martedì 18 febbraio 2014

Perché non possiamo non dirci allievi di Hegel [seconda parte]

(appunti trascritti dall'omonimo video del filosofo Diego Fusaro)

In terzo luogo, Hegel è del tutto dissonante rispetto allo spirito del presente per il fatto che Hegel si rifiuta categoricamente di pensare la comunità nei termini di singoli individui astratti autonomi e magari anche reciprocamente antagonistici.
Hegel è un pensatore della comunità, dell’ethos comunitario, delle potenze etiche, della Gemeinschaft (la comunità), cioè appunto la comunità preesiste rispetto al singolo individuo robinsoniano e atomico; vuoi anche rispetto a quella che nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio Hegel chiama il “sistema dell’atomistica”, magnifica definizione dell’odierno regno animale dello spirito capitalistico che fraziona l’umanità in un pulviscolo di atomi consumatori indifferenti quando non ostili gli uni rispetto agli altri. Per Hegel la comunità sta prima rispetto all’individuo e l’individuo può realizzarsi unicamente all’interno della comunità nello spirito della comunità stessa.
Di qui, appunto, la polemica di Hegel contro la moralità kantiana, contro l’anima bella e contro tutte quelle forme che distinguono e disgiungono l’individuo dall’ethos comunitario. Solo all’interno della comunità l’individuo può pienamente svilupparsi.
In quarto luogo, Hegel è incompatibile con l’odierno spirito della condizione neoliberale per il fatto che Hegel è un teorico dello Stato. Hegel è cioè un teorico della supremazia della politica sull’economia. Nei Lineamenti di filosofia del diritto (1821), Hegel mette magnificamente a tema il fatto che il sistema dei bisogni, cioè il sistema potremmo dire della società civile abbandonata a se stessa, senza disciplinamento etico e politico, dev’essere posto sotto il controllo della politica e dell’eticità. Se abbandonato a se stesso produce tragedie nell’etico, produce l’impauperimento, l’impoverimento mostruoso di una parte della società. “Ingenti ricchezze si accumulano nelle mani di pochi”, dice Hegel, “spettacolo terribile”. Invece, il compito primario dello Stato, è quello di garantire stabilmente il primato della decisione politica sovrana sugli automatismi dell’economia. Cioè garantire il fatto che la politica tramite la potenza etica statale, che non a caso Hegel richiamandosi a Hobbes chiama “il Dio in terra”, la politica garantisca un disciplinamento costante dell’economia che impedisca il dissolversi della comunità.
La politica permette all’ethos comunitario di permanere stabilmente e di non lasciarsi dissolvere da un’economia abbandonata a se stessa.
Per tutti questi motivi, Hegel può essere fecondamente inteso come un autore dissonante rispetto allo spirito del nostro presente, ma poi anche la vera cifra del pensiero politico di Hegel sta nel suo essere un borghese anticapitalista. Hegel eredita e metabolizza tutte le grandi conquiste della società borghese del suo tempo; metabolizza la grande cultura borghese del suo tempo e al tempo stesso lotta costantemente contro il capitalismo cioè contro l’autonomizzazione dell’economico che mette a morte la metafisica e mette a morte la comunità.
Di qui, per altro, la polemica costante di Hegel contro l’Inghilterra, il paese dell’intelletto astratto e dell’assenza della metafisica e dell’autonomizzazione dell’economia. Hegel è appunto un borghese anticapitalista che vuole preservare le grandi conquiste della società borghese ben sapendo che il movimento di un’economia abbandonata a se stessa, cioè del capitalismo, è esso stesso portatore della disgregazione dell’eticità.
In questo senso si vedano le grandi intuizioni di Lukàcs nel suo magnifico testo Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica.

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