Avevamo cominciato a ragionare dell’amore. Sui nomi ridicoli con i quali si chiamano gli innamorati: quei nomi da cani o da pappagalli sono i frutti naturali delle intimità della carne. Le parole dettate dal cuore sono infantili. La voce della carne è elementare. Si potrebbe pensare che l’amore consista nel potere fare gli stupidi assieme, in completa libertà di stupidaggine e di bestialità.
Poi mi son detto no. Passiamo ad altro. Questo:
Quest’uomo aveva in sé tali possessi e tali prospettive, era fatto di tanti anni di letture, di confutazioni, di meditazioni, di combinazioni interne, di osservazioni, di tali ramificazioni che le sue risposte erano difficili a prevedersi; che ignorava lui stesso dove sarebbe arrivato, quale aspetto infine lo avrebbe colpito, quale sentimento sarebbe prevalso in lui, quali deviazioni e quale imprevista semplificazione si sarebbero verificate, quale desiderio sarebbe nato, quale rimando, quali illuminazioni!...
Forse egli si trovava ormai nella strana condizione di non poter considerare la propria decisione o risposta interiore che sotto l’aspetto d’un espediente, sapendo bene che lo sviluppo della sua attenzione sarebbe infinito e che l’idea di porvi fine non ha più alcun senso in un’intelligenza che si conosce bene. Egli era a quel grado di civiltà interiore in cui la coscienza non sopporta più opinioni che non siano accompagnate dal loro corteo di modalità, ed in cui essa s’affida (se quello è affidarsi) solo alla coscienza dei propri prodigi, dei propri esercizi, delle proprie sostituzioni, delle proprie innumerevoli precisioni.
… Nella sua testa o dietro gli occhi chiusi si svolgevano curiose rotazioni, - cambiamenti molto variati, molto liberi, e tuttavia molto limitati, - luci simili a quelle fatte da una lampada portata da qualcuno in una casa di cui si vedono le finestre nella notte, come feste lontane, come fiere di notte; ma che se ci si potesse avvicinare potrebbero rivelarsi stazioni o gabbie di un circo – o terribili disgrazie, - oppure verità e rivelazioni…
Era come il santuario e il lupanare delle possibilità.
L’abitudine alla meditazione faceva vivere quello spirito in mezzo a – attraverso – stati rari; in una perpetua progettazione d’esperienze puramente ideali; nel continuo uso di condizioni-limite e di fasi critiche del pensiero…
Come se le rarefazioni estreme, i vuoti sconosciuti, le temperature ipotetiche, le pressioni e i pesi mostruosi fossero state le sue naturali risorse – e nulla potesse esser pensato in lui che egli sottomettesse per ciò solo al più energico trattamento e che non chiamasse in causa tutto il campo della sua esistenza.
Nessun commento:
Posta un commento