domenica 30 settembre 2012

Che cosa distingue gli umani in quanto umani?

Oggi mi occupo di uno di quei domandoni che tanto mi piacciono. Sarà un modo per parlare del capitalismo e di Adam Smith. Non deve ritenersi, questo post, un inno al libero mercato tout court, ma un semplice contributo da approfondire.

La domanda “Che cosa distingue gli umani in quanto umani?” era fra le più dibattute alla fine del Settecento.
Per Adam Smith l’atto di scambio è “naturale”, nel senso che è basato su una propensione che si trova in tutti gli esseri umani, anzi, più precisamente, soltanto negli esseri umani. Vale a dire che per Smith lo scambio di mercato è una caratteristica centrale che definisce la nostra stessa umanità.
Per alcuni, la risposta consisterebbe nella capacità degli esseri umani di comunicare e di sviluppare il linguaggio. Per Smith, la risposta va cercata nella propensione degli esseri umani allo scambio commerciale.
Egli la definisce come “inclinazione a trafficare, a barattare e a scambiare una cosa con l’altra”, in altri termini, a commerciare.
Tale inclinazione, continua Smith,
è comune a tutti gli uomini e non si trova nelle altre razze animali, che sembra ignorino questo come ogni altro tipo di contratto. Vedendo due levrieri che corrono dietro la stessa lepre, saremmo talvolta tentati di supporre tra loro una sorta di accordo. Ciascuno dei due spinge la lepre verso il suo compagno o tenta di afferrarla quando il suo compagno la spinge verso di lui. Pure, questo non è il risultato di una specie di contratto, ma dell’incontro accidentale delle loro passioni che si rivolgono insieme verso lo stesso oggetto e nello stesso momento. Nessuno ha mai visto un cane con un suo simile fare lo scambio deliberato e leale di un osso contro un altro osso. Nessuno ha mai visto un animale coi suoi gesti o le sue grida naturali, far capire a un altro animale: “Questo è mio, quello è tuo, io darei volentieri questo in cambio di quello”.
Da tutto ciò traiamo brevemente alcune implicazioni e conseguenze.
1) Lo scambio di mercato, essendo basato su una propensione naturale, è comune a tutte le genti e a tutti i paesi. Il mercato è un’istituzione universale che sorge da un’innata inclinazione degli esseri umani. Dunque i tentativi di limitare lo scambio sono da considerare tanto inutili quanto oppressivi. Sono inutili perché, mortificando una caratteristica della natura umana, vanno incontro a un inevitabile insuccesso. Quindi, i tentativi di porre limiti al funzionamento del mercato in certi paesi, come nel vecchio blocco comunista, hanno semplicemente generato attività di mercato “nero” o “zone grigie”; vale a dire, hanno incentivato forme di scambio commerciale che non erano ufficialmente autorizzate dallo Stato. Qualsiasi tentativo di limitare in maniera significativa il mercato non può funzionare a lungo perché la natura umana riesce sempre a trovare scappatoie e vie di fuga, riesce sempre ad aggirare le limitazioni poste dallo Stato. L’attualità di questa impostazione non risiede solo nel ritenere che i sistemi economici che cercano di limitare la spontaneità del mercato sono destinati a fallire perché l’ingegnosità umana, alimentata dall’”inclinazione a trafficare, a barattare e scambiare”, prevarrà sempre. Questa posizione implica anche che la transizione a un sistema di mercato può essere effettuata in maniera ragionevolmente rapida, perché i mercati tendono a svilupparsi “naturalmente” e in modo spontaneo. Per esempio, la transizione al capitalismo dell’ex blocco sovietico si è realizzata in un periodo molto breve, non appena si sono presentate le opportune condizioni di fattibilità.
2) Porre vincoli agli scambi di mercato significa porli anche alla libertà umana. Se la nostra umanità viene espressa e definita dalla nostra capacità di intrattenere relazioni di scambio con gli altri, allora qualsiasi tentativo di limitare questi scambi diventa un tentativo di porre limiti alla nostra umanità.

giovedì 27 settembre 2012

Nina Berberova e la no man's land


Il mio piccolo sogno sarebbe quello di accendere una stella ogni giorno. Una stella che può essere rappresentata da una poesia, da un racconto, da una frase letta in un romanzo, da un aforisma filosofico e così via. Mi piacerebbe che la mia vita scorresse così, nella costruzione di questo cielo stellato di pensieri meravigliosi.
Correlato a questo sogno c’è anche la voglia di condividere il più possibile queste gioie intellettuali con il popolo della rete. Io ci provo, poi quel che sarà, sarà.
Oggi posto questa “teoria” della no man’s land scritta da Nina Berberova.
Credo che molte persone si ritroveranno in questa teoria, almeno le migliori. Sarei curioso di conoscere le no man’s land di ogni persona che incontro e che conosco. Ma so che non è possibile perché la no man’s land è spesso avvolta dal mistero; come spiega bene Nina.
La no man’s land mette in luce l’essenziale scissione che alberga nell’essere umano spesso diviso tra un se stesso originale e un se stesso mondano e fa trasparire alcuni aspetti del mondo che da sempre attirano la mia attenzione e cioè quello di essere fastidioso, alienante e stupido.
Buona lettura.

Fin dai primi anni della mia giovinezza pensavo che ognuno di noi ha la propria no man’s land, in cui è totale padrone di se stesso. C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla. Ciò non significa affatto che, dal punto di vista dell’etica, una sia morale e l’altra immorale, o, dal punto di vista della polizia, l’una lecita e l’altra illecita. Semplicemente, l’uomo di tanto in tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero, da solo o in compagnia di qualcuno, anche soltanto un’ora al giorno, o una sera alla settimana, un giorno al mese; vive di questa sua vita libera e segreta da una sera (o da un giorno) all’altra, e queste ore hanno una loro continuità.
Queste ore possono aggiungere qualcosa alla vita visibile dell’uomo oppure avere un loro significato del tutto autonomo; possono essere felicità, necessità, abitudine, ma sono comunque sempre indispensabili per raddrizzare la “linea generale” dell’esistenza. Se un uomo non usufruisce di questo suo diritto o ne viene privato da circostanze esterne, un bel giorno scoprirà con stupore che nella vita non s’è mai incontrato con se stesso, e c’è qualcosa di malinconico in questo pensiero. Mi fanno pena le persone che sono sole unicamente nella stanza da bagno, e in nessun altro tempo e luogo.
L’Inquisizione oppure lo stato totalitario, sia detto per inciso, non possono assolutamente tollerare questa seconda vita che sfugge a qualunque tipo di controllo, e sanno quello che fanno quando organizzano la vita dell’uomo impedendogli ogni solitudine, eccetto quella della stanza da bagno. Nelle caserme e nelle prigioni, del resto, spesso non c’è neanche questa solitudine.
In questa no man’s land, dove l’uomo vive nella libertà e nel mistero, possono accadere strane cose, si possono incontrare altri esseri simili, si può leggere e capire un libro con particolare intensità, o ascoltare musica in modo anch’esso inconsueto, oppure nel silenzio e nella solitudine può nascere il pensiero che in seguito ti cambierà la vita, che porterà alla rovina o alla salvezza. Forse in questa no man’s land gli uomini piangono, o bevono, o ricordano cose che nessuno conosce, o osservano i propri piedi scalzi, o provano una nuova scriminatura sulla testa calva, oppure sfogliano una rivista illustrata con immagini di belle donne seminude e muscolosi lottatori – non lo so, e non lo voglio sapere. Da bambini e persino da giovani (come probabilmente anche da vecchi) non sempre avvertiamo il bisogno di quest’altra vita.
Ma non bisogna credere che quest’altra vita, questa no man’s land, sia la festa e tutto il resto i giorni feriali. Non per questa via passa la distinzione: solo per quella del mistero assoluto e della libertà assoluta.

mercoledì 26 settembre 2012

Il giunco mormorante


Nina Berberova scrive proprio da dio e per rendersene conto bastano le prime dodici pagine che formano il primo capitoletto di questo breve romanzo.
L’uso della metafora, del flashback, i pensieri che sanno vagare rimanendo magicamente coerenti con gli avvenimenti esterni e il flusso della storia, la dolcezza, l’ironia.... L’ho riletto più volte questo primo capitolo e sono ancora sotto l’effetto di questa grande arte narrativa di Nina. Mi verrebbe voglia di segnalarlo alle scuole di scrittura.
Il romanzo è la storia di un amore potentemente intenso e altrettanto potentemente insoddisfatto che deve affrontare una lunga (e lontana tanto quanto la Francia dalla Svezia) separazione, la Seconda Guerra mondiale e la guerra tattica e tremenda di una donna diabolica e manipolatrice: Emma.
A proposito della Seconda Guerra mondiale. Nel libro se ne parla in poche pagine, ma c’è tutto quello che serve per descrivere una guerra: le folle di reclute sui marciapiedi, il razionamento del cibo e della luce, i soprusi, le paure, la vita che si deforma a causa degli eventi bellici.
Nella “seconda parte” del romanzo, la protagonista va in Svezia e la tensione sale. Ho “inseguito” pagina per pagina la storia sperando che succedesse quello che il mio animo romantico voleva che succedesse. Non vi dirò, ovviamente, quel che succede. Lo scoprirete leggendo. Quello che voglio dire è che la Berberova ci insegna una grande cosa della letteratura: non è importante il lieto fine (gli happy end sono per gli stupidi), ma narrarci una grande trasformazione, una rivoluzione che sconvolge la forma mentis del personaggio. Ed è proprio questa rivoluzione interiore uno dei due motivi principali per cui vale la pena leggere Il giunco mormorante.
L’altra, sublime, riguarda il pezzo che parla della teoria del no man’s land.
Anzi, è talmente interessante questa teoria, è un pensiero che m’è piaciuto così tanto, che ho deciso di condividerlo con lor signori. A domani.

martedì 25 settembre 2012

I love fantasmi interiori


Ah, quello suona la chitarra, allora gliela faccio l’elemosina. Mano in tasca, tiro fuori il pugno con dentro le monete. Ci sono 10 cent, la plastica del pacchetto di sigarette, altri 10 cent, uh! 20 cent, nippoli blu blu blu, 10 cent ancora…totale, vediamo…50 cent. Tiè, godi anche tu.
Zingara niente elemosina, nero col cappello niente elemosina, quello con la gamba amputata niente elemosina, non compro calzini dall’indigeno, non mi serve l’accendino, non voglio il cazzo di abbonamento Vodafone, ficcati nel culo mediaset premium, vaffanculo te testimone di geova…uff, li ho scansati tutti, sono quasi a casa, ma poi c’è una biondazza che mi porge un volantino.
C’ha le tette e un bel sorriso, mi fermo.
“Ciao!”
“Ciao!”
“Sscusa posso rubarti solo cinque minuti? Faccio parte di un gruppo che fa psicosintesi, potrebbe interessarti?”
“Gruppo di che?”
“Psicosintesi”.
“Non so cos’è”.
“Allora, la psicosintesi è un metodo di auto-formazione e realizzazione psico-spirituale per tutti coloro che non vogliono accettare di restare schiavi dei loro fantasmi interiori e degli influssi esterni, di subire passivamente il gioco delle forze psicologiche che si svolge in loro, ma vogliono diventare padroni del proprio regno interiore”.
“Ah, molto interessante”.
“Dici davvero?”
“Certo. Sei fidanzata?”
“Sì”.
“Bè, grazie delle info. Leggerò il volantino”.
“Ok, se ti va, la prossima riunione è giovedì alle 19 nella sala a fianco alla chiesa luterana”.
“Va bene, ci penserò. Ciao.”.
Ma vaffanculo te e la chiesa luterana.
Metto il volantino in tasca e finalmente raggiungo casa. Mi accoglie il solito silenzio e gli oggetti che tornano al loro posto proprio un secondo prima che io varchi la soglia. Non li vedo, però lo so.
Come prima cosa metto un cd dei Death in June nello stereo, mi accendo una sigaretta, prendo un bicchiere dal mobile della cucina, la bottiglia di wiski dal tavolo e mi siedo in poltrona. Spiego il volantino che avevo piegato in quattro parti e comincio a leggere. Ci son scritte più o meno le stesse minchiate che m’ha detto la biondazza.
I fantasmi interiori…liberarsene…
UUuuuuUUUU Andrèèèèèèèèè UUUuuuuUUUU
Arieccolo! Ma che voj??
UUuuUUU Vuoi davvero liberarti di noi?? UUUuuuuUUUU
Ma no, stavo solo dando un’occhiata al volantino…
UUuuUUUUU Noi ti vogliamo bene, ormai siamo amici, no? UUuuuUUUU
Certo, ma sai…stavo riflettendo…non sarebbe ora di avere una vita più normale? Una compagna, dei rapporti sociali stabili…invece di starmene da solo con voi fantasmi interiori…
UUUuuuUUU Cattivo! Vuoi liberarti di noi dopo tanti anni passati insieme? UUUuuUUU
Non lo so... sto volantino mi ha messo in crisi. Poi il fatto di diventare padrone del mio regno interiore mi stuzzica.
UUUuuuUUU Cosa? Ma tu non li odi i padroni? UUUuuuUUU
Certo che sì.
UUUuuuUUU E poi che minchia sarebbe un regno interiore? UUUuuuUUU
Non ne ho idea.
UUUuuuUUU E allora? UUUuuuUUU
E allora niente, prendo la scacchiera e ci facciamo una partita.
UUUuuuUUU Sìììì! Prendo io i Neri! UUUuuuUUU

lunedì 24 settembre 2012

Ateo, il tempo di un caffè

Omnem, quae nunc obducta tuenti
mortalis hebetat visus tibi et humida circum
caligat, nubem eripiam.

Ora dissolverò quella nube
che appanna come un velo
la vista dei mortali.

Virgilio, Eneide, Libro II, vv. 604-606
Quare religio pedibus subiecta vivissimo
opteritur, nos exaequat victoria caelo.

Perciò a sua volta abbattuta sotto i piedi la religione
è calpestata, mentre la vittoria ci eguaglia al cielo.


Lucrezio, De rerum natura, Libro I, vv. 78-79
Contro ogni Dio, l’ateismo asserisce e fonda la sua causa con sicurezza incrollabile e trionfale.
La sua causa è una cosa sola con la “ragione”, con la logica, sicché volerla oppugnare è semplicemente insorgere contro le fondamentali leggi logiche del pensiero. È una cosa sola con la mente sana, con la mentalità sviluppata e civile, con la capacità di ragionare correttamente, con la ragione intesa come l’opposto dell’allucinazione o dell’alienazione mentale. Negare l’ateismo è cadere nell’allucinazione, nella pazzia, nella mentalità crepuscolare dei bambini e dei selvaggi, incapaci di distinguere l’è dal non è. Giacché la causa dell’ateismo ha appunto la sua base invincibile nel concetto più elementare: quello di Essere.
Stabilito con precisione e chiarezza che cosa è Essere, resone conto a se stessi fuor degli equivoci e del vago, la questione è immediatamente risolta, e l’inconcussa validità dell’ateismo assodata con la medesima inamovibile certezza con cui lo è un teorema di geometria elementare, chi non riconosce la verità del quale è fuori dalla ragione, è pazzo.
Forse queste parole così semplici e dirette urteranno la sensibilità dei credenti di vario ordine; questo breve scritto che li relega fuori della sfera della ragione. Questo post sfida la loro indignazione col venir così a comprovare che non si può credere per ragione, ma si crede solo soffocando e negando la ragione, piegandola e deviandola di proposito e preconcetto a suffragare fallacemente quel che già si vuole credere e costringendola a sofisticare se stessa per tener fermo a ciò che si vuol credere.
Indignazione pericolosa, perché prepotente e violenta, come quelle di tutti coloro che credono alcunché non per ragione ma contro ragione, e per mero impulso della volontà cieca che esige così: al che la violenza naturalmente e necessariamente si congiunge.
In questo momento di ritorno, anche politicamente opportunistico, di tutte le vecchie menzogne, le vecchie rugiadose autosuggestioni, i vecchi patetici sdilinquimenti, occorre che qualche voce si levi a sostegno di quella semplice logica che con la sua ventata pura e fredda, spazza via implacabilmente tutta questa umida nuvolaglia e rifà terso e rigido il sereno del cielo intellettuale.

Eh, ma ci sarebbe altro da dire.
Sì, ma te l’ho detto. Il tempo di prendere un caffè. Il resto la prossima volta.

domenica 23 settembre 2012

Colui che soccombe


Questa estate ho coronato il mio piccolo sogno di andare a Delfi. Volevo vedere il sito archeologico dell’oracolo e calpestare la terra dell’omphalos ellenico.
Ho visitato anche il museo e la mia attenzione è stata catturata dalle scene di guerra rappresentate attraverso la scultura.
Una figura in particolare mi ha avvinto: quella del guerriero che muore in battaglia, che cade sconfitto sotto i colpi dell’avversario, che giace in terra ferito o morto, insomma colui che soccombe.
Queste foto ne sono la testimonianza visiva diretta. Le foto sono sempre in coppia; cioè ho cercato di farne una che riprendesse la scena in generale e una particolare sul soccombente.









venerdì 21 settembre 2012

Siamo uomini, mica bestie! [eh, appunto. è questo il problema]


Che vergogna che ho provato ieri sera.
Mentre giocavo con mia nipote sul divano, su raiuno (che stava guardando mia madre) è comparso bruno vespa (uno che si spaccia per giornalista) che ha cominciato col dire: “Stasera blà blà blà Porta a porta blà blà blà, intervista esclusiva blà blà blà Franco Fiorito accusato di aver DISTRATTO soldi dalla Regione Lazio attraverso bonifici e blà blà blà”… DISTRATTO?
Ma che cazzo di modo di parlare è? La parola giusta è RUBARE RUBARE RUBARE RUBARE RUBARE. Chiaro? La vogliamo finire di usare la lingua italiana a minchia di cane? La vogliamo finire di essere servi dei potenti? La vogliamo finire di dare la principale rete televisiva italiana in mano a questa gentucola? Che miseria e che vergogna!
Visto che non mi va di sporcare il blog dedicando un post a bruno vespa e visto che io non mi umilio nella vostra attualità fatta di schifezze e Matteo Renzi, posterò qualche riflessione tratta da Cicute (Dal diario di un filosofo) del filosofo Giuseppe Rensi.

Innanzitutto qualcosa che riguarda “fatti e idee”.
Chi di voi filosofi e pensatori non ha udito quella specie di rimprovero che suona più o meno così: “Ma la vuoi smettere di farti le pippe mentali? Ti vuoi occupare o no di cose serie e scientifiche? Occupati dei fatti, non di mere combinazioni di idee”.
Eppure nulla tramonta più presto d’una constatazione di fatti, nulla dura di più d’una mera combinazione d’idee. Il fatto trapassa presto, l’idea perdura sempre. Un libro di fisica di vent’anni fa non si legge più. Si legge ancora, invece, un’enunciazione di “mere” idee scritta venti secoli fa.

Passiamo ora a una cosa che m’interessa molto: il vizio e la sua essenza.
Se non ci si sta attenti, tutto può diventar vizio. Non solo il gioco d’azzardo, le sigarette, il vino, le donne; ma i libri, i quadri, gli scacchi, i francobolli, le scatole di fiammiferi…, cioè ogni cosa che diventi per noi un’idea fissa, una mania; che ci susciti il desiderio insaziabile e invincibile di possederne in sempre maggiore misura (il pleonektein di Platone essenza dell’adikia); al sempre maggior possedimento della quale tutta l’anima nostra, tutti i nostri pensieri siano asserviti.
In una parola, si può dire che l’essenza del vizio, abbia esso per oggetto le donne o le scatole di fiammiferi, è il collezionismo.
Collezionismo significa non averne mai abbastanza della cosa per cui si ha passione, volerne avere ancora, insaziabilmente ancora. Quest’è appunto l’essenza del vizio, il quale non consiste in un solo fatto, atto o caso, ma nella ripetizione, nel volerne ancora, nel volerne di continuo. È una fortuna quando il collezionismo, questa essenza del vizio, si volge – anziché alle donne, ai bicchieri di vino, alle sigarette – ai libri, alle stampe antiche, alle conchiglie fossili. Ma si tratta solo d’una diversa deviazione della stessa tendenza.
Per converso e di conseguenza, l’essenza della virtù è la rinuncia, il distacco. Cioè la dispersione della collezione.

Chiudiamo con un pensiero dedicato alle bestie e agli uomini.
Diamine, non siamo mica bestie, siamo uomini.
E con ciò voglio dire: non siamo mica esseri che in forza dell’istinto equilibrato e infrangibile non mangiano, non bevono, non godono sessualmente oltre il bisogno; ma esseri in cui appunto lo spirito ha rotto tale barriera dell’istinto e ha acceso il desiderio insaziabile, senza il bisogno e oltre il bisogno, spingendoli così necessariamente ad ogni sfrenatezza ed eccesso.
Non siamo mica bestie, siamo uomini. Lo dico non per far risaltare la nostra superiorità di natura su di esse; ma, al contrario: per giustificare con la nostra inferiorità rispetto ad esse le azioni peggiori delle loro che ad ogni momento compiamo.

giovedì 20 settembre 2012

Alice Dellal eroina di frontiera


Alice Dellal è un’eroina dei nostri tempi.
Sprezzante dei tabù, dei pregiudizi e del politicamente corretto ha sfilato col culo scoperto.
È accaduto a Londra in occasione della London Fashion Week. La scelta coraggiosa e, diciamolo pure, all’avanguardia è del brand Pam Hogg.
L’ufficio stampa, in una nota pubblicata sul proprio sito, fa sapere che la prossima mossa sarà quella di far vedere anche la patatina.
Agli amanti della moda, a quelli che guardano lontano, agli esteti, ai coraggiosi del mondo tutto non resta che attendere.
Forza Alice, siamo con te!




mercoledì 19 settembre 2012

Perché nel coro universale l'anima non canta come il mare, e il giunco pensante mormora, protesta?


Uno dei miei argomenti di riflessione preferiti è quello dell'uomo come figlio perduto e dannato della Natura.
Che io sappia nessuno soffre più dell'uomo all'interno del creato. Animali, vegetali, minerali, ecc. non hanno tutti i problemi e le sofferenza che ha l'uomo. Dico bene?
Le pietre non piangono, gli alberi non hanno rimorsi, i cani non hanno i tarli esistenzialistici. Gli animali hanno l'istinto rozzo e sicuro, noi una ragione inutile e ipersviluppata.
L'uomo è capace di stare male, di tormentarsi, di avere la magica accoppiata rimpianti & rimorsi...ha paura, sente lo smarrimento, la perdita di senso che l'avviluppa un giorno sì e l'altro pure...e come se non bastasse è attorniato da un numero considerevole di rompicoglioni che stanno sempre a dirgli cosa deve fare, come deve pensare, a correggerlo, a imbeccarlo, a rimproverarlo.
Risolveremmo metà dei problemi a far fuori sta gente. Vabbè.
Leggiamo Tjutčev, poi sigaretta e un po' di vino.

Est in arundineis
modulatio musica ripis


È armonia nelle onde marine,
nelle furiose dispute degli elementi.
Melodiosa musica, il fruscio
scorre tra i fluttuanti giunchi.

In tutto è un ordine inviolabile,
e piena consonanza è nel creato;
solo nell’illusoria libertà
ci sentiamo divisi da natura.

Di dove, come è nata la discordia?
Perché nel coro universale l’anima
non canta come il mare, e il giunco
pensante mormora, protesta?

E dalla terra alle estreme stelle
non ha risposta fino ad oggi
il clamore della voce nel deserto,
il lamento dell’anima braccata?

1865


martedì 18 settembre 2012

Piccoli versi e pensieri proliferanti

Nuestras vidas son los rìos
que van a dar en la mar,
qu'es el morir
JORGE MANRIQUE

Noi siamo fatti tutti di pezzetti, e di una tessitura così informe e bizzarra che ogni pezzo, ogni momento va per conto suo. E c'è altrettanta differenza fra noi e noi stessi che fra noi e gli altri.
MICHEL DE MONTAIGNE, Essais, vol. II, 1

Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di se stesso. Perciò colui che disprezza il suo ambiente non è la persona che per esso si rallegra o soffre. Nella vasta colonia del nostro essere c'è una folla di molte specie che pensa e sente in modo diverso.
FERNANDO PESSOA, Libro dell'inquietudine, annotazione del 30 dicembre 1932

La poesia la leggo sempre, l'apprezzo sempre, ne godo sempre, ma quando c'eri tu la poesia era una gioiosa scintilla, un'onda di piacere che m'inebriava mentre ora è malinconica e triste come può essere un tramonto.
Così, è vero che io sono molti, che ognuno di noi alberga molte anime e una colonia di esseri varia e bizzarra. Quando c'eri tu, però, questa banda era allegra e unita nella diversità. Era come il concorde-discorde di Eraclito.
Adesso, senza di te, son morti tutti.
Solo sto stronzo che scrive e ti pensa è rimasto.

venerdì 14 settembre 2012

Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri


In questi giorni plumbei, freddi, piovosi, nervosi e stressanti quale miglior rifugio delle poesie e degli aforismi di Alda Merini?
A me le chiacchiere quando le cose non vanno al meglio non piacciono. Se vedo arrivare un gran mucchio di merda, io mi riparo sotto il manto della bellezza in attesa che le cose migliorino.
Non m’interessa la tua visione delle cose, le tue teorie piene di parole vuote e inutili. Tienitele pure, non servono a un cazzo.
Ognuno trova dentro di sé la forza per uscirne, usa le sue risorse – se ce l’ha. Altrimenti si attacca al tram. Io, per conto mio, mi attacco alle cose belle.
Allora, cominciamo?
Spensierato è colui
che si giudica folle.
La psicoanalisi
cerca sempre l’uovo
in un paniere
che si è perduto.
La vera misura
dell’uomo
è la pace.
Chi è a corto di bugie non può salvarsi.
Quando la bugia sembra vera
nasce la calunnia.
Ciò che lega
la parola del poeta
è il turgore segreto
del suo potere nascosto.
Quando ho mangiato bene
mi informo sul destino degli altri.
Non sempre
si riesce
ad essere
eterni.
Il poeta
che vede tutto
viene accusato
di libertà
di pensiero.
Gusto il peccato come fosse
il principio del benessere.
Il paradiso non mi piace
perché verosimilmente non ha ossessioni.
L’unica radice che ho mi fa male.
Se Dio mi assolve
lo fa sempre
per insufficienza
di prove.
Quando brindo alla follia
brindo a me stessa.
Ogni poeta vende i suoi guai migliori.
Non mi lascio mai
escludere
dal mio io.
Ci sono notti
che non
accadono mai.

giovedì 13 settembre 2012

Ho una montagna di piatti da fare


In questi giorni sto nervoso a causa dell’esame del TFA che dovrò sostenere lunedì in quel di Pavia. Dice: bè, è normale essere nervosi, è pur sempre un esame e per te è molto importante perché si tratta di un dentro o fuori, è un esame difficile e blà blà blà. Ma non è per l’esame in sé o per il dentro o fuori. Un esame è un esame, essere nervosi perché è difficile sarebbe stupido. Io sono nervoso perché uno va a sostenere una prova scritta e non sa manco che cazzo di prova è. Cioè uno deve fare uno scritto e manco sa come sarà sto scritto. Chi parla di temi, chi di domande aperte, chi dice che sarà una domanda a materia, chi quattro. Ma andate affanculo.
Ovviamente quando sono nervoso tutto mi innervosisce e cerco anche di trovare qualcosa che mi faccia innervosire ancora di più. È normale, credo.
Comunque il mio è sempre un nervosismo sui generis perché di fondo son troppo allegro e del resto a me che me ne fotte uagliò? Come quelli su youtube. Io scrivo tanto per scrivere e quelli s’impegnano come belve. Ahahahhahahahahah me fanno morì!
Innanzitutto vorrei sfatare una leggenda, cioè questa: "Una donna, per quanto cinica e bastarda, avrebbe avuto quel minimo di sensibilità che normalmente la contraddistingue.”
Attenzione alle parole in grassetto. Io direi di finirla, queste frasi non hanno senso, non sono vere.
È uguale a quell’altra: “Gli uomini sono tutti uguali”. Cazzata, non è vero. Poi io mi vergogno di essere simile a un altro e credo che mi ammazzerei se assomigliassi a un’intera specie.
Gli uomini son tutti diversi tra loro e le donne non sono più sensibili degli uomini, né hanno un surplus di sensibilità che le dovrebbe contraddistinguere. Finiamola.
Sì, le donne piangono più spesso, ma ciò non significa essere più sensibili. Il pianto è uno sfogo, un’arma, una difesa; non è indice di sensibilità. Quando la donna è cinica o bastarda è cinica o bastarda, non ci sono cazzi. Non mi piacciono le generalizzazioni, non mi piacciono le calunnie e nemmeno questo dolce stil novo da supermercato.
Veniamo alla quarta di copertina di un libro di Pasolini: “…opera di narrativa, destinata a rimanere incompiuta per l’improvvisa e tragica scomparsa del Poeta.” Tragica scomparsa? Pasolini fu ucciso. Ci voleva tanto a scriverlo? UCCISO. Perché Pasolini era un intellettuale serio, lungimirante, profetico, anti partitico e anti sistemico. Fu ucciso perché dava fastidio, come accade spesso in Italia, e non ha avuto giustizia come accade sempre in Italia. Fecero quella buffonata di processo a Pelosi e tanti saluti.
Altro esempio di lingua italiana non adoperata correttamente è la targa dedicata a Pinelli sita in piazza Fontana a Milano: “A Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, innocente morto tragicamente, nei locali della Questura di Milano, il 15-12-1969”. Morto tragicamente? Pinelli fu ucciso, basta cazzate. Dice, eh ma le prove? Le prove? Pinelli entra vivo in questura ed esce morto, come è morto? O l’hanno buttato dalla finestra e quindi è stato ucciso, o dopo tre giorni in commissariato dove fu torturato psicologicamente (e speriamo solo quello) si buttò dalla finestra per disperazione. Sempre omicidio è. Volete una prova di come si può essere onesti quando si scrive?
Leggete la targa qua sotto (ah, anche la data è corretta. il Comune di Milano manco la data esatta ha saputo mettere).

mercoledì 12 settembre 2012

Il suicidio di Platone, ovvero provare le sostanze e cogliere le costanze


Sinceramente sto festival della filosofia che si tiene ogni anno in questo periodo non mi attira per niente. Mi dà l'idea del grande evento (che io odio), della carnevalata, del chiasso, della confusione, di una bimbominkiata per adulti. In una sola parola, un puttanaio.
Quest'anno, poi, hanno raggiunto l'apice della schifezza, l'apoteosi della strunzata.
Ho letto che hanno invitato Fabio Volo.
Cioè rendiamoci conto. Fabio Volo ad un festival di filosofia. Azzo.
Sarebbe come invitare Andrea Bocelli a fare il giurato a Miss Italia.
Vabbè, lasciamo perdere queste miserie e passiamo a Sgalambro e Spinoza.
Bisogna sempre stare attenti agli 'storici' della filosofia, perché facilmente sparano minchiate e non colgono l'essenza dello svolgersi temporale della filosofia.
Gli 'storici' vedono un frivolo catalogo da imparare a memoria, un inventario di stranezze stupide e superate. Non comprendono le costanti, il nascere e lo svilupparsi dei problemi, né i dialoghi a distanza così tipici della filosofia.
Esempio pratico è questo pensiero del caro Manlio.
La storia, alla quale si rimanda, mette la filosofia a balia dal tempo, come una eterna bambina che lo storico accudisce severo e comprensivo. Vuoi afferrarne un concetto, la sua durezza? Ne prendi l’ombra: si tratta di pensieri nati qui o là, o di cose che hanno fatto il loro tempo come il pitale. Ascolti Spinoza: “Ego non praesumo, me optimam invenisse philosophiam sed veram me intelligere scio”. Ma subito viene lo ‘storico’ e rimette tutto a posto: Spinoza è ingenuo mentre chiunque sappia che la propria filosofia non è né unica né vera – lui, naturalmente – no.
Trionfo di derisorie mobilità…
Solo una statica della filosofia è pronta invece a cogliere le sue costanze.

martedì 11 settembre 2012

Roma è sempre Roma


Innanzitutto complimenti. Dopo tre ore di riflessione (per la precisione dalle 8,30 alle 13, il tempo del viaggio) sei riuscito a trovare il titolo idiota che desideravi. È davvero un titolo stupido, chapeau.
Una cosa che non ho capito di Roma: sulla portiera dell’automobile dei vigili urbani c’è la scritta POLIZIA MUNICIPALE ROMA CAPITALE.
Non capisco che minchia di motivo ci sia di mettere la parola “capitale”, lo sanno tutti che la capitale d’Italia è Roma, no? cioè quando vedo sottolineata una cosa ovvia penso a due cose: stupidità o malafede.
Quindi, o romani che avete deciso questa scritta, siete cretini o avete qualcosa di sporco sulla coscienza?
Questi due giorni romani li ho passati a fare il fratello maggiore e il nipote che va a trovare zii e cugini dopo dieci anni di promesse.
È andato tutto bene, bene con e per mia sorella, bene i ripetuti spostamenti tra metro treni e bus, bene con i miei zii e le mie cugine. Bravo.
Mio zio è un tipo davvero speciale, uno che nella sua vita ha letto tanto e che la sera di domenica mi ha tenuto un discorso bello e vero sull’anarchia. Lui sa cos’è, è uno che capisce. Ha studiato sia storia che filosofia, anche se adesso, superati i sessanta, si dedica a letture spirituali. Buddismo, roba zen, va pure a degli incontri mensili.
Queste cose le ho ascoltate con molto rispetto, ma non con l’interesse che invece mi ha suscitato il discorso anarchico e ho pensato: ma tu che ne sai cosa ti succederà, che pensieri avrai e che letture farai tra 30 anni? Magari fra 30 anni avrai buttato nel cesso filosofia, letteratura e poesia e sarai lì tutto beato a curare la tua anima, la tua parte spirituale. Può essere, come no. Tutto è possibile.
Nel caso, sparatemi.
Comunque un altro fatto positivo di questo viaggio è che ho avuto modo di leggere il meraviglioso Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia di Sciascia (di cui parlerò prossimamente) e di iniziare il mio primo Roberto Bolaño: Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce (idem come sopra).
Il viaggio di ritorno su un intercity lavato da poco e che puzzava di pulito (!!!) è filato via tranquillo senza note di rilievo tranne questo pensiero che lascio ai posteri.
Dal punto di vista teorico, basta Eraclito. Dal punto di vista religioso, basta Platone. Dal punto di vista morale, basta Epicuro. Dal punto di vista metafisico, basta Aristotele.
Tutto il resto è letteratura, delirio e incubo.
La letteratura riempie i buchi neri di cui è composta per la maggior parte la vita. Il delirio può assumere le forme della mistica o della poesia e l’incubo quello di una stanza vuota o dell’amore per una donna.
Perché l’amore questo è: un incubo a due.


p.s. MA SCUSA, nessun accenno all'11 settembre????
no, niente. non me ne frega un cazzo.

lunedì 10 settembre 2012

'O ball' re pezzient'


‘O ball’ re pezzient’ oltre ad essere una grande canzone è pure una meravigliosa poesia.
Mette a fuoco un problema fondamentale della nostra società: le persone comuni, i deboli, gli immigrati, i lavoratori che si fanno la guerra tra loro invece di combattere i veri nemici che sono i politici ladri, gli sfruttatori, i camorristi e altra gentaglia.
La pubblico sul blog non solo per seguire la mia linea di pubblicare tutto ciò che io reputo “bello”, ma anche perché ho notato che su youtube e sui lyrics site il testo è inesatto o incompleto.
Questa mia versione non è definitiva, è un work in progress. Chiunque vorrà contribuire a migliorare il testo sarà accolto a braccia aperte e ringrazio in anticipo chiunque vorrà farlo. Ovviamente accetto correzioni anche sull'ortografia in napoletano di cui non sono un esperto.
Innanzitutto io non sono riuscito a comprendere quello che dice la voce prima che la canzone cominci. Poi ho cambiato la versione che ho trovato su internet perché a me sembra che non dica “lazzari” ma “cantari” (cessi), ho ristabilito l’ordine della strofa e del ritornello, ho eliminato la frase “Io voglio 'e sorde e nun ballo chè pezzient’” perché mi pare non esserci proprio e ho cercato di trascrivere il più possibile le parole che o’ Zulù dice fino alla fine e che sfumano rendendo così difficoltosa la trascrizione. Ci tengo troppo a questa canzone e al suo significato; Marx ne sarebbe stato orgoglioso.
Vabbè, buona lettura e andate a sentire la canzone sul tubo.

'E fravecature settentrionali schifano a tutti i meridionali
ca po' loro schifano 'e senegalesi che schifano zingari e marrucchini,
o' marrucchino schifa o' cinese ca nun ce ne vò cù polacchi e albanesi
ca nun ce ne vonno cù serbi e croati ca po' già se schifano uno cu n'ato,
o' spacciatore cò disoccupato, o' fravecatore cu l'impiegato,
chi tene a' puteca cu l'ambulante, o' pensionato cò rappresentante,
o' vigile urbano cù chi tene o' cane, o' malavitoso cò disadattato,
sta chi tene poco e chi nun tene niente
e fanno a chi è chiù malamente...
‘O ball’ re' pezzient, o' ball’ re' pezzient’
S'ann' acchiappat’ cantari e fetienti
O' ball’ re' pezzient’, o' ball’ re' pezzient’
Stà tarantella è nù ballo re' pezziente
O' ball’ re' pezzient’, o' ball’ re' pezzient’
E tutto o' burdello chi 'a vence n'ave niente
O' ball’ re' pezzient’ o' ball’ re' pezzient’
Picciò m''a canto e nun ballo chè pezzient’
' e vote io nun capisco buono chello ca succere
nun se po sta chiù tranquilli int'a stù cazz' 'e quartiere
nun c'abbastava a violenza ca ogni juorno ce rà 'o Stato
nun c'abbasta a' fatica, nun c'abbasta o' precariato
nun c'abbasta ca ogni juorno ascimmo e già simmo sfruttati
nun c'abbastano e' pesuni e a' merda int' e' supermercati
nun c'abbasta ca abballammo peggio re' tarantolati
tutta 'a vita, nun c'abbasta e ce rammo uno cu n'ato
tu m''e fatto chist' a me, isso ha fatto chist' a te ...
... e ce scurdammo o' palo n'culo ca tenimmo tutt'e tre
e chi l'ha miso s'arrecrea, siente buono siente siè...
ca se schiatta re' risate a verè o' ball’ re' pezzient’
‘O ball’ re' pezzient, o' ball’ re' pezzient’
S'ann' acchiappat’ cantari e fetienti
O' ball’ re' pezzient’, o' ball’ re' pezzient’
Stà tarantella è nù ballo re' pezziente
O' ball’ re' pezzient’, o' ball’ re' pezzient’
E tutto o' burdello chi 'a vence n'ave niente
O' ball’ re' pezzient’ o' ball’ re' pezzient’
Picciò m''a canto e nun ballo chè pezzient’
Chist è o’ ball re pezzient’
Pè chi è buon o è malament’
Chi fatic’ e pò nun magn’
Chi se lass’ e poi se lagn’
Song tant’ chesta gent’
Brutt’, spuorc’ e ‘mpertinent’
Ammiscat’ ‘nziem a tant’
Cu na famm’ cà va nnanz’
Chist è o’ ball’ re pezzient’
‘e chi mai ha avut’ nient’
Ma nun ve facit’ fott’r
E chiurit’ buon’ e’ port’

[Poi, verso la fine, vengono altri versi di cui capisco veramente poco. Collaborate, per favore.]

domenica 9 settembre 2012

Breve storia di una degenerazione


Eravamo uagliuni e ci dicevano: “Studiate, sennò non sarete nessuno nella vita”. Non studiammo. Dopo non aver studiato ci dissero: “Ma se non volete studiare, almeno imparatevi un mestiere!”. Non lo imparammo. Dopo aver cazzeggiato invece di imparare il mestiere ci dissero: “Che teste di cazzo che siete, non volete studiare e non volete imparare un mestiere”. Ci ruppero le palle con queste prediche e continuammo cazzeggiare e, alla fine, rimanemmo senza una lira. Scroccammo qualche spicciolo e cominciammo a fumare, disperati. Prima eravamo troppo giovani e incoscienti per pensare al nostro futuro. Dopo pochissimo tempo eravamo già troppo in là con gli anni per porvi rimedio. Purtroppo trovammo un lavoro, in nero, senza contratto, sotto pagati, sfruttati, due giorni di ferie all’anno, bisognava andare a lavorare anche se malati, la tredicesima la intascava il capo, il Tfr era l’acronimo di Testa Fottuta Rosica, i sindacati li vedevamo solo in tv a ubriacarsi e a divertirsi al concertone del primo maggio, i diritti erano rovesci. Lottammo almeno per non prendere calci in culo al mattino e bestemmioni dal capo il pomeriggio. Non facemmo figli – perché con quel lavoro frustrante manco si rizzava – e così andammo avanti. Tornarono i rompicoglioni di cui parlavo all’inizio ed ebbero la faccia tosta di dirci: “Siete dei bamboccioni, non volete crescere, mettere su famiglia ed essere indipendenti”. Li mandammo a cacare e stanno ancora a piagne pè i carci che c’hanno pijato. Nonostante la precarietà del lavoro e gli scarsi mezzi economici qualcuno di noi si sposò e fece dei figli. Tornarono i rompicoglioni alla carica: “Ma come, senza una sicurezza né un lavoro con un contratto a tempo indeterminato fate i figli? Siete delle teste di cazzo!”. A quel punto qualcuno prese un mitra e fece nà strage di rompipalle mentre la maggioranza di noi preferì emigrare. Chi in Olanda a suonare il blues per le strade, chi in Australia a lavorare nei vitigni, chi in Canada a impiantare un giro di prostitute, chi in America a fare la Drag Queen. Ci sentimmo finalmente liberi e felici. Un giorno, quando nessuno se lo aspettava, il “Sistema Italia” fallì e tutti finirono col culo per terra. Allora ci dissero: “Tornate, ci sono le tasse da pagare e un Paese da salvare”. A quel punto noi uagliuni di una volta ci riunimmo, comprammo un centinaio di megafoni e un impianto di amplificazione Marshall e gridammo: “Andate affanculo!!!”.

venerdì 7 settembre 2012

Jim Morrison, autointervista

A un certo punto leggo, nella bella prefazione scritta da Riccardo Bertoncelli al volume Tempesta elettrica. Poesie e scritti perduti di Jim Morrison, questo pezzo:
“I contemporanei di Morrison ebbero molti dubbi [sulla sua figura di artista e il suo valore come poeta] e, prima ancora che la sua vicenda si concludesse al 17 di rue Beautreillis, a Parigi, ne ridimensionarono la figura, compatendo la fragilità dell’uomo e raffrontando gli alti ideali con gli stenti di molte sue opere, specie negli ultimi anni. Un velleitario, un uomo prigioniero dei suoi eccessi ridotto all’impotenza e alla farneticazione. Un nichilista, che dissipò il suo talento esplorando fino allo strazio il suo lato più oscuro, quella “vasta regione di immagini e sensazioni che raramente vengono espresse nella vita quotidiana e, quando lo sono, possono assumere forme perverse”.
Davvero? Un nichilista, un prigioniero, un debole, un ubriacone, un tossico? Bè, anche fosse, il mio amore per lui non farebbe che aumentare.
Andiamo avanti e invece di scassare i coglioni con elucubrazioni su Jim ascoltiamo la sua musica, leggiamo i suoi testi e le sue poesie. Oggi lascerò che sia lui stesso ad autointervistarsi.
Penso che l’intervista sia la nuova forma d’arte. E penso che l’autointervista sia l’essenza della creatività. Far domande a te stesso e cercare di trovar delle risposte. Lo scrittore è appunto uno che risponde a una serie di domande non pronunciate.
È un po’ come rispondere alle domande sul banco dei testimoni. È quello strano contesto in cui cerchi di puntualizzare qualcosa accaduto in passato e cerchi onestamente di ricordarti quali fossero le tue intenzioni. È un esercizio mentale decisivo. Un’intervista ti dà spesso l’occasione di confrontare la tua mente con delle domande, il che a parer mio è quel che s’intende per arte. Un’intervista ti dà anche l’opportunità di eliminare tutti quei riempitivi… devi tentare di essere esplicito, accurato, in argomento… niente menate.
La forma dell’intervista ha i suoi ascendenti nel confessionale, nel dibattito e nel confronto incrociato. Una volta che hai detto qualcosa, non c’è modo di ritrattare. Troppo tardi. È un vero momento esistenziale.
Io sono piuttosto dipendente dal gioco dell’arte e della letteratura: i miei eroi sono artisti o scrittori.
Ho sempre voluto scrivere, ma ho sempre pensato che non sarebbe stata roba buona fino a che la mia mano non avesse preso la penna e cominciato a muoversi per conto suo, con me assolutamente non coinvolto, per così dire. Come la scrittura automatica. Ma non è mai successo.
Naturalmente ho scritto qualche poesia; intorno alla quarta o quinta elementare, credo, ho scritto una poesia intitolata Il Pony Express. Quella è la prima che mi ricordo. Era una di quelle poesie tipo ballata. Comunque non sono mai riuscito a finirla.
Horse Latitudes l’ho scritta quand’ero al Liceo. Ho sempre avuto un sacco di blocchetti, al Liceo e all’Università: poi quando finii la scuola, per qualche ragione scema – o magari è stato saggio – li ho buttati via tutti… Scrivevo in quei notes una notte dopo l’altra. Ma forse se non li avessi buttati via non avrei mai scritto niente di originale – perché erano più che altro accumuli di cose che avevo letto o ascoltato, come citazioni da libri. Credo che se non me ne fossi sbarazzato non sarei mai stato libero.
Sentite, la vera poesia non dice niente, elenca solo delle possibilità. Apre tutte le porte. E voi potete passare per quella che preferite.
… ed ecco perché la poesia mi alletta così tanto – perché è eterna. Fin quando ci sarà gente, la gente potrà ricordarsi parole e combinazioni di parole. Nient’alto come la poesia e le canzoni ha la possibilità di sopravvivere a un olocausto. Nessuno può ricordarsi un intero racconto. Nessuno può descrivere un film, una scultura, un quadro ma, finché ci saranno esseri umani, le canzoni e la poesia possono continuare.
Se la mia poesia cerca di arrivare a qualcosa, è liberare la gente dai modi limitati in cui vede e sente.

giovedì 6 settembre 2012

Tutto è perché Charlie e Fay non si parlano apertamente


Sto leggendo Confessioni di un artista di merda di Philip K. Dick e per ora sono rimasto molto colpito da Charley. Charley è il marito ignorante ma grande lavoratore di Fay, che è una donna colta che ascolta Bach e ha aspirazioni artistiche, e Fay è la sorella del “protagonista” del romanzo.
Gli spezzoni che ho evidenziato (fino ad ora e sono a metà libro) sono due: uno riguarda il mistero del predominio delle mezze calzette (che posterò in seguito e che riguarda sempre Charley), il secondo il rapporto tra Fay e Charlie, rapporto complesso e violento, con un terzo incomodo: lo psicoanalista. È un pezzo comico, a ben guardare, cioè in alcuni punti si ghigna. E credo anche che quello che succede a Charlie e Fay, accada in tantissime coppie: non si parla sinceramente e apertamente. Manca un vero dialogo. Per questi motivi, ma non solo, ne faccio dono a chi passa.
Ogni volta che lui usciva per andare al bar, Fay assumeva un atteggiamento metodico: lo blandiva con un rimprovero calmo e razionale. Per un certo periodo di tempo riuscì a convincerlo che in lui doveva esserci qualcosa che non andava, se continuava a uscire e a tornare a casa ubriaco e a prendersela con lei. Invece di considerarlo semplicemente come un modo per sbollire la rabbia, lei continuava a ritenerlo il sintomo di qualche diffusa e profonda deformità, magari anche pericolosa.
O forse faceva solo finta di crederlo. In ogni caso la sua linea di condotta era quella di considerarlo come un uomo fatto male, con il quale confrontarsi, e comportandosi in questo modo traeva vantaggio da ogni sua sbornia. Più lui tentava di opporsi, uscendo, ubriacandosi, tornando a casa e maltrattandola, più Fay completava quell’immagine di lui ed era un’immagine sulla quale, quando non era ubriaco, anche Charley doveva convenire. L’ambiente familiare era pervaso da questa atmosfera di una donna adulta imperturbabile e di un uomo che cedeva ai propri impulsi animali. Fay gli riferiva con dovizia di particolari quello che il suo analista, il dottor Andrews di San Francisco, diceva sulle sbornie e sull’ostilità di lui. Utilizzava il denaro di Charley per pagare il dottor Andrews perché facesse l’elenco delle anomalie del marito. E naturalmente Charley non sentiva mai niente dalla viva voce del dottore; non aveva nessun modo per impedirle di riferire solo ciò che le faceva comodo e ignorare tutto il resto. Anche il dottore, da parte sua, non aveva nessun modo per verificare la verità di ciò che lei gli raccontava; certamente Fay gli riferiva soltanto i fatti che si adattavano al suo quadro, e quindi la visione che il dottore aveva di Charley era basata su ciò che lei voleva fargli sapere. Di tutta quella sua manipolazione in entrata e in uscita c’era ben poco che non fosse sotto il suo controllo.
Come ogni sempliciotto, Charley borbottava sempre quando lei andava dal dottore ma nello stesso tempo prendeva per oro colato tutto ciò che lei gli riferiva. Chiunque si faccia pagare venti dollari l’ora deve essere una persona in gamba.

mercoledì 5 settembre 2012

Il rutto della massa


Mi piace riportare frasi poesie pensieri che trovo sui libri. È il motivo principale per cui esiste questo blog.
Diffondere quello che secondo me è importante e profondo. Insomma, quello che mi fa godere.
Stasera è il turno di Dario Fo che ci spiega, nel prologo di Morte accidentale di un anarchico, la funzione del rutto come catarsi della massa.
Ma qual è la vera ragione del grande successo di Morte accidentale di un anarchico? Non tanto lo sghignazzo che provocano le ipocrisie, le menzogne organizzate – a dir poco – in modo becero e grossolano dagli organi costituiti e dalle autorità ad essi preposte (giudici, commissari, questori, prefetti, sottosegretari e ministri), quanto soprattutto il discorso sulla socialdemocrazia e le sue lacrime da coccodrillo, l’indignazione che si placa attraverso il ruttino dello scandalo, lo scandalo come catarsi liberatoria del sistema. Il rutto liberatorio che esplode spandendosi nell’aria quando si viene a scoprire che massacri, truffe, assassini sono organizzati e messi in atto proprio dallo Stato e dagli organi che ci dovrebbero proteggere.
Lo scandalo è come l’Alcaseltzer che libera lo stomaco offeso dalla cattiva coscienza. Così la grande catarsi si realizza nello scoprire che sono proprio le stesse istituzioni, gli organi che hanno progettato e realizzato crimini orrendi contro la popolazione, a puntare il dito accusatore contro se stessi, al grido: “Siamo una democrazia civile, la giustizia farà il suo corso!”.

martedì 4 settembre 2012

Siamo ombre che fluttuano nell'aria, dirette verso il nulla


Stamattina sei uscito che il tempo faceva già schifo. Anche l'uomo più coglione della Terra avrebbe previsto una pioggia o un temporale. Cielo grigio, nuvole enormi e nere, aria che si condensa e poi si raffredda. Insomma: perché non ti sei portato l'ombrello visto che uscivi e andavi a Napoli?
Odio gli ombrelli.
Odi gli ombrelli. Perché?
Alla prima domanda so rispondere, alla seconda non so che dire. Posso solo ripetere: odio gli ombrelli.
Dimmi un'altra cosa. Perché tutta la giornata eri convinto fosse lunedì? Oggi è martedì.
Bè, non lo so. Può capitare, no? Che c'è di strano?
Di strano c'è che a te capita SPESSO. Quante volte di venerdì rompi i coglioni sul che fare la sera credendo sia sabato? E il mercoledì e il giovedì che confondi costantemente? Perché?
Non so che dire, non so spiegarlo.
Allora cazzo scrivi se non hai niente da dire di significativo. Che fai? Il sdfmmicnmxc?
Il che??
PUPPA!!!
In realtà oggi la giornata s'è messa storta perché a un certo punto ho pensato: Non hai fatto alcun progresso. Progresso in che? mi sono chiesto. In generale. In generale, non hai fatto alcun progresso. Ecco, quel "generale" mi ha ferito e messo di cattivo umore.
E poi?
E poi ho letto Morte accidentale di un anarchico e mi sono incazzato, mi è piombato addosso un gran dolore. Che, tra parentesi, devo ancora elaborare.
Domani l'avrai elaborato?
Credo di sì.
Allora non fare la femminella con le paturnie, torna domani e parlaci dell'opera di Dario Fo. E bene, parlacene in modo adeguato. Capito?
Ok.

lunedì 3 settembre 2012

Una lama di luce


Sulle riviste patinate & acculturate circola la voce che Una lama di luce sia il miglior Montalbano scritto da Camilleri. Io questo non lo posso dire perché non ho l’esperienza bibliofila necessaria per dirlo. Quello che posso affermare è che Una lama di luce è meraviglioso dall’inizio alla fine.
Avevo preso degli appunti, ma preferisco andare a braccio.
Innanzitutto la lingua di Camilleri, un siciliano che mi ha ammaliato. È diventato una sorta di droga, mi ha creato dipendenza, ho voglia di leggerne ancora. Taliò, spiò, n’zemmula, e tantissime altre parole che leggevo ad alta voce per sentirne il suono e che amo ripetere ancora ogni tanto. Ovviamente è una “spezia” dal gusto forte e deciso, può non piacere. Io la adoro.
Questione ritmo. Faccio i complimenti a Camilleri perché durante la lettura non c’è mai un punto morto, ma pagina dopo pagina il ritmo è sostenuto e il libro fila come un treno.
I dialoghi e le interazioni tra i personaggi funzionano alla grande. Montalbano cambia sempre a seconda del personaggio che affronta, e riesce a essere spassoso pure quando parla con un granchio.
La storia è avvincente, spiritosa, ironica, sentimentale e addirittura onirica - insomma il classico “giusto mix”.
Catarella è meraviglioso non solo perché ti strappa quelle grasse risate che fanno bene al cuore, ma perché la sua maschera buffa è utilissima a stemperare la tensione che a volte si crea.
Poi, parliamoci chiaro, Montalbano è un commissario di polizia quindi uno si aspetta “letteratura gialla”, casi da risolvere e i casi ci sono. Sono addirittura quattro (rapina, omicidio, traffico d’armi, furti di opere d’arte) e Camilleri li ha saputi incastrare benissimo tra loro e renderli veramente avvincenti.
La colonna della storia è il triangolo Montalbano, Marian e Livia con il tunisino Francois sullo sfondo. Le telefonate tra Montalbano e Livia e Montalbano e Marian mi hanno ricordato da vicino lo stile di Boll in Opinioni di un clown. Mò non so perché, ma adoro i dialoghi telefonici nelle storie. Non saprei spiegarlo.
Il complimento più bello che posso fare a questo libro è che mi ha incollato alla pagina. Avete presente quando dovete pranzare o cenare e non vedete l’ora di finire per riprendere a leggere? Ecco, è stato proprio così. Un’emozione meravigliosa.
Non te ne fotte niente di quello che hai nel piatto o del telefono che suona. Vuoi solo sapere come va a finire il sopralluogo con Intelisano, se è stata la pistola di di Marta a sparare, com’è andato l’abbordaggio di quel don Giovanni di Augello con Valeria, ecc. ecc.
Il finale poi mi ha lasciato l’amaro in bocca, ma non per la delusione. È un finale molto tenero, sorprendente, se posso usare un termine esagerato direi “struggente”. Un colpo da maestro di Camilleri.
Insomma, io domani mi vado a prendere un altro Montalbano e credo che li prenderò tutti. Voi che non l’avete mai letto provate, non ve ne pentirete.

p.s. Una brava persona che legge schifezze, che inorridisce alla parola "merda" stampata e crede che la letteratura sia solo smilla che crepa nella neve ha detto che Una lama di luce non gli è piaciuto.
Abbiamo la controprova che Una lama di luce è un capolavoro.