lunedì 16 maggio 2011

I comandamenti dell'antiscrittore

Non spedire opere tue a scrittori. Non si mandano scarpe fatte da sè ai calzolai perchè provino a calzarle. Diventare scrittore, darselo per compito, definitivo o provvisorio, non passa dal contatto e dalla sponda di un altro scrittore.
Non ricorrere alla lusinga di chi ti pubblica sì, ma a spese tue. Non farà niente di promesso.
Procurati una tipografia, fanne tirare qualche centinaio di copie e distribuiscile in proprio tra conoscenti. E' semina.
Come in altre buone faccende umane, diventare scrittori significa accettare lo zigzag, stare dentro un deserto.
Scrivere è vocazione che prevede prima di tutto la rinuncia a ogni altra forma di espressione, di contatto a distanza. E' isolamento, una disciplina di silenzio interiore pure dentro una follia. Chi scrive ha davanti a sè la modica vastità, su righe o quadretti o tastiera, di un vuoto. Non lo deve riempire, lo deve abitare.
Non avere capomastri. Puoi ammirare un'altra scrittura, ma poi devi scrollartela di dosso per proseguire a scrivere.
Se leggi un libro, fallo da lettore, non da collega dell'autore.
Leggi un camion di libri, leggili da lettore, senza pensiero di paragone tra quello che stai sfogliando e le tue pagine.
Non frequentare corsi di scrittura. Ci sono altri modi, e meno costosi, di praticare l'umiltà dell'apprendere. Nel vagabondaggio solitario, lontano da biblioteche e scuole, nel rischio aperto e quotidiano, avviene il perfezionamento o la disfatta. Corso di scrittura è questo modesto sbaraglio, accettato senza condizioni. Per mare non ci stanno taverne.
Impara una seconda lingua per meglio approfondire il tuo italiano, sotto l'impulso dell'ammirazione per qualche autore straniero.
Sono fecondi anche gli errori, i malintesi in cui incapperai.
Apri il dizionario della tua lingua per la sua bellezza, per il suo deposito di storie contenute in ogni singolo vocabolo. Leggine una pagina e vedrai spuntare pensieri e storie e ricordi. Ti auguro di non frugarlo come un cercatore dentro una miniera, per estrarne una cosa sola, ma come uno che percorre un campo e legge il brulichio delle specie viventi.
Non scrivere a scrittori, scrivi a uomini, a donne, scrivi lettere a persone, non alla loro professione.
Considera la tua pagina una sequenza di passi in montagna, dove è rischioso a morte il margine di errore. Le sillabe sono passi su piccoli appoggi, devi posarci il peso della frase, della voce.
Fai che la tua scrittura risenta il callo del dialetto di origine. L'italiano più che da lingue antiche proviene da un'amazzonia di dialetti, arroccati in centinaia di borghi, suddivisi in millesimi di sfumature, dialetti rimasti inespugnabili per secoli. Sia debitrice di dialetto la tua scrittura italiana, sia figlia di mamma cafona e stia in italiano da ospite. Si deve sentire la decima parte di una rinuncia e di un adattamento.
Non c'è niente di sacro nello scrivere. Se mai ti piglia tentazione, riscuotiti e sopprimi dala tua pagina l'aureola. Non sono sacre le cose che scriverai, ma ugualmente devi sapere che potranno servire a molto per qualcuno, tenergli compagnia dentro un affanno. Non ha niente di sacro la scrittura letteraria, ha però una responsabilità civile.
La responsabilità principale dello scrittore è scrivere al meglio le sue storie. Al di fuori di quelle resta un solo ambito di sua competenza: il diritto di parola. Difenderlo dove manca, dove indietreggia. Difendere non quello dei colleghi scrittori, ma quello di tutti, muti e analfabeti inclusi. Difendere il diritto di parola di un prigioniero, di un avversario, di un vinto. Questo è l'ambito dello scrittore.
Comunque vada la tua scrittura, che sia gradita o ignota, difendine il diritto per chiunque. E se ti costerà, pagane allegro il prezzo, sei scrittore e hai la responsabilità civile della libertà di pubblica parola. Contrasta ovunque la censura. Sia questo il sacro per te: la libera parola scritta, detta, cantata, recitata, in ogni luogo pubblico.
Uno scrittore deve piantare almeno un albero. Uno scrittore costa legno, polpa da cui produrre carta. Uno scrittore deve rimborsare il mondo con degli alberi.
Carmina non dant panem, di poesia non si mangia. Però è civile il tempo e il luogo in cui i poeti campano della messa in vendita dei loro versi. E' stato così qualche volta nel mondo, per esempio nella Grecia antica, in Russia e a Napoli tra il 1800 e 1900. Non è il caso di oggi. Dispera allegramente di campare a sbafo della tua scrittura. Non vergognarti di nessun mestiere fatto per sussistere, se hai per rimborso e redenzione l'ora di scrittura.
La gran parte del giorno è da lasciar andare al suo bisogno, senza rancore, in assegnato spreco. Ha per riscatto la pagina raggiunta.
Fallirai volte innumerevoli, per insufficienza e per eccesso. Dispererai di consistere in una tua scrittura. E' la giusta predisposizione scritta da Borges: "di chi viene da così lontano che non spera di giungere". Da così lontano, ma da quanto, che distanza esige la scrittura? Viene dalla serpentina della tua spina dorsale, da un ricordo di ali, da una coda mozzata, viene dai bivacchi intorno ai fuochi la scrittura che infine spunta dalle dita dopo aver attraversato nel corpo le stazioni della civiltà. Viene da un ascolto di storie di chi barcollava per alcol e per affanni, voci di anziani arrivati alle loro ultime stanze. Viene da notti bianche e giorni da servo, viene da un'espulsione, da un foglio di via. La scrittura è lo sfregamento della distanza sopra un foglio di carta.
Non ti serve il talento, è luccichio fasullo. Abbaglia il narcisismo che ognuno porta a bordo. Il talento è nemico dell'ostinazione, unica disciplina necessaria. Stròncati in corpo a ogni stagione la ricrescita infestante del talento, gramigna. Fila lontano da chi ti riconosce il talento, sia per te un'accusa sconveniente, da negare in buona fede.

2 commenti:

  1. Apprezzo De Luca da poco e come pochi mi ha conquistato e preso.
    Bellissima pagina per chi scrive per passione e che legge per amore come me
    Grazie , non conoscevo questa pagina.

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