lunedì 2 gennaio 2012

La feroce dolcezza filosofica di Apollodoro

(David, La morte di Socrate)

Apollodoro era una persona molto dolce, capace di dare tutto se stesso alle persone che amava e nelle cose in cui credeva.
La prima volta che lo incontrai fu all’inizio del Fedone, quando Echecrate enumera gli amici che erano presenti il giorno della morte di Socrate.
Apollodoro viene descritto come il più scosso tra i presenti, talmente sopraffatto dal dolore che il pianto gli impedisce di proferire parola. [“E Apollodoro, che già anche prima non avea mai lasciato di piangere, allora scoppiò in singhiozzi, e tanto piangeva e gemeva che niuno ci fu di noi lì presenti che non se ne sentisse spezzare il cuore…” Fedone 117 d3-4]. È talmente stravolto che è Socrate stesso a consolarlo, accarezzandogli la testa.
Credo che fu questo grande amore che Apollodoro provava per Socrate, la ragione per cui Platone fece di Apollodoro il narratore del suo dialogo più bello (che parla appunto di eros), cioè nel Simposio.
Apollodoro fu “ricordato” anche dal pittore Jacques-Louis David nel celebre quadro La morte di Socrate, ed è il giovane coi riccioli biondi che si dispera addossato al muro.
Io lo ricordo perché nelle fasi iniziali del Simposio dice una cosa che mi ha sempre colpito, sia perché è espressione di un amore eccezionale per la filosofia, sia perché interpreta alla perfezione quello che ho sempre pensato anche io.

Per mio conto, ogni volta che ragiono io stesso o ascolto qualcun altro ragionare di filosofia, ne provo una gioia straordinaria, anche a prescindere dal vantaggio che credo di cavarne; invece, quando mi tocca ascoltare altri generi di discorsi, e in special modo i vostri (di voi che siete gente ricca, dedita agli affari), io mi annoio e voi mi fate pena, amici miei, che vi illudete di essere attivi e in realtà non combinate nulla. Voi forse mi giudicherete un disgraziato, e penso che pensiate il vero; ma io di voi non lo penso: lo so. [Simposio 173 c-d]

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