Sto leggendo il piccolo volume della collana Le domande della filosofia dedicato alla
Violenza (La violenza è inevitabile?) e nell'apparato antologico che completa il libriccino c'è, tra gli altri, il Manifesto del futurismo di Marinetti.
Marinetti m'interessa, così come m'interessa il futurismo, ed è il motivo per cui lo pubblico nel blog.
Il tono è improntato all'esaltazione della violenza, della tecnologia, della guerra (definita la sola igiene del mondo), della velocità e dell'opera plasmatrice e dominatrice dell'uomo.
C'è, però, un punto oscuro che non riesco a derubricare come provocazione o come mero fatto estetico da studiare. Al punto 9 Marinetti, dopo aver celebrato le belle idee per cui si muore, scrive "disprezzo della donna".
Perché? Perché il fondatore del futurismo ha scritto una cosa simile? Uno potrebbe rispondermi che vabbè, ha scritto tante cazzate in questo manifesto, una più una meno, che cambia.
Sì, forse è vero, ma voglio cercare una risposta un po' più articolata. Cioè capisco che gli stessero sulle palle le femministe (come scrive al punto 10) perché quelle stanno sulle palle pure a me, ma scrivere "disprezzo della donna" è una cosa molto diversa.
Nel frattempo che cerco una risposta erudita e completa a questo quesito, godetevi il Manifesto del futurismo.
1. Noi vogliamo cantare l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà.
2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello dalla
Vittoria di Samotracia.
5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
6. Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
7. Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e di cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.
(F.T. Marinetti,
Manifesto del Futurismo, in “Le Figaro”, 20 febbraio 1909)