venerdì 7 settembre 2012

Jim Morrison, autointervista

A un certo punto leggo, nella bella prefazione scritta da Riccardo Bertoncelli al volume Tempesta elettrica. Poesie e scritti perduti di Jim Morrison, questo pezzo:
“I contemporanei di Morrison ebbero molti dubbi [sulla sua figura di artista e il suo valore come poeta] e, prima ancora che la sua vicenda si concludesse al 17 di rue Beautreillis, a Parigi, ne ridimensionarono la figura, compatendo la fragilità dell’uomo e raffrontando gli alti ideali con gli stenti di molte sue opere, specie negli ultimi anni. Un velleitario, un uomo prigioniero dei suoi eccessi ridotto all’impotenza e alla farneticazione. Un nichilista, che dissipò il suo talento esplorando fino allo strazio il suo lato più oscuro, quella “vasta regione di immagini e sensazioni che raramente vengono espresse nella vita quotidiana e, quando lo sono, possono assumere forme perverse”.
Davvero? Un nichilista, un prigioniero, un debole, un ubriacone, un tossico? Bè, anche fosse, il mio amore per lui non farebbe che aumentare.
Andiamo avanti e invece di scassare i coglioni con elucubrazioni su Jim ascoltiamo la sua musica, leggiamo i suoi testi e le sue poesie. Oggi lascerò che sia lui stesso ad autointervistarsi.
Penso che l’intervista sia la nuova forma d’arte. E penso che l’autointervista sia l’essenza della creatività. Far domande a te stesso e cercare di trovar delle risposte. Lo scrittore è appunto uno che risponde a una serie di domande non pronunciate.
È un po’ come rispondere alle domande sul banco dei testimoni. È quello strano contesto in cui cerchi di puntualizzare qualcosa accaduto in passato e cerchi onestamente di ricordarti quali fossero le tue intenzioni. È un esercizio mentale decisivo. Un’intervista ti dà spesso l’occasione di confrontare la tua mente con delle domande, il che a parer mio è quel che s’intende per arte. Un’intervista ti dà anche l’opportunità di eliminare tutti quei riempitivi… devi tentare di essere esplicito, accurato, in argomento… niente menate.
La forma dell’intervista ha i suoi ascendenti nel confessionale, nel dibattito e nel confronto incrociato. Una volta che hai detto qualcosa, non c’è modo di ritrattare. Troppo tardi. È un vero momento esistenziale.
Io sono piuttosto dipendente dal gioco dell’arte e della letteratura: i miei eroi sono artisti o scrittori.
Ho sempre voluto scrivere, ma ho sempre pensato che non sarebbe stata roba buona fino a che la mia mano non avesse preso la penna e cominciato a muoversi per conto suo, con me assolutamente non coinvolto, per così dire. Come la scrittura automatica. Ma non è mai successo.
Naturalmente ho scritto qualche poesia; intorno alla quarta o quinta elementare, credo, ho scritto una poesia intitolata Il Pony Express. Quella è la prima che mi ricordo. Era una di quelle poesie tipo ballata. Comunque non sono mai riuscito a finirla.
Horse Latitudes l’ho scritta quand’ero al Liceo. Ho sempre avuto un sacco di blocchetti, al Liceo e all’Università: poi quando finii la scuola, per qualche ragione scema – o magari è stato saggio – li ho buttati via tutti… Scrivevo in quei notes una notte dopo l’altra. Ma forse se non li avessi buttati via non avrei mai scritto niente di originale – perché erano più che altro accumuli di cose che avevo letto o ascoltato, come citazioni da libri. Credo che se non me ne fossi sbarazzato non sarei mai stato libero.
Sentite, la vera poesia non dice niente, elenca solo delle possibilità. Apre tutte le porte. E voi potete passare per quella che preferite.
… ed ecco perché la poesia mi alletta così tanto – perché è eterna. Fin quando ci sarà gente, la gente potrà ricordarsi parole e combinazioni di parole. Nient’alto come la poesia e le canzoni ha la possibilità di sopravvivere a un olocausto. Nessuno può ricordarsi un intero racconto. Nessuno può descrivere un film, una scultura, un quadro ma, finché ci saranno esseri umani, le canzoni e la poesia possono continuare.
Se la mia poesia cerca di arrivare a qualcosa, è liberare la gente dai modi limitati in cui vede e sente.

2 commenti:

  1. Jim è Jim . Punto
    E fanculo a chi non capisce le anime inquiete e sensibili, troppo sensibili per ìsto mondo di merda.
    Io l'ho conosciuto a 25 anni e poi non l'ho lasciato mai più...
    Bravo Proff per averci ricordato certe Uomini e non mezze calzette.

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