(il quadro è stato dipinto dal Tesorello)
Venerdì scorso mi trovano in ufficio seduto alla mia scrivania lavorando come al solito il meno possibile. Il pc era acceso e avevo due pagine aperte: una riguardava le pratiche che avrei dovuto sbrigare quel giorno, l'altra su wikipedia dove leggevo articoli dedicati alla storia della mafia, le biografie di Al Capone, Lucky Luciano e altri simili personaggi.
Nella stanza, oltre il sottoscritto, c'erano altri tre impiegati, colleghi di sventura in quella galera burocratica situata al nono piano di un grattacielo della metropoli partenopea.
Giuseppe Gazzoli, detto Peppone, per la sua pancia enorme, con i capelli più grigi che neri arruffati e la barba lunga di almeno una settimana che smanettava con lance e spade al computer impegnato in non so quale dannato gioco di ruolo; Flavio Saponetti, il raccomandato, il fresco laureato, lo scemo patentato che sonnecchiava bellamente con la testa appoggiata sulle braccia che teneva conserte sul tavolo. Ogni tanto s'alzava di scatto, strabuzzava gli occhi e poi tornava a dormire. Infine c'era lei, la signorina De Petis, seduta con le gambe accavallate in modo tale da mostrare bene le cosce intenta a rifarsi il trucco. Quando la signorina De Petis (di cui non conosco il nome perchè non dà confidenza a nessuno) indossa le sue minigonne, è facile comprendere che è un piacere venire al lavoro e si riesce a sopportare meglio l'alzarsi presto la mattina e il dover affrontare dapprima una metropolitana affollata e puzzolente e poi una noiosissima giornata di lavoro.
Tutto era tranquillo quella mattina, tutto filava come al solito quando d'improvviso la porta si spalancò senza che nessuno avesse bussato e sull'uscio si stagliò l'imponente figura del dottor Stazzarone, il nostro temuto e venerato capoufficio.
Noi quattro scattammo in piedi contemporaneamente ed esclamammo a tutta gola Buongiorno signor direttore!
Il dottor Stazzarone ci guardò come si guarda della merda di cane che finisce in un rigagnolo durante un temporale, poi disse Comodi, comodi.
Avanzò di qualche passo dentro la stanza dirigendosi proprio verso di me e notai che aveva una busta bianca rettangolare in mano. Ci siamo, pensai, ecco sto stronzo che viene a licenziarmi...
Signor Pelcane, cominciò l'esimio con voce stentorea, da quant'è che lavora in codesto ufficio?
Prima di rispondere mi venne automatico cercare di capire se alla parola “lavora” ci fosse un sottofondo ironico d'accompagnamento; mi parve di no e risposi nel modo più secco e asciutto che potei Cinque anni e mezzo, signor direttore.
Cinque anni e mezzo, ripetè lui, e sembrò rimanere pensieroso su quel mucchietto di tempo. Bene signor Pelcane, riprese dopo un po', in questa busta ci sono due biglietti per la Carmen di Bizet, spettacolo che si terrà stasera al Teatro Ludwig Vonfireracket. Metta lo smoking, ci porti la sua ragazza e si diverta! Io non posso andarci e ho deciso di premiare lei perchè qui dentro è quello che lavora di più lavorando di meno. Buona serata e continui il lavoro.
Detto questo mi porse la busta, che afferrai con un movimento meccanico del braccio sinistro, e se ne andò sbattendo la porta quando la chiuse. Rimasi in piedi per qualche istante, con quell'inaspettato dono tra le mani, e osservai, girando la testa dall'uno all'altro lentamente, le reazioni dei miei colleghi. Fui un po' deluso perchè Peppone bestemmiò che un elfo gli aveva inflitto una ferita da dieci punti e riprese a giocare, Flavio tornò a dormire come se nulla fosse accaduto e la signorina De Petis finì con tutta calma di mettersi lo smalto.
Poco male, mi dissi, meglio così. Ripresi posto sulla mia sedia che per la prima volta mi sembrò comodissima e aprii la busta. Ne estrassi i due biglietti che erano lucidi, lisci, colorati...ci feci scorrere le dita sopra a mo' di carezza ed ebbi l'impressione che il polpastrello del medio si incastrasse sulla superficie.
Bene, avevo l'occasione di poter passare una bella serata all'Opera. All'Opera! Magari, poi, dopo la rappresentazione saremmo potuti andare a cena e magari dopo la cena...già, ma con chi ci sarei andato a vedere la Carmen? Riposi la busta con i biglietti nella tasca della giacca e dalla tasca interna presi la mia fedele agendina. Conoscevo tante donne, una l'avrei trovata che diamine!
Ovviamente cominciai dalla lettera A dove c'era Adelaide. Composi il numero, ma non rispose nessuno. Brutto segno, pensai istintivamente.
Passai alla B e chiamai Brunella che mi disse che non si ricordava di me e che non intendeva farlo quella sera. Vabbè, manco io dissi al telefono ormai muto.
Provai la C dove non ricordavo di conoscere una donna di nome Cesira. Feci il numero ma dopo numerosi squilli mi rispose una voce tutta assonnata che bofonchiò parole come turno di notte chi è che rompe i coglioni vaffanculo.
Voltai la paginetta alla lettera D e stavolta Daria me la ricordavo, una simpaticissima bionda un po' pazzerella. Rispose la madre che mi disse che Daria era in vacanza in una beauty farm e non sarebbe tornata prima di domenica.
Alla lettera E c'era Elena che tagliò subito corto dicendo che non poteva uscire con me perchè si vedeva con Paride e stava diventando una cosa seria.
Finsi di crederle e provai con Federica, ma andò male pure stavolta perchè lei era nel periodo in cui odiava gli uomini bastardi egoisti tutti uguali, insomma la solita solfa.
Attaccai mentre era ancora lì che si sfogava; dovevo chiamare Gigliola. Gigliola era felice di sentirmi, ma non accettava il mio invito perchè odiava l'Opera, gli snob che ci andavano e sopratutto quelle megere stronze con la pelliccia. Poveri animaletti.
Non ebbi tempo di commuovermi per la sorte dei visoni considerato il fatto che dovevo ancora trovare una che volesse uscire con me!
Alla lettera H avevo Helga, ma non ci provai nemmeno a telefonarle perchè sapevo che era a Berlino e non sarebbe venuta in Italia che in estate.
Così saltai direttamente alla I di Ilaria. Stasera non posso, mi rispose, esco con la mia compagna. Con la tua compagna?, mi venne da chiederle senza che potessi fermarmi. Sì, con la mia compagna, rispose, hai sentito bene. Sono lesbica e tu sei un bigotto bastardo. E m'attaccò il telefono in faccia.
Non mi persi d'animo e andai deciso alla L dove c'era segnato con la penna rossa il numero di Loredana. Chiamai e mi ripose una voce di donna, ma non compresi cosa mi diceva. Era come se avesse qualcosa in bocca e non riuscisse a parlare bene...
Quando arrivai alla lettera M vi trovai scritto il nome di Martina con un asterisco a fianco. Scesi con l'indice a pie' di pagina e vi trovai scritto: non chiamare, è una cretina.
Andai, allora, alla N dove c'era Nadia. Ti ringrazio, mi rispose, ma domani ho una gara di ginnastica artistica molto importante. Devo alzarmi presto, sarà per la prossima volta.
E' sempre per la prossima volta, ma quando arriva sta prossima volta nessuno lo sa.
Passai alla O di Ottavia. La conversazione fu brevissima perchè lei ora era una donna sposata e con un frego ripetuto più volte la cancellai dall'agendina.
Era la volta della lettera P e di Pasqualina. Una con un nome così non capivo che ci facesse nel mio archivio da playboy. Comunque chiamai lo stesso per poi pentirmene subito. Pasqualina mi disse che accettava l'invito a patto che potesse portare pure la sorella. Era in un brutto periodo e non voleva lasciarla a casa sola. E allora buona serata a tutte due, dissi un po' innervosito da quella proposta così sciocca.
La Q la saltai perchè non conoscevo e non conosco nessuna donna con il nome che cominci con la Q (mentre di quelle che ragionano e lavorano col Q ne conosco tante...)
Cazzo, stavo finendo le lettere e ancora non avevo una donna da portare all'Opera!
Impugnai con decisione il ricevitore e composi pestando i pulsanti il numero di Rosalia che invece di rispondere con un sì o con un no al mio invito si mise a parlare dei suoi problemi. Che palle! attaccai con una scusa qualunque.
Chiamai Simona, oramai un po' sfiduciato, e dall'altro capo del telefono udii la voce di Franco, il ragazzo di Simona.
Fu la volta di U e di Ursula che mi rispose che avrebbe volentieri visto la Carmen e che le piaceva l'idea della cenetta romantica, ma non con me.
Provai con Valeria che purtroppo non poteva venire perchè aveva la febbre alta.
M'era rimasta l'ultima lettera, la Z, e telefonai a Zazie. Era libero e sentii uno squillo, poi un secondo, un terzo, un quattro...
Appoggiai meglio la schiena alla spalliera della sedia, buttai con nonchalance le gambe sulla scrivania e decisi che avrei aspettato fino all'ultimo trillo.
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