giovedì 18 agosto 2011

Mattoncini colorati fumati e divaricati


Quando ero piccolo io la tivvù non c’era perché papà non aveva i soldi per comprarla, la lavatrice non l’avevamo perché mamma era troppo stupida per usarla e la mia sorellina dormiva in un cassetto del comò perché non aveva una culla in cui stare. E questo, detto tra noi, credo sia il motivo per cui non sono mai stato geloso di lei. Come si fa ad essere geloso di una che dorme in un cassetto e si caca sotto dalla mattina alla sera?
Abitavamo in un palazzo fatiscente, il tempo fuori era quasi sempre brutto con le nuvole grigie grigie e le giornate, anche se non me ne rendevo conto, passavano in maniera monotona e assolutamente uniforme. Stavamo al sesto piano e arrivarci dopo cento cinquantasei scalini dava a tutti gli adulti il nervoso che sfogavano appena varcavano la porta.
Babbo, mamma, nonno e zio Alfredo fratello di mamma disoccupato perenne.
Non si parlava molto, si preferiva grugnire, ma soprattutto ognuno se ne stava da solo a pensare ai fatti propri.
Il mio passatempo preferito era giocare con le costruzioni. Possedevo un sacco di mattoncini colorati delle misure e forme più svariate e quando costruivo qualcosa avevo voglia di mostrarla a tutti, ma solo il nonno se ne interessava e allorché facevo un grande edificio munito di torri e mura, circondato da un fossato, lui mi chiedeva Cos’è? Un castello, rispondevo.
Mettevo i mattoncini uno sopra l’altro cercando di fargli assumere una forma a spirale e il nonno incuriosito domandava Che cos’è? La torre dov’è rinchiusa la regina, rispondevo.
Poi un giorno indossai una sciarpa rossa, un cappellino blu e mi misi, più seriamente che mai, all’opera.
Con dei mattoncini bianchi feci una carlinga, con i rossi gli attaccai in coda una fusoliera, con i verdi feci i timoni di profondità e di direzione verticale, con i gialli attaccai delle ali, con i marroni feci il flap e gli alettoni, con i celesti feci il carrello d’atterraggio, con i neri piazzai cinque mattoncini davanti alla carlinga e quello era il motore, infine presi una penna perché mi serviva un’elica. Mi alzai da terra per ammirare la mia creazione e il nonno dietro le mie spalle chiese che cos’è? È il mio aereo, risposi.
Ci saltai sopra e volai via.

7 commenti:

  1. "Che cosa non darei per fuggire all'Ovest di me stesso".

    (Altan)

    RispondiElimina
  2. Bellissimo questo post, davvero.

    hahahaah stupendo il modo di definire i commenti.
    XD

    RispondiElimina
  3. La fantasia fa volare e salva . Sempre.
    Ci si vede in questi cieli.

    RispondiElimina
  4. Detto fatto eh?
    Inizio a preoccuparmi...

    RispondiElimina
  5. Bello il racconto e bellissima l'idea dell'aereo, che si vola via dalle cose infami e forse, dico forse, il cielo si raggiunge.
    Buon WE proff!

    RispondiElimina
  6. Tutto bene proff? Che fine hai fatto?

    RispondiElimina