Filosofia, Letteratura, Poesia, Storia, Arte, Capitalismo, Politica, Sesso... [Blog delle ossessioni, non delle idee. Le idee non mi piacciono perché con le idee non è mai sprofondato nessuno]
mercoledì 1 agosto 2012
Perché amo tanto Paul Gauguin
Paul Gauguin nasce a Parigi nel 1848 (anno rivoluzionario).
Dopo gli studi, si imbarca nel 1865 su una nave da carico e da marinaio completa il suo servizio militare nel 1871. Tornato a Parigi, riesce ad impiegarsi come agente di cambio. Ha fortuna negli affari; sposa una donna danese e ha dei figli. Nel frattempo coltiva la pittura come un hobby, conciliandola con la sua vita borghese. Nel 1876 una sua opera è accettata al Salon e dal 1880 espone regolarmente con il gruppo degli Impressionisti.
Fin qui abbiam fatto un po’ di storia dell’arte dell’Ottocento, ma giustamente potrebbe non fregare un cazzo a nessuno. È venuto il momento di dire perché Gauguin mi fa godere e perché lo amo così tanto.
Nel 1883 Gauguin capisce che deve scegliere fra il suo lavoro e la pittura. Non ha esitazioni: abbandona l’impiego, lascia la famiglia e, per amore della pittura, si rassegna ad una vita economicamente molto disagiata.
Ah…questo sì che è un vero uomo, un artista…sto a gode’ come un majjale…
Andiamo avanti.
Fra il 1885 e 1887 si sposta spesso fra Parigi e la Bretagna. Si avverte nella produzione di questi anni il debito contratto nei confronti degli Impressionisti, nell’uso dei colori esaltati nella loro luminosità, ma si coglie anche un graduale abbandono della pennellata divisa e l’adozione di criteri compositivi influenzati dalla moda giapponese.
Nel 1887 fa il suo primo viaggio a Panama e poi alla Martinica, alla ricerca di un mondo primitivo “innocente”. Dopo pochi mesi torna a Parigi dove conosce Van Gogh.
Nel 1888 si stabilisce a Pont-Aven, un piccolo centro della Bretagna che, con la sua dimensione rurale, i suoi paesaggi incontaminati e le residue testimonianze di una religiosità medievale espressa in sculture di un Romanico molto “primitivo”, al momento sembra soddisfare la sua esigenza di fuga dalla realtà. Qui comincia a sperimentare anche la ceramica e la scultura e dà vita ad un piccolo gruppo di artisti impegnati in una nuova ricerca sul colore, che i critici definiranno “sintetista”.
I risultati della ricerca sintetista si rivelano e fanno scandalo a Parigi nella mostra al Caffè Volpini del 1889 in cui espongono anche gli Impressionisti. Con quella mostra la lezione di Gauguin comincia a diffondersi.
Nel 1891 Gauguin parte per Tahiti. Impiega un anno per ambientarsi ed entrare in sintonia con gli indigeni Maori. Si dibatte fra mille difficoltà economiche e nel 1893 decide di tornare in Francia, convinto di avere successo con una mostra dei suoi ultimi lavori di ambientazione tahitiana che giudica nuovissima per Parigi. La mostra, invece, sarà un fiasco, ma in compenso riceve un’eredità da uno zio che gli consentirà di ritornare a Tahiti.
(Manao Tupapao, 1892)
Dal 1891 inizia a scrivere Noa-Noa, con il contributo del critico d’arte suo amico, Charles Morice.
La produzione tahitiana prosegue quella bretone dal punto di vista del linguaggio pittorico adoperato, ma muta profondamente nell’iconografia. Gli appunti che presi a lezione dicono che Nelle sue ambientazioni colpisce la natura lussureggiante, ma raffigurata con colori e forme pressoché fantastiche. Gli indigeni che popolano i suoi dipinti da un lato interpretano le credenze, i riti, le paure superstiziose della loro cultura, dall’altro si fanno carico di riferimenti simbolici a contenuto religiosi o a parametri culturali attinti dal mondo occidentale, secondo una curiosa visione sincretistica che rivela le oscillazioni di Gauguin fra “fughe” evasive e “ritorni” dolorosamente nostalgici.
(Te Tamari no atua, 1896)
La cultura indigena è la protagonista di un dipinto complesso come Manao Tupapao (Lo spirito dei morti veglia), mentre Te Tamari no atua (Nascita di Cristo figlio di Dio) ambienta la natività cristiana nei luoghi esotici di Tahiti. Allo stesso modo un altro dipinto importante e ambizioso di questi anni, tutto impregnato di cultura simbolista, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? proietta sul mondo primitivo degli indigeni le ansie esistenziali di Gauguin, tormentato dalle grandi domande della filosofia occidentale. Quest’ultimo costituisce una sorta di testamento pittorico di Gauguin, che alla fine del 1897, giunto allo stremo delle forze, privo di mezzi, tenta il suicidio. Riuscirà a sopravvivere e a trascinare la sua esistenza fino al 1903.
(Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, 1897)
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