lunedì 17 febbraio 2014

Perché non possiamo non dirci allievi di Hegel [prima parte]

(appunti trascritti dall'omonimo video del filosofo Diego Fusaro)

“Dimmi qual è il tuo rapporto con Hegel e ti dirò qual è il tuo rapporto con il mondo storico presente”.
Questa potrebbe essere, forse, la formula in cui condensare il senso dell’odierno rapporto con Hegel di ogni passione critica filosofica che voglia assumere un rapporto non puramente apologetico rispetto all’esistente.
Hegel è di tutti il pensatore oggi più avversato a ogni latitudine filosofica e politica. Ancora più di Marx; il quale Marx può pur sempre, come ha detto giustamente Slavoj Zizek, essere assunto in forme decaffeinate, cioè in forme private del pathos rivoluzionario di tipo anticapitalistico. Marx può allora essere assunto nella forma decaffeinata del Marx profeta della globalizzazione o vuoi anche del Marx profeta dell’estinzione dello Stato che è poi il grande sogno neoliberista che oggi si sta realizzando tragicamente dinanzi a noi.
Laddove invece Hegel resta strutturalmente un pensatore dissonante rispetto al mondo del regno animale dello spirito capitalistico. Hegel resta un pensatore incompatibile, fecondamente incompatibile con l’ordine capitalistico del mondo e lo è essenzialmente per quattro motivi che subito esporrò.
Ma prima di esporli voglio ricordare come effettivamente a uno sguardo non ideologicamente condizionato sulle principali posizioni filosofiche oggi dominanti, ci si accorge come Hegel sia il grande rimosso o, se volete, il grande nemico contro cui tutte le posizioni filosofiche, anche quelle più distanti fra loro, indirizzano la loro critica.
Si pensi, ad esempio, alla filosofia postmoderna che vede in Hegel un pensatore totalitario in forza della sua idea forte di verità e di sistematicità. Si pensi, ancora, alle filosofie analitiche che vedono in Hegel, pensatore della storicità e del soggetto, un nemico costante contro cui indirizzare i loro strali. Ma si pensi, ancora, alle filosofie femministe che da sempre hanno sostenuto l’esigenza di mettere in congedo Hegel o addirittura, secondo una formula femminista di qualche anno fa, di “sputare su Hegel” (cfr. Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti). Si pensi, ancora, alle filosofie della differenza, ad esempio alla filosofia di Deleuze che è rivendicatamente una filosofia antihegeliana e così via.
Potremmo allora dire, senza tema di smentita, che Hegel è il grande autore contro cui tutte le filosofie oggi presenti nel dibattito filosofico prendono posizione. Hegel è il grande nemico contro cui la filosofia oggi indirizza la propria critica.
Ma perché Hegel oggi dev’essere continuamente demonizzato? Perché Hegel deve risultare continuamente un autore messo in congedo?
Noi sappiamo che le mode filosofiche non sono mai innocenti; le mode filosofiche seguono sempre i cicli della produzione capitalistica nel senso che va sempre e solo di moda ciò che conferma lo spirito del tempo. Laddove viene sempre dichiarato fuori moda e degno di essere abbandonato ciò che non è millimetricamente allineato con lo spirito del nostro tempo. Ed è in questo senso, appunto, che Hegel dev’essere continuamente messo a morte dalle produzioni simboliche dominanti, perché Hegel è incompatibile con il capitalismo che oggi sta signoreggiando l’umanità.
Perché Hegel è incompatibile? Essenzialmente per quattro motivi fondamentali.
In primo luogo perché Hegel rovescia la visione dominante della verità come adaequatio rei et intellectus; per Hegel la verità non è “corretta rappresentazione esatta del mondo oggettivo”, non è rispecchiamento esatto dell’oggetto pensato come un datum che sta lì e che dev’essere riprodotto così com’è dal soggetto. Per Hegel la verità indica semmai un processo di mediazione temporale con cui il soggetto perviene alla consapevolezza di essere identico all’oggetto o, con la sintassi della Fenomenologia dello spirito, la verità filosofica sta nel pensare l’intero come sostanza e come soggetto; ovvero pensare la verità come un processo che si svolge nel tempo e che implica un aumento dell’autocoscienza umana che si sviluppa nella storia.
In secondo luogo Hegel è un pensatore della storicità o, più precisamente, Hegel è il pensatore che tiene inscindibilmente insieme la verità filosofica e la storicità.
“Il vero è l’intero, ma come divenuto” dice Hegel. Il vero cioè implica un processo in cui il vero diventa pienamente tale, in cui cioè esce fuori di sé, si nega, per poi ritrovarsi in cui appunto la verità è pensata come il risultato di un processo che implica l’alienazione e la sua restituzione come dice Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito.
Cioè la verità è pensata storicamente e il tratto dominante del nostro presente, come sappiamo, uno dei tratti dominanti del nostro presente è proprio la rimozione del senso storico. Non è un caso che viviamo nel segno di quella che è stata definita “l’epoca della fine della storia”, cioè l’epoca del capitale che si pensa come eterno intrascendibile, come fine della storia appunto; come se non vi fosse più un futuro possibile alternativo rispetto al capitale stesso. Laddove invece Hegel è pensatore della storicità, è il primo pensatore a partire dal quale la verità viene pensata in forma storica, come processo del diventare vero del vero stesso.

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