mercoledì 7 novembre 2012

Cosa in sé


L’espressione “cosa in sé” la incontriamo quando studiamo Kant. Vediamo un po’ cosa significa e tracciamo la storia di questo concetto.
La cosa in sé è l’oggetto della conoscenza considerato nella sua realtà indipendente dai contenuti percettivi e dalla forma giudicativa del soggetto.
La distinzione tra la realtà autonoma delle cose e il loro manifestarsi all’uomo è già presente nello scetticismo greco. Essa viene ripresa dal pensiero moderno a partire da Cartesio (Principia philosophia, II, 3: “Le percezioni dei sensi non insegnano che cosa ci sia veramente nelle cose, ma che cosa giovi o nuoccia al corpo umano”) e poi ereditata dall’Illuminismo, dove la cosa in sé designa il piano della realtà distinto da quello dell’apparenza (M. de Maupertius).
La massima estensione dell’uso del concetto si ha in Kant. Nel suo pensiero la cosa in sé designa il limite della conoscenza umana che, fondata sull’intuizione sensibile, non potrà mai cogliere la realtà indipendente di ciò che viene esperito. Di qui la fondamentale distinzione tra fenomeno (l’oggetto in quanto cade sotto le forme conoscitive del soggetto) e cosa in sé o noumeno (l’oggetto in quanto viene pensato nella sua autonoma esistenza).
La cosa in sé assolve pertanto il ruolo di “concetto limite” (Grenzbegriff) per circoscrivere e tenere a freno le pretese conoscitive della scienza e della metafisica (Analitica dei principi, III).
La portata negativa e critica del concetto viene però contestata e ridotta nella riflessione postkantiana a partire da Reinhold e in seguito con gli sviluppi del pensiero idealistico. Accentuando il primato della ragione pratica (che già secondo Kant colloca l’uomo nel dominio del soprasensibile), Fichte riduce la cosa in sé a un momento dell’attività dell’Io che negandosi e poi superando la sua stessa negazione rende possibile un processo di autoliberazione e di autopotenziamento infiniti.
La più radicale critica del concetto di cosa in sé è opera di Hegel, che definisce il noumeno il caput mortuum della filosofia kantiana. La cosa in sé non è infatti niente di reale o di soprasensibile, ma è il mero risultato di un processo astrattivo intellettualistico: la “vuota cosa” come residuo della negazione compiuta dall’intelletto di tutte le determinazioni reali (Enciclopedia, par. 45-46).
Anche Nietzsche, con il suo solito stile, criticò più volte il concetto di cosa in sé bollandolo come “degno di una risata omerica”.

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