martedì 6 novembre 2012

I miti di Platone. 8 punti cardinali

In primo luogo dunque, a quanto sembra, noi dovremo sovrintendere ai produttori di miti, e accettare quello che facessero di buono, rifiutare invece quello che non lo è. Convinceremo sia le balie sia le madri a raccontare ai bambini i miti ammessi, mettendo più impegno nel formare le loro anime con i miti che i corpi con le mani.
(Platone, Repubblica, II 377 C)
Sto leggendo l’interessantissimo libro di Franco Ferrari sui miti di Platone e ho deciso di condividere con gli amici otto punti sui miti platonici che ritengo utili per affrontare i dialoghi di Platone e da tenere come base per ulteriori approfondimenti.

1. I miti platonici sono tendenzialmente monologici. A differenza delle sezioni “normali”, che si articolano in forma dialogica, le parti mitiche sono esposte da un unico personaggio, senza che il suo racconto venga spezzato dagli interventi degli interlocutori (un’eccezione è costituita dal grande mito dei cicli cosmici del Politico, dove il racconto dello Straniero è qua e là interrotto da osservazioni di Socrate).
2. Solitamente i miti vengono raccontati da un personaggio anziano a un pubblico di giovani. Si tratta di uno stratagemma certamente funzionale ad accrescere l’autorevolezza del contenuto del racconto. Il mito di Atlantide e dell’Atene preistorica, collocato all’inizio del Timeo, viene raccontato ai presenti da Crizia (che potrebbe non essere il più anziano dei suoi interlocutori), ma rinvia, attraverso una lunga e complessa tradizione, al racconto fatto a Solone da un vecchio sacerdote egiziano. Il mito viene raccontato da un egiziano a un greco e, secondo il sacerdote, i Greci rimangono dei fanciulli rispetto agli Egiziani: dunque la direzione del racconto è quella che va da un popolo anziano a uno giovane, e rappresenta in modo emblematico il movimento del mito.
3. I miti si richiamano a (e dunque si fondano su) una fonte orale, tanto nel caso in cui tale fonte risulti reale, quanto in quello in cui essa sia fittizia. A questo proposito si può ricordare il richiamo a ciò che uomini e donne esperti dicono a proposito dell’immortalità dell’anima nel Menone, oppure la tradizione orale dei cicli cosmici nel Politico, ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi.
Il mito sembra collocarsi all’interno della dimensione del dire e dell’ascoltare, che per Platone possiedono uno statuto particolare, superiore a quello della scrittura, come si evince dalla sezione conclusiva del Fedro.
4. I miti trattano di oggetti o eventi sottratti alla verifica, sia perché situati in un tempo remotissimo, sia perché collocati in una dimensione spaziale (o addirittura extra-spaziale) inaccessibile alla nostra esperienza. I racconti relativi alle origini di una civiltà o di una tecnica (la politica o la scrittura) si situano in un passato lontanissimo e narrano di entità divine, inaccessibili all’esperienza quotidiana. In generale, sembra di poter dire che per Platone l’ambito divino nel suo complesso è uno di quelli in cui il discorso mitico possiede una sorta di diritto di prelazione (sebbene non di esclusività).
Anche la visione del mondo delle idee viene presentata ricorrendo a un mito – quello del viaggio metacosmico dell’auriga alato del Fedro – sebbene delle idee si possa parlare anche per mezzo dell’argomentazione razionale.
5. I miti platonici ricavano la loro autorità non dall’esperienza diretta di colui che li espone, bensì da una tradizione remota e consolidata, oppure dall’affidabilità di un personaggio sottratto alle dinamiche confutatorie del dialogo (come Diotima nel Simposio). Il mito relativo all’origine della tecnica politica raccontato da Protagora nel dialogo omonimo non presenta questa caratteristica e infatti contiene tesi filosofiche che Platone non condivide; analogo discorso si potrebbe fare per il mito degli uomini dimezzati narrato da Aristofane nel Simposio. In generale si tratta di racconti che non ricavano la loro autorità dalla tradizione o da figure straordinarie, ma pretendono di farla dipendere dal personaggio dialogico che li espone.
6. La funzione del mito è essenzialmente quella di persuadere l’anima e di orientarla verso scelte eticamente o politicamente “buone”: in questo senso la sua è una funzione psicagogica. In particolare il mito si rivolge alle istanze irrazionali dell’anima allo scopo di indurle ad accettare, attraverso forme di coinvolgimento emozionale, il comando della ragione. Dal momento che queste parti non sono in grado di riconoscere direttamente la legittimità di questo comando, il mito si serve di tecniche emozionali, come ad esempio l’incantamento (epode), che possano operare quel processo di coinvolgimento e ri-orientamento al bene fondamentale alla vita del singolo e della comunità.
7. I miti non sono strutturati in modo argomentativo e dialettico (cioè nella forma domanda-risposta), ma espongono descrizioni o racconti di fatti o oggetti. Naturalmente questo motivo esprime direttamente la differenza tra le procedure dialettiche della filosofia e quelle fonologiche del racconto mitico (ma anche qui qualche eccezione non manca). In tale contesto si situa anche l’uso all’interno del mito di immagini o similitudini, le quali riescono a raffigurare in forma sinottica e comprensiva nessi teorici o argomentazioni difficili da cogliere nella loro totalità.
8. I miti sono solitamente collocati all’inizio o alla fine di un’argomentazione condotta con metodi dialettici. I casi più noti sono certamente costituiti dai tre grandi miti dell’aldilà che chiudono il Gorgia, il Fedone e la Repubblica. In un dialogo come il Menone, invece, il mito relativo alla reminiscenza si trova al centro del dialogo, ma la sua posizione è di passaggio, in quanto esso conclude la prima parte (quella in cui emerge l’incapacità di Menone di fornire una definizione della virtù) e inaugura la seconda (in cui Socrate presenta il procedimento anamnestico come soluzione al problema della conoscenza). Nel Politico il mito dei cicli cosmici ha lo scopo di risolvere le difficoltà emerse nella discussione che lo ha preceduto e in particolare di dimostrare l’errore che stava alla base della definizione del politico come “pastore di uomini”.

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