verità che nessuno ti dice (sesta parte)


22. Se svalutassimo poi non risolveremmo i nostri problemi, che verrebbero messi sotto il tappeto.
È vero?


In realtà è vero il contrario: i nostri problemi e difetti si sono moltiplicati con l’Euro.
Se una moneta propria costringesse davvero uno Stato a riforme benefiche, adesso dopo quasi quindici anni di Euro saremmo “riformatissimi”. L’“anestesia” dell’Euro e dell’Europa, invece, agisce proprio nel senso di rendere meno importanti le scelte dei governi nazionali.

I mercati finanziari, attentissimi a quello che fanno i governi dei paesi indipendenti, non hanno mai mandato alcun segnale al Governo italiano, e ancora adesso lo spread si muove seguendo le parole della BCE, non certo di Letta. Per questo motivo i governi non saranno mai incentivati a prendere decisioni giuste ma semplicemente a cercare di compiacere gli eurodetentori del vero potere, anche se essi sono (come abbiamo visto) nostri avversari nel commercio.
Se in passato chi era al volante ha guidato male, la soluzione non è quella di costruire una macchina
senza sterzo, altrimenti alla prima curva si finisce contro il muro.
È proprio quello che è successo alla nostra economia: impedire ad un governo la necessaria flessibilità comporta come risultato che finché non ci sono problemi sembra che “la macchina” vada bene anche se si stanno facendo le cose sbagliate, non appena si incrocia un problema il sistema si rompe e ne fanno le spese i cittadini.
In ogni caso se uno teme che poi “stando bene” non risolveremmo i nostri problemi, non capisce (o non vuol capire) che “stare male” è proprio il problema che deve essere risolto.

23. Se facessimo le riforme e se tagliassimo il cuneo fiscale forse diventeremmo competitivi senza bisogno di uscire dall’Euro. Può essere?

“Fare le riforme” non vuol dire nulla, ogni volta che si cambia una legge o un regolamento si sta facendo una riforma: alcune portano miglioramenti, altre fanno peggio.
Le riforme sostanziali costano molti soldi che con i vincoli europei non ci potremmo mai permettere (la Germania per le sue riforme del mercato del lavoro ha aumentato il suo rapporto debito/PIL di 5 punti in periodo di crescita; noi ci siamo già impegnati a ridurlo anche in periodo di recessione con il Fiscal Compact) senza contare che è da ingenui pensare che potremmo raggiungere i risultati di chi è in vantaggio di dieci anni.
Non solo, non è detto che si debba per forza voler diventare tedeschi o cinesi: dobbiamo essere liberi di poter vivere a modo nostro in casa nostra.
Per lo stesso motivo con il taglio del cuneo fiscale (che pure sarebbe cosa utile) non si otterrà nulla di sostanziale: i Paesi che sono andati per primi in crisi sono stati quelli (come l’Irlanda) dove il cuneo fiscale era minimo: per ottenere un taglio sostanziale a favore della competitività occorrerebbe azzerarlo ed è impossibile perché sparirebbero gettito fiscale e contributi in un sistema dove la mancanza di denaro anche momentanea nelle casse dello Stato non può essere finanziata “stampando denaro”.
Chi ha sovranità monetaria può permettersi politiche di stimolo dell’economia con forti detassazioni, nel nostro caso tali politiche ci sono precluse. Il taglio del cuneo fiscale potrebbe
essere solo irrilevante e finanziato con altre misure recessive.


24. Magari “battendo i pugni sul tavolo” ci consentirebbero di spendere senza bisogno di uscire
dall’Euro. È possibile?


A parte che non c’è nessun tavolo su cui battere i pugni e se ci fosse stata la volontà da parte dell’Europa di evitare questa situazione l’avremmo evitata, tuttavia, se anche ci dicessero di dimenticarci gli impegni e di ridurre le tasse (impossibile) avremmo sempre il problema della
moneta troppo forte
. È la stessa questione prima accennata quando si diceva del perché una BCE che garantisca il debito non risolverebbe il problema di fondo della moneta artificialmente forte.

25. Perché non è una bella cosa avere una moneta “forte”?

No! È una bella cosa se è forte anche l’economia ma, come detto prima, un’economia debole con una moneta forte è come un guerriero con una spada talmente pesante da non riuscire nemmeno ad alzarla.
L’ideale sarebbe averla del giusto peso: più leggera si può fare e consente maggior agilità, troppo
pesante è un suicidio. La moneta troppo forte fa sì che i prodotti esteri risultino molto convenienti. Sembra una bella cosa ma i prodotti esteri hanno una spiacevole caratteristica: sono fatti all’estero! Quindi è ovvio che in Italia poi si creerà disoccupazione.
Risultano convenienti anche i viaggi all’estero e ovviamente ogni viaggio rappresenta denaro che
se ne va ad arricchire qualche altro Paese. Se potessimo spendere di più, compreremmo prodotti esteri invece di prodotti italiani e si aprirebbe la forbice fra le nostre importazioni e le esportazioni:
questa differenza deve essere pagata da qualcuno e dovremmo cercare denaro facendo altro debito. Nel frattempo, sempre più imprese chiuderebbero o delocalizzerebbero e alla prossima crisi saremmo in ginocchio, molto peggio di quanto già lo siamo oggi. Le due cose devono andare di pari passo: ridurre le tasse e rimettere la moneta nel suo giusto equilibrio.

26. In molti dicono che la soluzione potrebbe essere “Più Europa”. È vero?

Come dire ad un avvelenato che ci vuole “più veleno”. Quelli che vorrebbero un’Unione Europea ancora più stretta, che diventasse in tutto e per tutto equivalente ad uno Stato unitario, fanno finta di non vedere che la Germania non si sogna neppure di cedere la sua sovranità per dissolvere lo Stato in un’unione con italiani e spagnoli.
Non hanno voluto farlo quando erano in posizione di debolezza, non lo vorranno mai fare ora che sono in posizione di forza.
In uno Stato unitario le regioni ricche trasferiscono denaro alle regioni povere, e mai e poi mai, la Germania accetterebbe di trasferire i soldi delle tasse dei cittadini tedeschi a favore di greci, italiani, spagnoli, irlandesi e portoghesi.
Anche se poi lo volessero (e non vogliono) dovremmo essere noi a rifiutare con forza quest’ipotesi! Abbiamo visto con il nostro Mezzogiorno che i trasferimenti di denaro non funzionano, non creano sviluppo, incentivano la criminalità e la rassegnazione porta a ricercare un posto di lavoro sussidiato.
Una meridionalizzazione totale del nostro Paese è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

lunedì 3 marzo 2014

Basta Euro. Come uscire dall'incubo, 31 domande 31 risposte. La verità che nessuno ti dice (quinta parte)


17. Perché l’Euro danneggia in particolare l’Italia e soprattutto il Nord?

L’industria settentrionale ha sempre avuto un grande vantaggio dalla Lira perché si trattava di una moneta sottovalutata rispetto alla forza economica e industriale del Nord Italia.
In pratica la Padania con la Lira era nella stessa posizione di vantaggio che la Germania ha adesso con l’Euro. Per semplicità diciamo che la forza economica del Nord era “dieci” mentre quella del Sud era “due”.
Una stessa moneta che valeva per queste due regioni così diverse era una media tra i valori che avrebbero avuto una moneta del Nord (10) e una moneta del Sud (2). La lira valeva quindi “sei”. Questo valore era troppo alto per il Sud che quindi si deindustrializzava, mentre era molto basso per il Nord che quindi poteva esportare molto facilmente i propri prodotti. Le industrie del Nord grazie
alla Lira si presentavano sui mercati internazionali con un “listino prezzi” scontato, i prodotti venivano acquistati da tutti e la disoccupazione non esisteva. Il “costo” di questo vantaggio per il Nord era il dover compensare il Sud (che non poteva competere) con forti trasferimenti fiscali.
Con l’Euro questo vantaggio è sparito, le imprese chiudono o spostano la produzione in Paesi più convenienti, ma le tasse e i trasferimenti fiscali sono rimasti perché se per il Sud la Lira era troppo cara figuriamoci l’Euro.
La Germania in questo momento è come era il Nord Italia con la Lira con la differenza di non trasferire nulla all’Italia che si sta “meridionalizzando”.
Per questo motivo, una volta riconquistata la nostra sovranità monetaria, se si volesse affrontare davvero il problema delle differenze tra Nord e Sud bisognerebbe magari pensare a due monete diverse. Il Sud diventerebbe competitivo e potrebbe creare lavoro vero, non falsi lavori pubblici.
Il Nord avrebbe più difficoltà ad esportare rispetto a quando c’era la Lira ma non ci sarebbe più bisogno di trasferimenti e le tasse potrebbero calare fortemente.

18. Queste cose “quelli che comandano” non le sanno?

Probabilmente ormai le sanno ma non vogliono ammettere di aver fatto un errore così grave e sperano che in qualche modo le cose si aggiustino. Nel frattempo, dato che la moneta non si può svalutare, si sta provando a svalutare il lavoro con l’arma della disoccupazione.
Se io voglio far scendere il “listino prezzi” dei miei prodotti perché la moneta troppo forte li pone fuori mercato, proverò a pagare di meno i miei dipendenti.
Capite quindi perché, sempre più spesso, si legge di fabbriche che minacciano la chiusura a meno che i lavoratori non accettino un taglio dello stipendio. Niente altro che il vecchio “o mangi questa minestra o salti dalla finestra”. Questo sistema però si traduce in una perdita fortissima del potere
di acquisto per chi lo subisce: una svalutazione fa perdere potere di acquisto (e non sempre) solo nei confronti dei beni di importazione, il taglio dello stipendio lo fa perdere nei confronti di ogni spesa, anche quelle che non c’entrano nulla con l’importazione, come il parrucchiere, i vestiti, la pizza e la bolletta del telefono.
Non solo, se ho dei debiti (ad esempio, un mutuo), con il cambio di moneta e la svalutazione non mi accadrà nulla di male, mentre se subisco il taglio dello stipendio la rata rimarrà la stessa diventando in proporzione più pesante rispetto ai miei guadagni. Infine va considerato che se anche sono un lavoratore autonomo, se tutti i lavoratori dipendenti si impoveriscono perché i loro stipendi vengono tagliati, anche i miei guadagni si ridurranno perché avrò meno clienti per i miei prodotti o i miei servizi.
È quello che sta accadendo ora. “Quelli che comandano” (la famosa Troika: Commissione Europea,
Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale – nessuno di essi eletto dai cittadini) stanno quindi imponendo una ricetta dolorosissima e piena di controindicazioni gravissime.
Ovviamente poi ci sono fortissimi interessi in gioco. Si pensi per esempio a chi ha puntato sulla
delocalizzazione o alle imprese che si sono specializzate nell’importazione di prodotti fabbricati all’estero realizzando finora grandi profitti.

Questi soggetti si opporranno fortemente al recupero della competitività domestica dell’Italia e soprattutto del sistema industriale del Nord, è comprensibile, ma accontentare le loro pretese sarebbe come voler rimanere ammalati per compiacere il farmacista che così può guadagnare di più.

19. Se calassero anche i prezzi insieme agli stipendi non sarebbe una soluzione?

I prezzi non si adeguano mai velocemente verso il basso e, come si diceva, i debiti rimangono
grandi come prima e quindi in proporzione più pesanti
(il creditore è in teoria avvantaggiato, ma
se il debitore fallisce non è una buona notizia per chi gli ha prestato denaro). Non solo: se si va stabilmente in deflazione, cioè in un periodo in cui i prezzi delle cose scendono, i consumatori cercheranno di ridurre il più possibile le spese attendendo i cali dei prezzi, ma così facendo i consumi calano ancora di più, aumentando la recessione.

20. Il problema è che adesso c’è la Cina. Non possiamo competere con chi paga i lavoratori un Euro
all’ora/mese/anno. È vero?


A parte che la Cina c’è sempre stata e che da sempre abbiamo convissuto con oggetti a basso prezzo made in Hong Kong o simili, tuttavia numeri alla mano il nostro concorrente è la Germania, non la Cina.
L’ultimo rapporto pre-crisi dell’Istituto per il Commercio Estero indicava chiaramente come in tutti e cinque i principali settori del nostro export
(apparecchi meccanici 77 miliardi, metalli e prodotti in metallo 44, mezzi di trasporto 41, prodotti chimici e fibre sintetiche 34, apparecchiature elettroniche e ottiche 31) il diretto concorrente della nostra industria fosse Berlino, non Pechino.
Conoscete qualcuno che nel commercio si metta ad eseguire quello che il suo concorrente gli dice di fare?
Poi non stupiamoci dei risultati. In ogni caso è paradossale che chi denuncia l’eccessivo costo dei nostri prodotti poi sia favorevole all’Euro che aggrava questa differenza.

21. Il costo del lavoro è solo una parte del problema ma noi non abbiamo fatto ricerca, innovazione, infrastrutture, riforme ecc. È così?

Primo: non è vero e basta andare (magari usando un Frecciarossa, tanto per parlare di infrastrutture) in moltissime aziende italiane per trovare dei modelli di organizzazione e innovazione.
Tuttavia la questione è un’altra: qualsiasi siano i motivi per cui la nostra industria si è trovata fuori mercato (veri, come: Germania che ha compresso i salari, eccessiva inflazione nei primi anni dell’Euro, rigore mentre altri spendevano a debito per riformare il lavoro e sostenere banche e industrie ecc., oppure falsi come: gli altri sono biondi, noi siamo lazzaroni, c’è la Cina ecc.) è stupido pensare di rimetterci in pari “facendo lo stesso” dei nostri concorrenti.
La distanza da colmare è troppa e poi i concorrenti reagirebbero, col vantaggio ulteriore di poter beneficiare di tassi di finanziamento molto più bassi dei nostri.
È sempre bene prendere esempi da chi ha avuto successo ma prima di poter giocare ad armi pari occorre riallineare il cambio in modo da trovarci sulla stessa linea dei nostri concorrenti.
È giusto che un atleta si alleni ma non ci si allena bene a stomaco vuoto e, anche se, nonostante tutto, si fosse volenterosi e allenati, non si può pensare di correre i cento metri partendo cinquanta metri indietro.
Allo stesso modo ci sono tante riforme che sarebbe corretto fare (basti pensare alla giustizia) ma ogni riforma seria necessita di tempo e denaro. Con l’Euro non l’avremo mai.

sabato 1 marzo 2014

Basta Euro. Come uscire dall'incubo, 31 domande 31 risposte. La verità che nessuno ti dice (quarta parte)


12. I tedeschi sono efficienti e hanno etica del lavoro, noi siamo lazzaroni e furbi. È così?

Nessuno potrebbe dare lezioni di creatività e voglia di lavorare agli italiani.
L’impresa del Nord Italia è sempre stata un modello per il mondo e finché c’era la possibilità di competere ad armi pari, i lavoratori hanno sempre sopportato ogni tipo di orario e di turno battendo sistematicamente la concorrenza
.
In compenso la società che è stata riconosciuta colpevole del più grande caso di corruzione internazionale della storia è tedesca (la Siemens).
La verità è semplicemente che la Germania ha una moneta sottovalutata e quindi i suoi prodotti costano meno di quello che sarebbero costati se avessero avuto il Marco mentre noi abbiamo una moneta sopravvalutata e quindi i nostri prodotti costano di più di quello che costerebbero se avessimo la nostra moneta.
Se un’impresa ha un vantaggio, vende di più e può permettersi di fare ricerca e innovazione, realizzando prodotti più belli e solidi che vendono ancora di più. Se un’impresa è in svantaggio competitivo, invece, deve tagliare i costi, risparmiare sui materiali e i suoi prodotti diventano di minore qualità e vendono ancora di meno. Non dimentichiamo poi che le regole che l’Europa fissa per fare impresa sono estremamente complesse e fatte su misura per imprese di grandi dimensioni: per l’impresa medio-piccola italiana gli obblighi sono intollerabili e costosissimi da gestire.
Gli aiuti di Stato poi sono sempre stati proibiti per noi e consentiti alla Germania: Berlino ha salvato le sue banche con 300 miliardi di euro, mentre noi non avevamo alcun bisogno di interventi di questo tipo che diventano legali solo quando servono agli altri e non a noi. I tedeschi fanno i loro interessi, e il loro punto di vista è comprensibile: siamo noi che dobbiamo cominciare a fare i nostri. Il risultato di questa situazione è che nei paesi in crisi la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli intollerabili. Altro che lazzaroni! Se metà dei giovani sono disoccupati è perché la domanda di lavoro manca in modo gravissimo. Negli anni ‘80 e ‘90, nel Nord Italia, se qualcuno era disoccupato, era perché non aveva voglia di lavorare, adesso un impiego è diventato un miraggio.

13. Noi abbiamo un enorme debito pubblico, è colpa sua se siamo in crisi. È vero?

Tutti i Paesi che sono andati in difficoltà prima di noi, come l’Irlanda e la Spagna non avevano nessun problema di debito pubblico. In compenso, il Giappone, che ha un debito pubblico doppio rispetto al nostro, non è in crisi come noi e può permettersi aggressive politiche di sviluppo.
Anche la Germania ha un pesante debito pubblico, anzi, mentre noi lo riducevamo (circa venti punti di calo dal 1994 al 2007), la Germania lo aumentava infrangendo i trattati che la obbligavano a mantenere il debito al di sotto di una certa soglia. Non dimentichiamo poi che la Germania può
“nascondere” molto del suo debito in una banca pubblica che si chiama KfW: se si contasse anche quello non ci sarebbe una grande differenza tra il debito italiano e quello tedesco, che in ogni caso è superiore in valore assoluto.
Spesso facciamo l’errore di demonizzare il debito pubblico dimenticando che a fronte di un debito c’è sempre un credito e i risparmiatori che, direttamente o indirettamente, possiedono titoli di Stato dovrebbero riflettere sul fatto che cancellando il debito si cancellerebbero anche i loro risparmi.
Anche chi non possiede titoli di Stato verrebbe colpito da una riduzione forzata del debito pubblico, perché le banche ne possiedono grandi quantità: esse diventerebbero insolventi e persino i conti correnti sarebbero a rischio come è successo a Cipro.
Se uno Stato ha un debito espresso nella propria moneta ed ha sovranità monetaria non potrà mai giungere a non onorarlo, perché potrà sempre “stampare” il denaro necessario alla restituzione del debito.

14. Se la crisi è scoppiata per lo spread evidentemente il debito pubblico è importante. Non è così?

In realtà eravamo in crisi già da prima ma non ce ne accorgevamo perché la debolezza delle nostre imprese era camuffata dall’afflusso di denaro a debito (questa volta privato).
Lo spread è esploso non certo per la credibilità, per il bunga-bunga, per il pieno della macchina del figlio di Bossi o qualsiasi delle bugie che la stampa ha raccontato per aprire la strada a Monti: lo spread è esploso dopo che Francia e Germania hanno deciso di far “fallire” la Grecia abbattendo il valore dei suoi titoli di Stato in mano ai risparmiatori.
A quel punto tutti gli investitori mondiali hanno cominciato a vendere i titoli irlandesi, poi quelli portoghesi, poi quelli italiani e spagnoli semplicemente perché pensavano che avrebbero fatto la fine dei titoli greci. Anche lo spread sui titoli Francesi e Finlandesi aveva cominciato a salire
mentre l’Inghilterra, grazie al fatto che aveva una Banca Centrale che garantiva il debito ricomprandoselo, non ha mai avuto problemi di spread.
Gli interventi di Monti hanno poi peggiorato le cose: lo spread è sceso solo a seguito delle azioni della Banca Centrale Europea che, se pur con gravissimo ritardo, ha annunciato la propria intenzione di garantire il debito.

15. Quindi se la BCE garantisse il debito e gli spread si azzerassero saremmo a posto?

Purtroppo no: gli effetti di una moneta troppo forte rispetto a quello che sarebbe giusto permangono. Ciò significa che se gli italiani, invece di essere strozzati, tornassero a spendere, comprerebbero in maggioranza prodotti esteri e la differenza fra importazioni e esportazioni deve essere finanziata da ulteriore debito.
In pratica ci indeboliremmo ancora di più e se in futuro la BCE dovesse cambiare idea saremmo in ginocchio.

16. Neppure la Grecia e l’Irlanda vogliono abbandonare l’Euro, perché noi sì?

Grecia e Irlanda hanno ricevuto cifre elevatissime sotto forma di prestiti “a babbo morto”, pagati anche da noi. Si è trattato di una specie di “risarcimento” per evitare che il sistema andasse in pezzi. Se la Grecia fosse uscita dall’Euro prima di ricevere gli aiuti avrebbe avuto solo il danno e non il risarcimento. Noi invece paghiamo e basta, e non riceviamo nulla da nessuno.
Non solo, noi avevamo solo circa il 3% dei crediti verso Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo ma, invece, siamo stati chiamati a “salvare” questi stati (in realtà abbiamo salvato soltanto i loro creditori) con una quota pari al 20%, perché l’Europa ha trovato conveniente mettere tutto “sul conto del condominio”. Per esempio, la Spagna, che nonostante la disoccupazione doppia rispetto a noi ci viene a volte presentata come un modello di virtù, ha ricevuto 50 miliardi per salvare le sue banche: miliardi pagati in discreta parte dall’Italia che, nonostante ciò, invece viene costantemente
umiliata e messa “dietro la lavagna”.
La cifra da noi impegnata per i salvataggi europei è stata finora pari a 53 miliardi di euro: senza buttare questi soldi (che probabilmente non ci verranno mai restituiti) ci si sarebbe potuta pagare l’IMU sulla prima casa per 15 anni o pagare uno stipendio di 16mila euro per un anno a tutti i disoccupati italiani. La Lega Nord è stato l’unico partito che ha votato contro quando l’enorme impegno per questi fondi è stato approvato di nascosto nell’estate del 2012.