giovedì 27 febbraio 2014

Basta Euro. Come uscire dall'incubo, 31 domande 31 risposte. La verità che nessuno ti dice (terza parte)


7. I miei risparmi si dimezzerebbero? Diventerò più povero per colpa della svalutazione?

Ovvio che no. Non si può fare un discorso particolare perché ognuno ha risparmi investiti in modo diverso, però basti pensare a tipiche forme di risparmio:

a) La casa
La casa è un bene reale, quindi non si “svaluta” cambiando moneta.
Se noi domani adottassimo una qualsiasi moneta scelta a caso fra mille, la casa sarebbe sempre quella e il suo valore verrebbe semplicemente definito con una nuova unità di misura.
È da escludersi quindi che la casa “perda un pezzo” o che venga qualcuno a tirare su un muro nel salotto per dimezzarla.
C’è anzi da pensare che un’economia in ripresa possa far ripartire il mercato ed aumentare il valore dei nostri appartamenti. Può essere che inizialmente anche il prezzo delle case in zone non “internazionali” cali se rapportato ad un’altra valuta, ma ciò potrebbe (eventualmente) danneggiare solo un italiano che volesse vendere la propria casa qui per acquistarne una in Germania.
È invece ovviamente assurdo pensare che la casa “si dimezzi” in rapporto al mercato italiano.
Frasi tipo: “il valore di una casa di 100mq si dimezzerà e con il ricavato della vendita si potrà a malapena comperare una casa di 50mq” sono una palese sciocchezza perché se anche, per caso, scendesse il valore della nostra casa, scenderebbe anche il valore delle altre case e non cambierebbe nulla.
Vendendo una casa di 100mq si potrà ancora comperare un’altra casa di 100mq.
In ogni caso una ripresa dell’economia, anche dopo una svalutazione, porta sempre benefici al valore degli immobili.

b) Gli investimenti in titoli e fondi
I titoli possono essere azionari e obbligazionari, italiani ed esteri, spesso acquistati per mezzo di fondi di investimento o di gestioni patrimoniali. Le azioni, come la casa, sono beni reali e quindi non si svalutano: se ho 10 azioni di una società che rappresentano il 10% di quella società, ciò non cambia qualsiasi sia la moneta che si scelga di usare.
Dobbiamo pensare alle azioni come a delle quote di possesso: l’industria di cui si possiede una
quota rimane uguale indipendentemente dal cambio di moneta in circolazione.
Anzi, è probabile che le azioni di società industriali italiane possano apprezzarsi perché una moneta corretta le renderebbe più competitive.
Le obbligazioni e i titoli di Stato invece rappresentano un credito in denaro e quindi la moneta in cui sono denominati è importante.
Le obbligazioni estere non verranno toccate e rimarranno come sono perché il debitore è straniero
e quindi se noi cambiamo moneta non necessariamente lo farà anche lui, quindi per chi le detiene potrebbero addirittura rappresentare una rivalutazione verso la nuova moneta.
Stesso discorso per i fondi di investimento internazionali che, inoltre, essendo di solito molto diversificati, avrebbero impatti minimi.
Titoli di Stato e obbligazioni italiane, invece, verranno convertiti nella nuova valuta ma non necessariamente perderanno potere d’acquisto in Italia perché, come abbiamo ricordato prima, svalutazione non vuol dire inflazione, e anche il prezzo, una volta rimossa l’incertezza di una banca centrale che non garantisce pienamente i titoli, potrebbe beneficiarne.
Chi temesse in ogni caso l’arrivo dell’inflazione può liberamente tutelarsi con l’acquisto di titoli ad essa indicizzati, quali i BTP Italia.

c) Oro e oggetti di valore
Anche in questo caso si tratta di beni reali per i quali è del tutto indifferente quale sia la valuta nazionale. Una moneta d’oro ha lo stesso valore in tutto il mondo.
La verità è che è proprio con l’Euro che i risparmi degli italiani stanno andando in fumo o perché i valori e i prezzi crollano a causa della depressione, o perché aggrediti da continui aumenti di tasse imposte dall’Europa. Quando in Italia c’era la Lira, anche negli anni di forte inflazione come ad esempio gli anni ‘80, il risparmio degli italiani era fra i primi al mondo e il record della Borsa di Milano si è avuto nel 2001.
Da quando c’è l’Euro la Borsa è precipitata. Solo nel 2013 i prezzi delle case sono scesi in media del 6%. Persino i titoli di Stato sono diventati meno sicuri e chi ha provato a venderli nei giorni in cui lo spread era ai massimi ha avuto amare sorprese.

8. Magari avessi risparmi! Ho un mutuo e il conto in rosso. Le rate saliranno?

No, la stragrande maggioranza dei mutui sono a tasso fisso (e quindi non cambiano) o a tasso variabile legato al tasso Euribor che è una media europea.
In tutti e due i casi un cambio di moneta da parte dell’Italia non avrebbe effetto, anzi, dato che anche il mutuo verrà convertito in lire come tutti i contratti italiani, qualora dovesse verificarsi una moderata inflazione (cosa comunque per nulla scontata, come si diceva prima) per chi ha un mutuo sarebbe molto conveniente, perché la quota residua da pagare varrebbe progressivamente sempre di meno.
Per chi ha un mutuo il vero guaio è essere costretti ad accettare uno stipendio dimezzato per poter lavorare, come spesso succederà con l’Euro, dato che la rata non si dimezzerà anch’essa.
Il fatto che in caso di cambio di moneta i tassi continueranno ad essere calcolati come oggi è confermato da tutti i principali studi legali internazionali: il tasso EURIBOR è una media dei tassi in Europa e per legge il metodo di calcolo non può cambiare.

9. E le materie prime? E la benzina? Dicono che se svalutiamo costeranno una fortuna, è vero?

No, innanzitutto noi non usiamo mai “materie prime” e anche la benzina non è petrolio greggio.
Tutti i beni che consumiamo sono trasformati industrialmente e la maggior parte dei costi dei prodotti è data proprio da queste trasformazioni e trasporti mentre il valore della “materia
prima” è di solito minimo.
I prezzi delle materie prime oscillano normalmente tantissimo, di solito con percentuali molto
superiori a quella che sarebbe una svalutazione se pur forte, eppure non ce ne accorgiamo assolutamente
.
Se ne accorgono eccome, invece, proprio i Paesi che hanno basato la loro economia solo sulle materie prime: in caso di discesa dei prezzi sui mercati internazionali possono aversi crisi fortissime e non facilmente sanabili nemmeno con forti svalutazioni.
Nel 2008 per esempio il prezzo del petrolio andò in breve tempo da 140 a 25 dollari al barile: nessuno si ricorda di pompe di benzina che regalavano i pieni. In compenso con l’Euro abbiamo visto spesso la verde a 2 euro: vi ricordate forse la super a 4.000 lire al litro?
Gran parte del prezzo della benzina è data da tasse in molti casi inventate proprio per compiacere l’Europa come l’ultimo forte rialzo deciso dal governo Monti: rimane quindi molto spazio per assorbire qualsiasi tipo di rialzo.
L’Italia comunque è un paese trasformatore: importa materie prime ed energia ed esporta prodotti finiti. È il caso perfetto in cui il cambio flessibile ha massimo impatto. Immaginiamo che nella realizzazione di un prodotto in Italia il peso di energia e materie prime sia addirittura del 50% (difficilmente accade).
Supponiamo di svalutare del 20%. Ebbene, se fatto 100 euro il costo di un prodotto, le materie prime e l’energia costassero il 20% in più, invece di 50 costerebbero 60 e quindi il prodotto
complessivamente ora costerebbe 110.
Per i mercati esteri tuttavia questo prodotto costerebbe il 20% in meno perché 110 è il costo nella nostra moneta, che si è svalutata del 20%, quindi il prodotto sui mercati esteri costerebbe 88 euro diventando molto più competitivo persino nel caso abbastanza estremo di un costo delle materie prime pari alla metà del totale.

10. Non è che l’Euro non c’entra nulla e la colpa è di corruzione, casta ed evasione?

Le cose che non vanno in Italia sono sicuramente tante, ma non tutte, per odiose che possano essere, sono cause della crisi.
Evasione, casta e corruzione ci sono sempre state anche quando le cose andavano bene e affliggono paesi che pure sono in forte crescita economica: assurdo pensare che, per esempio, in Cina, Corea o India siano tutti santi. In particolar modo è ingenuo sperare in scorciatoie come quelli che lasciano intendere che senza la corruzione ci sarebbero 80 miliardi o senza l’evasione ci sarebbero 120 miliardi: semplicemente saremmo in un mondo più giusto ma non ci sarebbe un centesimo in
più di gettito.
Il perché è semplice: l’Italia già incassa con le tasse più di qualsiasi altro Stato al mondo in rapporto a quanto produce (forse solo qualche piccolo Stato assistenziale nordico ci “batte”, ma nessuno dei grandi Stati ) ed è “al limite”, non a caso i recenti aumenti di IVA hanno portato un calo del gettito.
Se con una bacchetta magica l’evasione scomparisse, con le attuali aliquote moltissime attività chiuderebbero, annullando l’effetto della “magia”.
L’unica cosa fattibile sarebbe di far pagare a tutti le tasse abbassando in parallelo le aliquote: si avrebbe così una distribuzione più equa, ma non ci sarebbe gettito aggiuntivo.
Corruzione e altre nefandezze sono reati, e come tali vanno perseguiti, ma allo stesso modo in cui vanno perseguiti i furti e gli omicidi: di certo non sono le cause della crisi.

11. Non può essere che la colpa sia della spesa pubblica improduttiva?

Che in Italia i soldi vengano spesi male è cosa nota, tuttavia se una spesa è interna difficilmente
diventa “improduttiva”: se anche pagassi uno per non fare nulla costui alla fine con i soldi dello stipendio comprerebbe cibo, vestiti e altri beni da produttivi lavoratori privati.
Chi ha un negozio o una fabbrica non sa da dove vengono i soldi dei clienti che gli comprano la merce, per loro la differenza è avere clienti o no.
Sarebbe molto meglio evitare questo passaggio e lasciare direttamente nelle tasche di chi lavora i soldi o, quanto meno, spendere in modo assennato, tuttavia il semplice taglio della spesa non compensato non aiuterà nessuno a vendere più prodotti e quindi a rimettere in moto l’economia.
Il livello di spesa pubblica italiana è nella media in Europa e se si è in recessione tagliare la spesa e alzare le tasse è un sistema certo per far andare peggio le cose.
Ipotizzare che le cose possano andare diversamente è assurdo: sarebbe come pensare che una famiglia spenda di più se si riduce lo stipendio del capofamiglia.
La spesa pubblica va tagliata e le tasse vanno alzate quando si sta crescendo.
L’America è uscita dalla crisi facendo così: ha tagliato le tasse, ha aumentato la spesa pubblica e ha fatto “stampare” denaro alla sua Banca Centrale.
Stando nell’Euro e con le regole europee non possiamo fare nessuna di queste cose e, per di più, ci ritroviamo fuori mercato a causa della moneta sopravvalutata. Per noi e soprattutto per l’industria
del Nord è come pensare di vincere una gara di corsa con le gambe legate.

martedì 25 febbraio 2014

Basta Euro. Come uscire dall'incubo, 31 domande 31 risposte. La verità che nessuno ti dice (seconda parte)


2. Senza l’Euro diventeremmo tutti ricchi?

No, ovviamente per competere nei mercati internazionali occorre molto lavoro e ci vogliono molti miglioramenti perché abbiamo uno Stato inefficiente. Se bastasse avere una moneta propria per essere ricchi sarebbe troppo bello. Molte cose non semplici devono essere fatte, come rendere la giustizia più rapida, abbassare le tasse, aiutare le imprese perché producano meglio, ridurre la burocrazia, fare più ricerca ecc., tuttavia il peso di una moneta sbagliata è notevolmente superiore rispetto a questi altri fattori.
Si tratta di quella che si dice una “condizione necessaria ma non sufficiente”. Non possiamo certo pensare di uscire dall’Euro e metterci a prendere il sole: bisognerà faticare, ma senza una nostra moneta correttamente valutata anche con la fatica non otterremo nulla.

3. Se eliminiamo l’Euro usciamo anche dall’Europa?

Posto che l’Italia sarà sempre in Europa con qualsiasi moneta, se si intende “Unione Europea” probabilmente no: un mercato di 60 milioni di persone è troppo importante per tutti.
Non dimentichiamo che sono tanti gli Stati che fanno parte dell’Unione Europea pur non avendo l’Euro, dall’Inghilterra alla Svezia fino alla Danimarca. Le alleanze internazionali, come quelle che la Lega Nord ha stretto con i partiti che potrebbero risultare decisivi nel nuovo Parlamento Europeo, puntano proprio a “riscrivere le regole” dell’Unione in modo da realizzare una vera cooperazione su basi diverse dell’attuale “Europa dell’Euro”.
Se invece, nonostante tutto, non si riuscisse a cambiare l’UE e questa continuasse a danneggiare la nostra economia con regole assurde, allora si potrebbe considerare di uscire anche dall’Unione, cosa che probabilmente non sarebbe una tragedia: la Gran Bretagna sta seriamente considerando di uscire e Paesi come la Svizzera o la Norvegia, pur senza avere l’Euro e non facendo parte dell’Unione Europea, non sono certo isolati dal mondo.
Anzi, uscire dall’Unione Europea ci ridarebbe finalmente le “mani libere” per poterci gestire in autonomia e libertà, sia, ad esempio, per le politiche sull’immigrazione, sia con le regole per rendere più facile la vita alle piccole e medie imprese, penalizzate da vincoli europei gestibili solo dalla grande industria. Proprio la Svizzera è un esempio di che cosa vuol dire avere le mani libere e poter decidere in autonomia tasse, politiche sul lavoro e immigrazione.
Chi abita vicino al confine Svizzero, poi, sa benissimo quale sia l’effetto della moneta: nei periodi in cui il Franco è debole tutti vanno a fare la spesa in Svizzera arricchendo il Canton Ticino e lasciando vuoti i negozi italiani; il contrario accade nei periodi in cui il Franco è forte.

4. Riprenderemmo la Lira? Avremmo ancora i vecchi milioni e miliardi?

Non necessariamente. Potremmo chiamare la nuova moneta come preferiamo perché tanto sarà una cosa diversa dalla vecchia Lira (Scudo, Fiorino, EuroItalia oppure ancora Lira) e la cosa più comoda sarebbe convertirla 1 a 1 con l’Euro perché così non ci sarebbero problemi per fare i conti come invece ci furono quando si passò all’Euro e venne deciso quel numero stranissimo (1936,27). Attenzione: la conversione non indica il “cambio” e può essere decisa come preferiamo: 1 a 1 è semplice, ma se si volesse si potrebbe fare anche 10 a 1, 5.000 a 1 o 1.234 a 1. Poi, dopo la conversione, quello che la nuova moneta varrà nei confronti delle altre monete lo deciderà il mercato, ma a noi a quel punto interesserà poco, come oggi non ci interessa più di tanto quanto vale l’Euro nei confronti del Dollaro, della Sterlina o delle altre monete mondiali.
Quindi, in sostanza, se avevamo uno stipendio di 1.000 Euro esso diventerà di 1.000 fiorini (o scudi o lire), la pizza invece di costare 8 euro costerà 8 fiorini e se pagavamo 300 euro di mutuo al mese pagheremo 300 fiorini. Anche 300 euro sul conto corrente diventeranno 300 fiorini e 1.000 euro di pensioni diventeranno anch’essi la stessa cifra nella nuova moneta.
Il cambio 1 a 1 impedirà il fenomeno degli “arrotondamenti” che fecero raddoppiare i prezzi quando si passò dalla Lira all’Euro, perché ogni rialzo ingiustificato verrebbe subito notato.
Per i conti correnti l’unico incomodo sarà che probabilmente durante la conversione, per alcuni giorni, sarà necessario chiudere le banche per impedire speculazioni.
Per un pensionato, invece, come vedremo nelle risposte alle prossime domande, ciò non rappresenterà un impoverimento perché non è detto che ci sarà inflazione ma, anche se si dovesse verificare, sarà in ogni caso possibile sbloccare la rivalutazione dei trattamenti che sarebbero automaticamente adeguati. È proprio con l’Euro che stipendi e pensioni hanno perso potere d’acquisto!
Non dimentichiamo poi che le pensioni sono pagate dai contributi dei lavoratori: se la disoccupazione indotta dall’Euro dovesse crescere ancora, il rischio è che le pensioni vengano fortemente tagliate perché non ci sarebbe fisicamente il denaro per poterle pagare.

5. Se convertiamo 1 a 1 un Euro con la nuova moneta non è che allora non cambierà niente?

Cambia moltissimo invece, perché se dopo la conversione la nostra moneta si svaluterà nei confronti di altre monete, i nostri prodotti diventeranno più convenienti per un cliente estero, costerà di meno per gli stranieri fare vacanze in Italia e diventerà più appetibile realizzare prodotti in Italia.
Certo, costerà di più fare viaggi all’estero e i prodotti esteri diventeranno più cari (anche se di solito dopo una svalutazione le imprese estere, pur di non perdere clienti, mantengono i prezzi
invariati), però sarà più facile trovare lavoro e l’economia ripartirà.
Meglio un portafoglio pieno di monete di giusto valore di uno vuoto nella vana attesa di monete sopravvalutate.


6. Ci sarà l’inflazione? Dovremo far la spesa con la carriola di banconote che valgono come
carta straccia?


Assolutamente no, l’inflazione non è la svalutazione: in nessuno dei recenti casi di svalutazione in Paesi evoluti è seguita l’iperinflazione. Lo Yen giapponese per esempio nel 2012, ha svalutato fortemente nei confronti dell’Euro e del Dollaro ma non si è vista inflazione, così come non si è vista in Inghilterra o Svezia quando svalutarono moltissimo nel 2008 e neppure nella stessa Italia, quando nel ‘92 uscimmo dal Sistema Monetario Europeo con il valore della Lira che calò bruscamente. L’inflazione addirittura si ridusse leggermente.
In ogni caso non dobbiamo nemmeno preoccuparci di un’eccessiva svalutazione: se la nuova moneta dovesse calare troppo, i nostri prodotti diventerebbero così convenienti che invaderemmo i mercati. Saranno i nostri stessi concorrenti a “sostenere” il prezzo della nuova moneta per evitare di rendere troppo competitiva la nostra industria.
Ricordiamolo perché la differenza è sostanziale: c’è inflazione quando i prezzi salgono (ma se i prezzi salgono vuol dire che la gente ha i soldi per comprare cose, viceversa se i prezzi rimangono stabili e gli stipendi scendono, come sta succedendo ora, è come se i prezzi salissero ma la situazione è drammatica) mentre la svalutazione misura semplicemente una discesa del cambio della nostra moneta contro altre valute. Le due cose non coincidono mai.

domenica 23 febbraio 2014

Basta Euro. Come uscire dall'incubo, 31 domande 31 risposte. La verità che nessuno ti dice (prima parte)


È da un po’ di tempo che seguo l’economista Claudio Borghi. Ho seguito i suoi interventi in alcuni programmi televisivi, ho visto dei video su youtube e letto alcuni articoli sul web.
La conclusione a cui sono giunto è che Claudio Borghi sia un ottimo comunicatore (perché vuole e sa farsi capire), equilibrato nelle valutazioni e molto corretto. Non ha avuto paura di dire “ho sbagliato, avevo preso un abbaglio sull’Euro”, segno di modestia e di intelligenza.
Claudio Borghi ha redatto un breve scritto dove espone le ragioni che l’hanno portato a schierarsi contro l’Euro: Basta Euro. Come uscire dall’incubo, titolo estremamente diretto, con 31 domande, 31 risposte la verità che nessuno ti dice come sottotitolo ancora più eloquente. Le domande hanno la peculiarità di essere domande che si pone la gente comune. Gente come me che non conosce a fondo la questione, ma che ha voglia di comprendere e di approfondire e sente irresistibilmente che qualcosa non va e che qualcuno ci stia sfruttando e impoverendo.
Ho deciso di pubblicare lo scritto di Claudio Borghi sull’Euro e comincio postando l’introduzione e la prima domanda. Ah, un'ultima cosa. Claudio Borghi sta presentando questo libretto con la Lega Nord. Ora, io non voto Lega e questo post non è uno spot per la Lega Nord, ma intanto questi della Lega son stati bravi a coinvolgere Borghi e ad "appropriarsene". Complimenti, per questo, a loro.
Buona lettura.
Coloro i quali ci hanno portato nell’Euro hanno fatto l’errore più grande della storia e ora sono disposti a tutto pur di non ammetterlo. Sono disposti a sacrificare il lavoro di milioni di Italiani, i risparmi accumulati con vite intere dedicate alla prudenza e alla sicurezza, un patrimonio inestimabile di imprese che sono sempre state un modello per il mondo. Presto arriveranno addirittura a pretendere la svendita delle opere d’Arte e a consentire la sparizione dell’oro detenuto in Banca d’Italia. Per l’Europa stanno vendendo le nostre vite, ci hanno infilato in una depressione peggiore di quella del 1929, hanno piegato ed umiliato interi Popoli, come i Greci, pur di tenere in piedi lo strumento infernale dell’Euro: un peso che ci sta facendo dimenticare che cosa sia la libertà.
Questo disastro è coperto da una catena fittissima di menzogne che ci vengono raccontate ogni giorno da televisione e giornali: bugie urlate sempre più forte man mano che cresce la paura che il colossale danno venga scoperto.
Anch’io ero stato ingannato all’inizio ma adesso tutto è chiaro. Ho quindi pensato a questo manualetto come un’arma di difesa dalle falsità più frequenti che vengono diffuse ogni giorno e anche per rispondere ai più comuni dubbi o timori che chiunque di noi possa avere se si parla della moneta e di che cosa voglia dire tornare ad essere indipendenti e padroni a casa nostra.
Occorre prepararsi, perché rottamare l’Euro non è una scelta: questo sistema è destinato INEVITABILMENTE a finire, l’unico dubbio è QUANDO, e non è una differenza da poco.
Prima finirà questo incubo e meno macerie ci saranno da spazzare e prima si potrà ricominciare a ricostruire e fare quello che abbiamo dimostrato nel tempo di saper fare meglio: lavorare.
Ci aspetta un periodo di ricostruzione e rinascita, simile agli anni gloriosi del dopoguerra, però dipenderà da noi fermare i “bombardamenti” economici per tempo prima che facciano troppe vittime.
Le prossime elezioni Europee saranno un momento importante: la scelta non sarà fra destra e sinistra, e nemmeno fra Nord e Sud. Sarà, invece, fra chi vuol mantenere ostinatamente in piedi questo strumento di distruzione economica che è l’Euro e chi invece lo vuole incenerire per sempre, senza se e senza ma, per poter riprendere le chiavi di casa e ricominciare a crescere e produrre.
Ringrazio sentitamente la Lega Nord e Matteo Salvini che ci hanno creduto fin dalla prima volta in cui ho raccontato questi “punti” che ora, grazie a loro, potete leggere anche voi.
1. L’Euro è la causa principale della crisi? Perché?
Per tanti motivi, ma i principali sono che un’unica moneta per economie diverse non può funzionare, crea disoccupazione, rafforza chi è già forte e indebolisce chi è già in difficoltà. Senza il controllo sulla sua moneta uno Stato in recessione non può tentare di contrastare le crisi. Senza il controllo sulla sua moneta uno Stato non può avere nessuna autonomia e si riduce alla condizione di un Paese del Terzo Mondo, con governi fantoccio e costretti a supplicare per ottenere il denaro di cui ha bisogno. Nessuno Stato può dirsi padrone a casa propria se non ha il controllo della propria moneta.

Vediamo il perché con qualche esempio.

Di solito uno Stato con un’economia molto competitiva ha anche una moneta dalle quotazioni elevate perché tutti devono richiederla per poter comperare i suoi prodotti. La forza della moneta fa “alzare i prezzi” dei prodotti di questo Stato che quindi diventano meno convenienti e tutto torna in equilibrio. Uno Stato che per vari motivi si trova ad essere meno competitivo o che sta attraversando un momento di difficoltà, invece, avrà anche una moneta dal prezzo minore perché i suoi prodotti sono meno richiesti. Se il valore della moneta cala, per il resto del mondo è come se scendesse tutto il “listino prezzi” dei prodotti di quello Stato, che diventano così più convenienti e più richiesti e si tende a ristabilire l’equilibrio anche in questo caso.
Con l’Euro invece si ha uno strano caso in cui un paese poco competitivo e in difficoltà (come per esempio la Grecia) si ritrova la stessa moneta di un Paese aggressivamente competitivo e in crescita (come la Germania): il “listino prezzi” della Grecia risulterà quindi troppo caro mentre quello dei prodotti tedeschi sarà troppo basso. Il risultato è che in Grecia si muore di fame mentre in Germania si registra il record di esportazioni. Un caso simile fu quello dell’Argentina che bloccò per molti anni il prezzo della propria moneta a quello del dollaro finendo nel 2001 al fallimento, con le conseguenze di quel disastro che (unite ad altri errori) si fanno sentire ancora oggi.
Pensiamoci: tutti i paesi dell’Europa periferica sono nelle stesse condizioni: povertà e disoccupazione da record indipendentemente dal colore dei governi, dal livello di tasse e spesa pubblica o dal maggiore o minor livello del debito pubblico. Se tante persone entrano in un ristorante, e tutte quelle che hanno ordinato una particolare pietanza finiscono all’ospedale, è probabile che la colpa sia del cibo. Nel “Ristorante Europa da Merkel” stanno tutti male, tranne chi non ha ordinato la “pietanza Euro” come l’Inghilterra o i gestori del ristorante (Germania).
L’Italia, fino ad ora, si è difesa, ma la moneta troppo “pesante” rispetto a quella che sarebbe giusta per la sua economia, sta rendendo ogni giorno meno convenienti i suoi prodotti (il “listino prezzi” è troppo alto), per cui la disoccupazione è destinata irrimediabilmente a salire perché gli stessi italiani compreranno sempre più prodotti esteri di quanto sarebbe giusto. I prodotti esteri (sembra una banalità, ma a volte non ci pensiamo) sono fabbricati da aziende ed operai esteri e, quindi, in Italia il lavoro scompare. Se scompare il lavoro, scompaiono anche i soldi per importare i prodotti e pagare le pensioni e si finisce alla fame.
In pratica, è come se gli Stati Europei, invece di “essere una squadra”, fossero messi su un ring di pugilato gli uni contro gli altri, indipendentemente dal peso. Il “peso massimo”, cioè la Germania, vince e gli altri perdono. Sempre per rimanere in tema di sport è come se si mettesse un pesante zaino uguale per tutti sulle spalle dei concorrenti di una corsa: chi è più grosso e forte sarà avvantaggiato, mentre chi è piccolo e agile sarà in grossa difficoltà, così appesantito, e non potrà mai vincere. Anche il controllo della moneta come “arma” contro le crisi è fondamentale.
Uno Stato che può “stampare moneta” e che ha un’industria ben sviluppata e prodotti normalmente richiesti se è in difficoltà può spendere di più per sostenere la propria economia senza preoccuparsi
di dover trovare il denaro a prestito.
Può anche comperare i propri titoli di debito mettendo altra moneta in circolo. Se questa azione facesse scendere il tasso di cambio della moneta, tanto meglio, perché come abbiamo visto una moneta più conveniente significa una maggior richiesta per i prodotti di quel Paese che diventerebbero più appetibili, creando così posti di lavoro e un nuovo equilibrio.
Uno Stato che non ha una moneta propria, come invece accade per chi ha scelto di avere l’Euro, se è in difficoltà si ritrova a fare i conti con il famigerato “spread”, vale a dire che nessuno vuol comprare i suoi titoli. Gli altri Paesi, quindi, per “salvarlo” e prestargli i soldi che, se avesse avuto moneta propria, avrebbe potuto agevolmente procurarsi da solo, cominciano ad imporgli inutili e dannose politiche di austerità.
Gli Stati in crisi quindi si ritrovano sempre più tasse, sempre meno possibilità di spendere e con interessi sempre più alti da pagare: vanno inevitabilmente ancora di più in difficoltà e la crisi peggiora. Pensiamo invece all’Inghilterra: quando nel 2008 ci fu la crisi delle banche, dopo il fallimento della americana Lehman, era in forte difficoltà perché la sua principale industria è proprio quella finanziaria.
Ebbene, l’Inghilterra riuscì ad assorbire la crisi facendo comperare alla propria Banca Centrale i titoli di Stato necessari per finanziarsi, la Sterlina si svalutò fortemente (invece di far salire lo spread sui titoli) e adesso la sua economia è in ripresa senza aver dovuto subire ordini e condizioni da nessuno. Gli Stati dell’Europa periferica invece sono in ginocchio.

sabato 22 febbraio 2014

Asterischi e chiocciole, secondo e ultimo post


Nella giornata di ieri, sarà un caso, mi sono imbattuto in tre post consecutivi dove al posto delle normali vocali venivano usati asterischi * e chiocciole @.
Uno dei tre post riguardava addirittura il blog dei mitici Wu Ming. Siccome anche loro usavano l'asterisco, ho chiesto perché usassero 'sta strunzat. In realtà ho sbagliato perché poi il post non era il loro, ma di un tizio che commentava. Comunque non ti preoccupare, hanno detto, l'asterisco noi lo usiamo da vent'anni, a occhio e croce. Forse di più.
Gesù Cristo...magari ne vanno pure fieri, buon per loro.
L'altro post con asterischi e chiocciole stava su facebook, in una pagina in cui avevo già esternato le mie rimostranze senza ottenere risposta.
Siccome ieri stavo spazientito, anche perché il post in questione aveva più * e @ del solito, forse ho scritto in modo un po' veemente anche se non lì ma su twitter. Ho scritto:
io mi rifiuto. usare * e @ al posto delle vocali è una CACATA. non è intelligenza né rispetto per le donne. è una SCEMENZA. #inferocito
La tizia della pagina (che di sicuro l'ha letto) ha risposto:
Andrè non è il momento. Sono piuttosto inferocit@. Lasciami le mie espressioni queer e autodeterminate. Ci hanno fottuto le lotte. Lasciami almeno * e @. Grazie!
Innanzitutto, sono andato a vedere cosa significa "espressioni queer". Non ho ben capito, ma comunque queer significa buffo, bizzarro, bislacco...ma devo cercare ancora perché non sono soddisfatto. Queer indicherà qualche cosa che in italiano conosco, ma che mi sfugge applicando il termine inglese.
Sinceramente ho trovato la risposta molto buffa. Quali lotte avrebbero fottuto alle donne? Le donne non hanno conquistato molto e molto ancora hanno da conquistare? Cioè alle donne nessuno ha tolto le lotte ed esse, molte di esse almeno, continuano a lottare. Ammesso e non conesso che sia una scusa plausibile, quella delle lotte fottute, usare * e @ come rimasuglio di femminismo autodeterminato.
Una ragazza assai cortesemente, poi, mi ha scritto un messaggio privato:
* e @ si usano per indicare un'indifferenza di genere in un discorso, tipo x/y ma con un minor impatto di ridondanza, cosa formalmente impossibile in italiano non esistendo il genere grammaticale neutro. Per esempio, "siamo tutt* amareggiat*" si intende "siamo tutti/e amareggiati/e" - per evitare la dominanza del genere grammaticale maschile sul femminile.
Mi sono spiegata di cavolo, se non ti è ancora chiaro dimmelo.
Io ho risposto:
Sì, mi è chiaro e ti ringrazio perché è stato molto gentile da parte tua scrivermi questa spiegazione. Però, permettimi, dissento totalmente. Lo so che l'italiano non ha il neutro e mi rammarico pure, ma non è un buon motivo per sfregiare la lingua italiana nostra tanto bella. Ormai è l'uso che ha generato il neutro. Ormai con tutti si intende proprio tutti non solo il genere maschile plurale e così per le altre parole. A questo punto io preferisco cedere la grammatica al femminile e scrivere tutte piuttosto che ritrovarmi articoli pieni di * e @. Giuro. Poi mi piacerebbe sapere: ma veramente una donna intelligente tiene a una cosa come questa? Spero di no. Il rispetto per le donne si ottiene solo con la cultura, con il confronto aperto, con l'esperienza e molti altri fattori. Veramente * e @ è un modo per non discriminare? Scusa, ma lo ritengo un modo di scrivere BRUTTO e stupido che le donne non meritano. Ciao e ancora grazie. (scusa la lunghezza)
p.s. Sono indispettito perché questa cosa degli * e degli @ vorrebbe avere la presunzione di essere una trovata intelligente, ma non lo è per niente.
E lei, molto saggiamente e con un sorriso, ha scritto:
Ognuno ha le sue idee.
Già, ognuno ha le sue idee. Ognuno rimane sulle proprie posizioni. Io rimango con le care a e i o u usandole in maniera appropriata, voi tenetevi i queer * e @.

giovedì 20 febbraio 2014

Concedersi un attimo per leggere questo splendido pensiero di Badiou


Confesso che di Alain Badiou conosco pochissimo. Giusto qualche accenno e qualche citazione che ho letto nelle opere di Slavoj Zizek che sto affrontando negli ultimi tempi.
Ho dato uno sguardo alla sua bibliografia disponibile in italiano e son sicuro che prima o poi colmerò questa mancanza. Nel frattempo, però, voglio condividere questo suo pensiero che trovo veramente magnifico.
"Bisogna ascoltare i poeti e i musicisti, bisogna vivere nel fascino della nostra finitudine, con il vento, il mare, i giochi, le risa, le feste, le danze, ma bisogna anche ascoltare i filosofi e i matematici di tanto in tanto, e tendere il proprio pensiero come un arco per raggiungere l'infinito. Se possediamo nel contempo la gioia del finito e il dominio dell'infinito, credo che possiamo sfiorare la felicità. La felicità è sempre qualche cosa che è finita e infinita insieme".

mercoledì 19 febbraio 2014

Otto frasi sulla lettura


Libri, lettura e scrittura sono i miei argomenti preferiti. Sono la mia vita. Tutto il resto può essere importante finché gli pare ma sarà sempre e soltanto un interesse superficiale rispetto ad essi.
Sono contento di aver trovato queste otto frasi sulla lettura che mi appresto a condividere con chi passerà di qua. Sono pure contento perché non sono dieci e in questo modo eviterò di fare un altro fottuto decalogo. Poi otto è un numero che mi è sempre piaciuto. State attenti a non esagerare con esso, però, perché ottantotto è un numero pericoloso. Doveste usarlo potrebbe arrivare il solito sapientone a darvi del nazista perché 88 significa Heil Hitler.
Ma lasciamo perdere queste miserie e godiamoci questa breve carrellata di bellezza fatta apposta per i miei fratelli lettori.
1. Il tempo per leggere dilata il tempo per vivere. (Daniel Pennac)

2. Dobbiamo leggere per impossessarci della nostra vita. (Hermann Hesse)

3. Leggere è trovarsi di fronte il reale nella sua massima concentrazione. (Amélie Nothomb)

4. Leggere, come io l’intendo, vuol dire profondamente pensare. (Vittorio Alfieri)

5. Puoi leggere…e sentirai formarsi dentro di te quell’esperienza speciale che è la cultura. (Pier Paolo Pasolini)

6. La lettura ci insegna ad accrescere il valore della vita. (Cesare Pavese)

7. La lettura rende un uomo completo. (Francesco Bacone)

8. La lettura è il viaggio per chi non può prendere un treno. (Francis de Croisset)

martedì 18 febbraio 2014

Perché non possiamo non dirci allievi di Hegel [seconda parte]

(appunti trascritti dall'omonimo video del filosofo Diego Fusaro)

In terzo luogo, Hegel è del tutto dissonante rispetto allo spirito del presente per il fatto che Hegel si rifiuta categoricamente di pensare la comunità nei termini di singoli individui astratti autonomi e magari anche reciprocamente antagonistici.
Hegel è un pensatore della comunità, dell’ethos comunitario, delle potenze etiche, della Gemeinschaft (la comunità), cioè appunto la comunità preesiste rispetto al singolo individuo robinsoniano e atomico; vuoi anche rispetto a quella che nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio Hegel chiama il “sistema dell’atomistica”, magnifica definizione dell’odierno regno animale dello spirito capitalistico che fraziona l’umanità in un pulviscolo di atomi consumatori indifferenti quando non ostili gli uni rispetto agli altri. Per Hegel la comunità sta prima rispetto all’individuo e l’individuo può realizzarsi unicamente all’interno della comunità nello spirito della comunità stessa.
Di qui, appunto, la polemica di Hegel contro la moralità kantiana, contro l’anima bella e contro tutte quelle forme che distinguono e disgiungono l’individuo dall’ethos comunitario. Solo all’interno della comunità l’individuo può pienamente svilupparsi.
In quarto luogo, Hegel è incompatibile con l’odierno spirito della condizione neoliberale per il fatto che Hegel è un teorico dello Stato. Hegel è cioè un teorico della supremazia della politica sull’economia. Nei Lineamenti di filosofia del diritto (1821), Hegel mette magnificamente a tema il fatto che il sistema dei bisogni, cioè il sistema potremmo dire della società civile abbandonata a se stessa, senza disciplinamento etico e politico, dev’essere posto sotto il controllo della politica e dell’eticità. Se abbandonato a se stesso produce tragedie nell’etico, produce l’impauperimento, l’impoverimento mostruoso di una parte della società. “Ingenti ricchezze si accumulano nelle mani di pochi”, dice Hegel, “spettacolo terribile”. Invece, il compito primario dello Stato, è quello di garantire stabilmente il primato della decisione politica sovrana sugli automatismi dell’economia. Cioè garantire il fatto che la politica tramite la potenza etica statale, che non a caso Hegel richiamandosi a Hobbes chiama “il Dio in terra”, la politica garantisca un disciplinamento costante dell’economia che impedisca il dissolversi della comunità.
La politica permette all’ethos comunitario di permanere stabilmente e di non lasciarsi dissolvere da un’economia abbandonata a se stessa.
Per tutti questi motivi, Hegel può essere fecondamente inteso come un autore dissonante rispetto allo spirito del nostro presente, ma poi anche la vera cifra del pensiero politico di Hegel sta nel suo essere un borghese anticapitalista. Hegel eredita e metabolizza tutte le grandi conquiste della società borghese del suo tempo; metabolizza la grande cultura borghese del suo tempo e al tempo stesso lotta costantemente contro il capitalismo cioè contro l’autonomizzazione dell’economico che mette a morte la metafisica e mette a morte la comunità.
Di qui, per altro, la polemica costante di Hegel contro l’Inghilterra, il paese dell’intelletto astratto e dell’assenza della metafisica e dell’autonomizzazione dell’economia. Hegel è appunto un borghese anticapitalista che vuole preservare le grandi conquiste della società borghese ben sapendo che il movimento di un’economia abbandonata a se stessa, cioè del capitalismo, è esso stesso portatore della disgregazione dell’eticità.
In questo senso si vedano le grandi intuizioni di Lukàcs nel suo magnifico testo Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica.

lunedì 17 febbraio 2014

Perché non possiamo non dirci allievi di Hegel [prima parte]

(appunti trascritti dall'omonimo video del filosofo Diego Fusaro)

“Dimmi qual è il tuo rapporto con Hegel e ti dirò qual è il tuo rapporto con il mondo storico presente”.
Questa potrebbe essere, forse, la formula in cui condensare il senso dell’odierno rapporto con Hegel di ogni passione critica filosofica che voglia assumere un rapporto non puramente apologetico rispetto all’esistente.
Hegel è di tutti il pensatore oggi più avversato a ogni latitudine filosofica e politica. Ancora più di Marx; il quale Marx può pur sempre, come ha detto giustamente Slavoj Zizek, essere assunto in forme decaffeinate, cioè in forme private del pathos rivoluzionario di tipo anticapitalistico. Marx può allora essere assunto nella forma decaffeinata del Marx profeta della globalizzazione o vuoi anche del Marx profeta dell’estinzione dello Stato che è poi il grande sogno neoliberista che oggi si sta realizzando tragicamente dinanzi a noi.
Laddove invece Hegel resta strutturalmente un pensatore dissonante rispetto al mondo del regno animale dello spirito capitalistico. Hegel resta un pensatore incompatibile, fecondamente incompatibile con l’ordine capitalistico del mondo e lo è essenzialmente per quattro motivi che subito esporrò.
Ma prima di esporli voglio ricordare come effettivamente a uno sguardo non ideologicamente condizionato sulle principali posizioni filosofiche oggi dominanti, ci si accorge come Hegel sia il grande rimosso o, se volete, il grande nemico contro cui tutte le posizioni filosofiche, anche quelle più distanti fra loro, indirizzano la loro critica.
Si pensi, ad esempio, alla filosofia postmoderna che vede in Hegel un pensatore totalitario in forza della sua idea forte di verità e di sistematicità. Si pensi, ancora, alle filosofie analitiche che vedono in Hegel, pensatore della storicità e del soggetto, un nemico costante contro cui indirizzare i loro strali. Ma si pensi, ancora, alle filosofie femministe che da sempre hanno sostenuto l’esigenza di mettere in congedo Hegel o addirittura, secondo una formula femminista di qualche anno fa, di “sputare su Hegel” (cfr. Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti). Si pensi, ancora, alle filosofie della differenza, ad esempio alla filosofia di Deleuze che è rivendicatamente una filosofia antihegeliana e così via.
Potremmo allora dire, senza tema di smentita, che Hegel è il grande autore contro cui tutte le filosofie oggi presenti nel dibattito filosofico prendono posizione. Hegel è il grande nemico contro cui la filosofia oggi indirizza la propria critica.
Ma perché Hegel oggi dev’essere continuamente demonizzato? Perché Hegel deve risultare continuamente un autore messo in congedo?
Noi sappiamo che le mode filosofiche non sono mai innocenti; le mode filosofiche seguono sempre i cicli della produzione capitalistica nel senso che va sempre e solo di moda ciò che conferma lo spirito del tempo. Laddove viene sempre dichiarato fuori moda e degno di essere abbandonato ciò che non è millimetricamente allineato con lo spirito del nostro tempo. Ed è in questo senso, appunto, che Hegel dev’essere continuamente messo a morte dalle produzioni simboliche dominanti, perché Hegel è incompatibile con il capitalismo che oggi sta signoreggiando l’umanità.
Perché Hegel è incompatibile? Essenzialmente per quattro motivi fondamentali.
In primo luogo perché Hegel rovescia la visione dominante della verità come adaequatio rei et intellectus; per Hegel la verità non è “corretta rappresentazione esatta del mondo oggettivo”, non è rispecchiamento esatto dell’oggetto pensato come un datum che sta lì e che dev’essere riprodotto così com’è dal soggetto. Per Hegel la verità indica semmai un processo di mediazione temporale con cui il soggetto perviene alla consapevolezza di essere identico all’oggetto o, con la sintassi della Fenomenologia dello spirito, la verità filosofica sta nel pensare l’intero come sostanza e come soggetto; ovvero pensare la verità come un processo che si svolge nel tempo e che implica un aumento dell’autocoscienza umana che si sviluppa nella storia.
In secondo luogo Hegel è un pensatore della storicità o, più precisamente, Hegel è il pensatore che tiene inscindibilmente insieme la verità filosofica e la storicità.
“Il vero è l’intero, ma come divenuto” dice Hegel. Il vero cioè implica un processo in cui il vero diventa pienamente tale, in cui cioè esce fuori di sé, si nega, per poi ritrovarsi in cui appunto la verità è pensata come il risultato di un processo che implica l’alienazione e la sua restituzione come dice Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito.
Cioè la verità è pensata storicamente e il tratto dominante del nostro presente, come sappiamo, uno dei tratti dominanti del nostro presente è proprio la rimozione del senso storico. Non è un caso che viviamo nel segno di quella che è stata definita “l’epoca della fine della storia”, cioè l’epoca del capitale che si pensa come eterno intrascendibile, come fine della storia appunto; come se non vi fosse più un futuro possibile alternativo rispetto al capitale stesso. Laddove invece Hegel è pensatore della storicità, è il primo pensatore a partire dal quale la verità viene pensata in forma storica, come processo del diventare vero del vero stesso.

domenica 16 febbraio 2014

John Elkann vai a fare in culo

(è in momenti come questo che penso a Prospero)

Innanzitutto devo chiedere scusa a Lapo Elkann. Non è lui il cretino dei fratelli, come avevo erroneamente pensato. Lapo è un tipo originale, spontaneo, estroso, forse potrei dire anche un poco buffo ma è un bonaccione, un simpaticone.
L’idiota, il vero problema della famiglia Elkann, è John.
Qualche giorno fa, questo genio al contrario ha dichiarato: "Molti giovani non colgono le tante possibilità di lavoro che ci sono o perché stanno bene a casa o perché non hanno ambizione”.
Tra parentesi queste parole sono state dette davanti a degli studenti di Sondrio e non sono riuscito ad appurare se questi studenti l’abbiano mandato a cacare seduta stante oppure no.
In realtà la storia di queste cacate sparate da politici e padroni è lunga.
A mo’ di esempio possiamo citare il “bamboccioni” di Padoa Schioppa nel 2007, il “choosy” (termine ancora più idiota e degno di lei) della Fornero, lo “sfigati” di Martone del quale già parlai all’epoca.
Il fatto è che politicanti e padroni, nella media, sono dei poveri imbecilli che disprezzano il popolo e questa imbecillità e questo disprezzo ogni tanto devono venir fuori perché non puoi occultare i tuoi veri sentimenti sotto la cenere per sempre.
Comunque a proposito della dichiarazione da mantecatto di Elkann ne ha molto ben scritto Roberto Ciccarelli su il manifesto: se 6 milioni e 964 mila giovani tra 18 e 34 anni (il 61,2% dei non sposati, dati Istat) vivevano nel 2013 con almeno un genitore, forse esiste un gigantesco problema legato alla domanda di lavoro da parte delle imprese. L’offerta da parte dei giovani lavoratori è sempre alta, come dimostra il boom di stage e tirocini (cioè lavoro gratuito o poco più) aumentati del 36% dal 2004 (dati Almalaurea).
Non si capisce con quale diritto John Elkann si permetta di fare la morale ai giovani lavoratori proprio non si capisce. Lui che è entrato nel Cda della Fiat a 21 anni grazie al nonno Gianni Agnelli. A parte il disprezzo di rito, continua Ciccarelli, e la mistificazione dei dati, la ricetta (di Elkann) è quella neoliberista classica: prestito d’onore per gli studenti e indebitamento per gli studenti; accettare lavori che non coincidono con la formazione acquisita; scambiare il desiderio di “fare” con paghe basse e nessuna garanzia.
Concludo autocitandomi con uno stato scritto ieri su facebook che mi è uscito proprio dal cuore:
Le leggi per i finanzieri, il comando politico ai banchieri, la morale dai padroni…ma che cazzo di mondo è questo? Certamente non il mio.

sabato 15 febbraio 2014

Quando il caso Aldrovandi diventa una farsa


Ci avete fatto caso? Quando una persona muore mentre è tra le mani delle forze dell’ordine, interviene sempre qualche fattore sconosciuto che impedisce di accertare la verità e che rende le cose tremendamente complicate e fantasiose.
Basta pensare a Pinelli. Secondo loro morì per un “malore attivo” ahahhahahah!! Che minkia è un malore attivo? E chi lo sa. Di sicuro è una vergogna per chi l’ha escogitato e soprattutto per chi crede che uno sia così imbecille da bersi una scemenza del genere.
Gli esempi sono molti. Stefano Cucchi come è morto? Dai, è caduto dalle scale. Sì, certamente.
E Giuseppe Uva come è morto? E chi lo sa. Quello che si sa è che una specie di magistrato ha interrogato l’amico di Uva che quella notte era con lui e un altro po’ era l’amico a doversi scusare e giustificare per Uva morto nelle mani dei carabinieri. (guardate i video caricati da Luigi Manconi su youtube)
Oggi a Ferrara c’era la manifestazione per chiedere la destituzione dei quattro poliziotti che uccisero il giovane Federico Aldrovandi.
Scrivendo questa frase mi sembra di scrivere una follia logica. Mi viene spontaneo chiedere a me stesso: scusa, ma c’è bisogno di fare una manifestazione per chiedere la destituzione di poliziotti che hanno ammazzato un ragazzo? Non dovrebbe essere scontato? È come fare una manifestazione per chiedere l’acqua bagnata.
È vero, ma siamo in Italia il paese dove tutto è possibile – soprattutto le porcate.
Sul caso Aldrovandi ho letto tantissimi articoli e visto alcune trasmissioni televisive.
La manifestazione di Ferrara, mi ha fatto pensare una cosa: il caso Aldrovandi è una tragedia, ok, ma quando questa tragedia diventa un’ignobile farsa?
Secondo me diventa una farsa dopo il fatto, quando le forze dell’ordine ritardano depistano le indagini e quando la magistratura non fa il proprio dovere. Diventa una farsa quando l’imputazione diventa di omicidio colposo (poi ci hanno aggiunto eccesso colposo che mi pare un'ulteriore presa per il culo). Per essere il processo una cosa seria, l’imputazione doveva essere di omicidio. Punto e basta. Una volta decisa l’imputazione di omicidio colposo tutto diventa ignobile e farsesco.
Quattro poliziotti che bastonano a morte un diciottenne inerme per un sacco di tempo fino a causarne la morte devono essere accusati di omicidio. Questo è il punto secondo me.
Ovviamente, sempre perché siamo in Italia, non solo i poliziotti non sono stati accusati di omicidio, non solo sono stati condannati a una pena ridicola (sei mesi!), non solo sono tornati tranquillamente in servizio, non solo la famiglia ha dovuto subire le calunnie del solito Giovanardi pezzo di merda, ma addirittura dei vermi schifosi del Coisp sono andati a manifestare a Ferrara sotto l’ufficio della madre di Federico che ha pure dovuto subire gli insulti di uno dei vermi che gli uccisero il figlio.
Insomma uno schifo senza fine.

venerdì 14 febbraio 2014

L'odio mi scorre nelle vene ovvero chiocciole e asterischi


Premetto una cosa: io non ho niente contro le stronzate. A patto però che la stronzata sia consapevole di esserlo e che pur essendo consapevole di essere una stronzata vada fino in fondo per sfizio e per dispetto.
Quella che non sopporto, però, è la stronzata pretenziosa. Cioè quella stronzata che si ritiene intelligente divenendo, appunto perché disconosciuta, una doppia stronzata.
Comunque basta con la premessa, è ora di dire cosa mi ha irritato profondamente negli ultimi tempi.
Sul web si sta diffondendo un modo di scrivere veramente orrendo. Non bastavano le kappa, le parole stuprate dai bimbominkia, la scrittura da sms che imperversa e gli orrori grammaticali commessi dai più…no, non bastava.
Si è raggiunto il culmine con i geni che usano asterischi e chiocciole al posto delle normali vocali. Quelli che scrivono tutt*, qualcun@, ecc. ma perché? Perché questa idiozia?
Normalmente rispondono così: perché l’italiano è una lingua sessista, non ha il neutro e così per non discriminare le donne scriviamo tutt* invece di tutti e qualcun@ invece di qualcuno.
Non sono morto di colpo apoplettico per puro caso. La stronzata è grossa, ma per fortuna son di fibra forte.
Ma che cazzo. Vedete? Sembra un discorso intelligente, ma è una colossale cacata.
È vero, l’italiano non ha il neutro. Ma non mi sembra un buon motivo per sfregiare così la nostra bella lingua italiana. Ormai quando si dice tutti, si intende dire proprio tutti e non solo il genere maschile. Ormai è l’uso che ha di fatto generato il neutro. È davvero una soluzione scrivere tutt*? A me quella parola scritta così fa solo vomitare.
Secondo me è importante non essere né sessisti né maschilisti, ma sono altre le cose da fare non certo scrivere come dei coglioni. Studiare, confrontarsi, crescere spiritualmente, queste sono le uniche strade da seguire. Ogni altra cosa è solo una cazzata per chi se la merita.
Davvero le donne intelligenti approvano questo schifoso modo di scrivere? Davvero si sentirebbero tutelate e rispettare se venisse adottata questa grammatica da cretini inguaribili? Io non credo.
Anzi, spero proprio di no. Ma lo immaginate un romanzo (o una poesia) con chiocciole e asterischi? Sto male, malissimo, solo all'idea.
Il culmine della rabbia l’ho raggiunto leggendo il blog Al di là del buco. È un ottimo blog perché le persone che ci scrivono e i temi trattati son di grande qualità. Tanto è vero che ve lo raccomando e ve lo segnalo. Il tutto però viene sciupato da asterischi * e chiocciole @ che imperversano negli articoli. Ho pure scritto per protestare, ma non ho avuto riscontri. L’unica risposta è stata la mail che arriva dopo aver inserito il commento e che per colmo di ironia comincia con Benvenut@! Ma vaffanculo!
Ho deciso di non leggere più quel blog perché non resisto a questa bruttura idiota e mi sto cancellando per protesta da tutte le pagine facebook piene di * e @.
Io dico basta alle cazzate “intelligenti”. Se cazzata dev’essere che sia almeno sulfurea e pecoreccia.

Ciao ciao.

giovedì 13 febbraio 2014

Contro la dittatura della lingua inglese


Se c'è una cosa che mi irrita di questi tempi è l'invasione di termini di lingua inglese.
Sono dappertutto e nella maggioranza dei casi o sono inutili e ridicoli o falsificatori di realtà e imprecisi. Che senso ha che d'improvviso si dica "election day"? ma perché? Che senso ha che quel cazzo di Renzi dica "job act"? (a parte che da noi l'act manco esiste).
Soprattutto mi danno fastidio i termini economici che hanno invaso la nostra quotidianità, fastidio poi esacerbato dal fatto che questi termini poi siano in inglese: default, deregulation, ecc. [e deregulation è un termine falso perché invero le cose stanno proprio all'opposto; ma ne riparleremo].
Per questo motivo posto un intervento di Diego Fusaro che mi pare particolarmente adatto. C'è anche un'altra cosa che mi fa girare le palle e riguarda la lingua italiana scritta sul web, ma ne parlerò un'altra volta.
Stiamo vivendo in un tempo paradossale per molti ordini di motivi. Uno di questi sicuramente sta nel fatto che nella nostra cultura italiana si sta imponendo in forme sempre più grossolane e pressanti la necessità di utilizzare la lingua inglese. Sempre più spesso ci viene imposto l’uso della lingua inglese in un oblio totale della nostra identità nazionale e della nostra lingua nazionale. Sempre più spesso parole in lingua inglese si insinuano nel lessico italiano spodestandolo. Sempre più spesso siamo coartati all’utilizzo della lingua inglese.
Premesso che io non ho assolutamente nulla in contrario alla lingua inglese, per l’inglese di Shakespeare e di Wilde nutro una grandissima stima e un profondo interesse; il problema sta altrove, però. In primo luogo sta nel fatto che l’inglese che ci viene imposto non è l’inglese di Shakespeare e di Wilde, ma è l’inglese operazionale del mercato e della finanza, l’inglese dell’austerity e del fiscal compact, dello spread e della global governance.
Cioè l’inglese fatto apposta per metabolizzare il lessico omnipervasivo dell’economia e per diventare sempre più succube di quello che già Gramsci chiamava il “cretinismo economico”.
L’inglese oggi appunto non è quello di Shakespeare e di Wilde, ma è l’inglese dell’economista, del discorso teologico dell’economista che s’impone a livello sempre più radicale e pervasivo.
Ma poi soprattutto l’uso della lingua inglese, il servilismo sempre più in uso rispetto alla lingua inglese che viene accettata come se fosse naturale rinunciare alla propria lingua nazionale e convertirsi all’uso della lingua inglese, un tempo sarebbe stato detto un episodio di imperialismo culturale ed è verissimo, naturalmente; è una forma di imperialismo culturale.
Per quale ragione noi che siamo eredi della grande lingua di Dante, di Giambattista Vico, di Petrarca e di Machiavelli dovremmo abbandonare la nostra lingua madre per parlare l’inglese maccheronico dell’Economist e della global governance. È chiaramente un portato ideologico quello che sta dietro a questa messa in congedo della propria lingua nazionale.
Bisogna essere chiari che oggi la globalizzazione non è altro che il nome pudico all’invasione del mondo da parte della forma merce e l’invasione del mondo da parte della forma merce parla inglese. Si pensi al discorso anglofono dell’economista oggi dominante. Si parla inglese e s’impone un’unica cultura che in verità è la soppressione della cultura; perché la cultura esista occorre che vi siano almeno due culture diverse in dialogo tra loro.
Laddove invece la monocultura della globalizzazione, che io preferisco chiamare “globalitarismo”, a dare proprio l’idea del carattere totalitario della cosiddetta globalizzazione, globalitarismo cioè questo movimento che non lascia nulla esterno e mira a inglobare tutto: le idee, i pensieri, le anime e i corpi. Questa dinamica è quella che impone l’uso della lingua inglese a tutti i popoli del mondo.
Si potrebbe dire che la coscienza critica degli intellettuali è il luogo di resistenza a tutto questo…niente affatto! La coscienza degli intellettuali è il luogo di legittimazione di questa follia organizzata. Diremmo con Shakespeare che c’è del metodo in questa follia.
Gli intellettuali oggi sono il luogo di riproduzione simbolica di questo potere e non certo della sua contestazione. Gli intellettuali oggi metabolizzano il dominio parlando di loro spontanea volontà la lingua inglese, sono ideologicamente innervati da questi processi, pensano che sia più scientifico parlare inglese.
È sempre più abituale, e al tempo stesso sconfortante, vedere convegni di soli italiani, in ambito filosofico ad esempio, che parlano tra loro in lingua inglese.
È una situazione che farebbe ridere se non facesse piangere. Occorrerà, da questo punto vista, maturare una forma di resistenza all’imperialismo culturale e di recupero della propria identità nazionale. Nel nostro caso l’identità di Dante, di Petrarca, di Gramsci, di Gentile, di Machiavelli…la grande identità italiana anzitutto a livello culturale per resistere a questa barbarie che incalza.
Del resto non si può pensare che in ambito letterario, filosofico e in generale culturale, la lingua sia qualcosa di secondario. Forse nelle scienze l’uso dell’inglese permette di comunicare ugualmente bene che la propria lingua nazionale, ma non sicuramente nella filosofia o nella letteratura. Lo sapeva già Nietzsche: nella filosofia, nella letteratura lo stile è parte integrante del contenuto. Non possono essere scissi questi due ambiti. Per cui, appunto, bisogna rifiutarsi di parlare inglese e continuare a parlare la propria lingua nazionale per evitare di essere in un rapporto di subordinazione rispetto a chi l’inglese ce l’ha come madre lingua. Perché chi è italiano o francese deve parlare inglese? Ciascuno parli la propria lingua e coltivi la propria identità nel rispetto delle identità altrui.
Questo è il primo gesto di una vera globalizzazione intesa come universalismo non omologante, ma rispettoso delle differenze. Quello che potremmo anche chiamare con Giacomo Marramao “l’universalismo delle differenze” in cui ciascuno mantiene la propria identità e si relaziona secondo libertà e uguaglianza agli altri popoli che a loro volta mantengono la loro identità.

lunedì 10 febbraio 2014

Fusaro su Zizek ovvero la tripartizione filosofica eterna


Conoscete Diego Fusaro? No? Secondo me è da conoscere. Un giovane (classe ’83) filosofo italiano che scrive ottimi articoli e fa video molto interessanti. Per cominciare a conoscerlo potreste scegliere qualche video di 5 o 6 minuti, almeno vi farete una prima idea. Son sicuro che poi continuerete a seguire altri video e a leggere altri articoli (magari deciderete pure di comprare un suo libro, ma sta a voi).
Comunque, giorni fa chiesi un parere su Zizek a Fusaro. Siccome sto leggendo il buon vecchio Slavoj, cerco di raccogliere più opinioni e commenti possibili.
Il buon Diego mi ha linkato questo articolo che io ora passo a chi lo vorrà leggere.
Tralasciando, per il momento, le opinioni sul programma di Fazio che condivido in pieno (La trasmissione di Fazio è, in estrema sintesi, l’equivalente televisivo del quotidiano “La Repubblica”, il luogo della riproduzione del politicamente corretto e dell’ideologia di legittimazione dell’esistente); quello che ha attirato la mia attenzione è stato altro.
In pratica nell’articolo di Fusaro possiamo vedere chiaramente qualcosa che nella filosofia esiste da sempre. La lotta, che deriva dallo spirito agonistico greco, a chi è il vero filosofo, il vero amico della saggezza, il vero creatore dei concetti e interprete dell’esistente.
Per farvi un’idea di questa lotta (o amphisbetesis) potete leggere l’introduzione di quell’opera meravigliosa di Deleuze e Guattari intitolata Che cos’è la filosofia? (1991).
Abbiamo una tripartizione dei ruoli.
Il primo ruolo spetta a colui che difende e diffonde le idee e le ideologie del tempo e che Fusaro definisce così: "...pagliacci in salsa postmoderna, pensatori analitici senza senso storico, cani da guardia dell’ordine neoliberale e, ancora, quanti si sono penosamente convertiti, dopo il 1989, dalla dialettica marxiana a nuove forme di pensiero compatibile con lo Spirito del tempo".
Il secondo ruolo tocca a chi critica la realtà odierna solo a parole, ma restando organico ad essa e per Fusaro sarebbe Zizek: "...Il successo mediatico che continua ad arridere a pensatori che, come Žižek, apparentemente incarnano con le loro riflessioni l’opposizione più radicale possibile al sistema della produzione si spiega in ragione del fatto che, in verità, a un’analisi attenta e non superficiale, tali pensatori, con la loro stessa critica, rappresentano la glorificazione ideale del sistema dominante: una glorificazione ancora più efficace – perché dissimulata – rispetto a quella delle sempre in voga apologetiche dirette di chi santifica il reale presentandolo panglossianamente come il migliore dei mondi possibili".
Infine c’è il filosofo (quello vero!) che non solo critica il presente (società, politica, ecc.), ma lo critica davvero e non per finta.
Ovviamente questa tripartizione non la fa solo Fusaro, ma ogni filosofo.
Provate a leggere Zizek…troverete la stessa tripartizione. Troverete il cane da guardia del capitalismo, chi critica in maniera sbagliata il capitalismo e chi, invece, fa una critica giusta spietata e costruttiva al capitalismo (e che, ovviamente, sarebbe poi Zizek stesso).
Insomma, in filosofia, in un modo o nell'altro si è sempre dalla parte giusta ingenua e sbagliata allo stesso tempo.

lunedì 3 febbraio 2014

Boldrini e la politica ovvero la dissociazione ha una voce odiosa


Scrive Andrea Scanzi:
La parzialità, la faziosità, la retorica e l'arroganza della Preside Super Vicky Boldrini sono semplicemente sconcertanti. La sua, ormai, è una esondazione mediatica inaudita, all'insegna della mistificazione più ostentata e si direbbe quasi compiaciuta (cit). Viene un accenno di depressione a pensare che la sinistra italiana sia passata da Nilde Iotti a lei. Una delle peggiori presidenti della Camera mai viste. Spiace dirlo, ma la Boldrini sta ormai a Napolitano come la Biancofiore a Berlusconi. Chiederle di essere arbitro della democrazia parlamentare è un po' come chiedere a Lupin di fare la guardia alla Gioconda. Alla sua elezione aveva alimentato speranze, ma francamente non poteva agire e operare peggio di così. Peccato.
Sono d’accordo tranne che, quando fu eletta, io non la conoscevo per niente ed ero incredulo. Poi l’ho vista in faccia (aria da maestrina insopportabile), l’ho sentita parlare e ho capito subito che sarebbe stata un’altra quota rosa sprecata.
Il comportamento della Boldrini di questi giorni, dal punto di vista politico, l’ho trovato inaccettabile falso e dissociato.
Innanzitutto c’è stata la solita intervista scendiletto su rai uno dove la Boldrini dice che quello che ha fatto lo ha fatto per il bene degli italiani. Uhm.
Io ho notato che la totalità degli economisti e degli opinionisti di cui mi fido per giorni hanno dato l’impressione di essere un po’ confusi. Pian piano si son trovati d’accordo che non solo il decreto Imu-Bankitalia fosse da scorporare, ma che soprattutto la decisione presa su Bankitalia era dannosa per il Paese. La Boldrini mi permetterà se dubito del fatto che lei fosse così informata e competente su Bankitalia da essere perfettamente sicura di agire per il bene degli italiani. Mi scuserà ancora, se dico che secondo me lei non sa niente e fa solo quello che le hanno ordinato di fare. Fare che poi coincide, stranamente, di stare sempre dalla parte delle banche.
Andiamo avanti.
La stessa Boldrini ha poi scritto che secondo lei il decreto Imu-Bankitalia andava scorporato e, tra parentesi, questo chiedevano anche quelli del suo partito: Sel. Secondo me la Boldrini non ha capito (o fa finta di) che lei non “dipende” dal Governo né dev’essere “serva” del presidente della Repubblica. In realtà la sua unica preoccupazione dovrebbe essere il parlamento, la camera (di cui lei è presidente). Perché ha usato il contingentamento (parola orribile, ma più precisa di tagliole e ghigliottine varie) con l'opposizione? Se lei non era d’accordo sul decreto, per i tempi e per i modi, perché non ha concesso la parola a chi la chiedeva? Concedere la parola non rispettava i suoi dubbi sul decreto? Non rispettava quelli di Sel? Non rispettava la democrazia e il parlamento? E, per finire, non rispettava il presidente della repubblica che lei tanto difende? Lo stesso presidente Napolitano si era espresso contro l’uso massiccio dei decreti.
Poi c’è la lettera a Letta del 31 gennaio; la trovate qui. La domanda è perché non l’ha scritta prima? Che senso ha scrivere una lettera a babbo morto? Scrivere la lettera PRIMA fa della Boldrini una vera politica, scriverla DOPO a porcata fatta la fa sembrare solo miss Lacrime di Coccodrillo 2014. Non ha nessun valore una lettera scritta dopo il fatto.
Se la Boldrini avesse avuto coraggio, rispetto di sé e coerenza, a quest’ora in Italia si parlerebbe d’altro e ci sarebbe stato più tempo per correggere rivedere rifare quello “strano” decreto.
Dovrei poi parlare di ieri, dell’intervento da Fazio, ma non lo farò. Sono cazzate quelle dette ieri dalla Boldrini perché sono affette da generalizzazioni stupide e parole completamente fuori luogo.
Usa parole come eversione…l’eversione è Gelli, la P2, la P2 a cui era iscritto Berlusconi, è Renzi che fa eversione incontrando Berlusconi per la legge elettorale. L’eversione è Riina, eversiva è la mafia, eversivo è il papello che il parlamento pian piano esegue pedissequamente. Lascia stare queste questioni e queste parole, Boldrini, non sono pane per i tuoi denti.

p.s. Volevo parlare anche di un tizio per farvi fare due risate. Questo tizio è un fissato, è un maniaco. Parla a vuoto e quando tu gli porti i fatti lui insiste, si arrampica sugli specchi appunto perché è un fissato e non gli interessa discutere normalmente ma solo portare avanti la sua fissazione. Ho cominciato a parlarci per caso, poi ho smesso. Ho capito che la cosa più intelligente che sa fare è quella di disegnare Grillo con una svastica sul braccio. Vai vai, continua. Io ho di meglio da fare e anche voi.

sabato 1 febbraio 2014

Bertolt Brecht ovvero "Bontà" oggi significa distruzione di coloro che impediscono la bontà


Ai critici borghesi può sembrare che opere simili, in luogo di risvegliare gli interessi generali, presuppongano determinati interessi di natura non abbastanza generali; ma gli interessi che qui si presuppongono almeno latenti, sono in verità interessi di carattere eminentemente generale e proprio per questo contrastano con gli interessi dei critici borghesi. Quei gruppi di lavoratori intellettuali la cui esistenza è legata ai possessori dei mezzi di produzione, e che perciò sono anche spiritualmente determinati da essi, non hanno più niente a che fare non già con il comunismo, ma con l’avvenire del mondo. Respingendo i comunisti come gente di spirito unilaterale, determinato e non libero, non fanno che respingere gli interessi dell’umanità per legarsi agli interessi generali, certo, e certo illimitati e liberi, dello sfruttamento.

Un gran numero di lavoratori intellettuali ha senza dubbio l’impressione che nel mondo (nel loro mondo) qualcosa non sia a posto, ma non si comportano in conseguenza. Se escludiamo coloro che si costruiscono nel puro spirito un mondo in sé medesimo incoerente (esistente proprio per la sua incoerenza), troviamo uomini che, più o meno coscienti della discordanza, si comportano ciononostante come se il mondo fosse coerente.

Nel modo di pensare di gente simile, il mondo, dunque, non incide che in misura manchevole; nessuna meraviglia perciò che il loro modo di pensare non incida sul mondo. Questo però significa che essi non attribuiscono al pensiero alcuna capacità d’intervento: così nasce lo “spirito puro” che esiste di per sé, più o meno ostacolato dalle circostanze “esteriori”. …Che bisogno ha la testa di sapere ciò che fa la mano che le riempie le tasche?...

Ne parlavano come si parla, ad esempio, delle cose che riguardano esclusivamente gli allevatori di conigli o i giocatori di scacchi: cose, dunque, che concernono pochissima gente e che, soprattutto, non possono venir giudicate da coloro che dell’allevamento di conigli o del gioco degli scacchi non si intendono affatto.

Ma anche se non tutto il mondo ritiene che il comunismo lo riguardi, quello che riguarda il comunismo è, ciò malgrado, tutto il mondo. Il comunismo non è una maniera fra le altre di condurre il gioco. Mirando alla radicale abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, esso si oppone a tutte le tendenze che, comunque differiscano tra loro, sono d’accordo per mantenere la proprietà privata, considerandole una sola tendenza.
Noi possiamo e dobbiamo insistere nel senso che le nostra affermazioni non sono soggettivamente limitate, ma obiettive e impegnative per tutti. Non parliamo per noi come una piccola parte, ma per tutta l’umanità (e non di una parte soltanto). Dal fatto che noi combattiamo, nessuno ha il diritto di concludere che non siamo obiettivi. Colui che ai nostri giorni, per suscitare un’apparente impressione di obiettività, suscita l’impressione di non combattere, purché lo si osservi un po’ da vicino, potrà essere colto sul fatto di rappresentare un soggettivismo senza via d’uscita che difende gli interessi di una minuscola parte dell’umanità. Guardato obiettivamente, si vedrà che tradisce l’interesse dell’intera comunità con l’appoggio che dà alla conservazione dei rapporti capitalistici di proprietà e di produzione.

Lo scettico borghese “di sinistra”, falsamente obiettivo, non riconosce, o non vuol riconoscere, di combattere anch’egli in questa grande lotta, in quanto che non chiama “lotta” la violenza permanentemente (ma, grazie al lungo uso, inavvertibilmente) esercitata da un piccolo ceto sociale. È necessario che a questo ceto possidente, cricca degenerata, sudicia, obiettivamente e soggettivamente inumana, si strappino di mano tutti i “beni di carattere ideale”, indipendentemente dal fatto di sapere che cosa poi intenderà fare di questi beni un’umanità sfruttata…

Prima di tutto e ad ogni costo quel ceto va dichiarato decaduto da ogni diritto alla considerazione umana. Qualunque sia il significato che poi si darà a parole come “libertà”, “giustizia”, “umanità”, “cultura”, “produttività”, “ardimento”, “lealtà”, prima che questi concetti non siano ripuliti di tutte le incrostazioni lasciate su di essi dal funzionamento della società borghese, non sarà più lecito usarli.

I nostri avversari sono gli avversari dell’umanità. Non è vero che abbiano “ragione dal loro punto di vista”: il torto sta nel loro punto di vista. Forse è inevitabile che siano così, ma non è necessario che esistano. È comprensibile che si difendano, ma essi difendono preda e privilegi, e comprendere in questo caso non deve significare perdonare.

Colui che è un lupo per gli uomini, non è un uomo, ma un lupo. Oggi che dalla semplice legittima difesa di masse enormi stiamo passando alla battaglia finale per il potere supremo, “bontà” significa distruzione di coloro che impediscono la bontà.