domenica 25 marzo 2012

Contributo alla psicosociologia del pollice verde

Se Charles Schulz, il creatore dei Peanuts, disegnasse oggi Linus, forse gli metterebbe in mano anziché una coperta un vasetto di timo fiorito.
(cit. una coccinella colta)

Il sabato compro il Corriere della Sera perché sto facendo la raccolta dei Classici del pensiero libero Greci e Latini.
Purtroppo oltre il quotidiano e il libro, devo accollarmi pure il fottutissimo supplemento Io Donna che di solito butto nella spazzatura senza manco sfogliarlo.
Ieri, però, mi è caduto l’occhio su un articolo che aveva un titolo allusivamente cartesiano: Zappetto (e concimo). Dunque sono.
Mi sono detto ma che cazz significa? E ho deciso di leggerlo.
In pratica si affrontava un argomento di estrema importanza e cioè ricercare le cause del boom dei balconi fioriti.
Il sottotiolo dice: Una volta era l’hobby di signore âgé oppure di pensionati che si riprendevano un po’ delle proprie radici contadine. Oggi i forzati del pollice verde sono una tribù. Perché, dicono gli esperti, curare bulbi e peperoncini sul balcone fa bene due volte: sul piano psicologico soddisfa il bisogno di accadimento, come un Tamagotchi vegetale. E su quello sociale supera l’ecologismo militante.
Tamagotchi vegetale? Ecologismo militante? Tribù dei forzati del pollice verde? Azz; mi sono ingolosito e ho voluto leggere per benino l’opinione di questi esperti.
Secondo la psicologa Silvia Vegetti Finzi: “Gli adulti hanno bisogno di qualcuno che abbia bisogno di loro. Li aiuta a mantenere un equilibrio. E curare il balconcino è un atto di accudimento salutare. Una pianta necessita di gesti regolari e accurati, senza strappi né concitazione come accade invece nella vita lavorativa. Curare il verde richiede concentrazione e creatività: qualcosa che non c’era viene alla luce, e magari è anche qualcosa di utile. E poi, abbellire l’esterno del proprio appartamento mettendo fioriere sui davanzali è come far rinascere il senso della città, e il confronto con altri che fanno lo stesso con le proprie finestre e i propri balconi è anche una forma di condivisione e un modo per uscire dal proprio isolamento narcisistico”.
Mah, non so. Non mi convince né “l’atto di accudimento” né ‘sta storia dell’uscita dal proprio “isolamento narcisistico”.
Andiamo al sociologo Francesco Morace, che analizza questa versione urbana della passione agricola come tentativo di tornare a una vita più naturale dedicandosi al mondo vegetale: “È un fenomeno che rientra nella nuova dimensione di sostenibilità e qualità della vita legata a comportamenti quotidiani soprattutto femminili, volti alla creazione di un microambiente sano e bello. È un nuovo modo di avvicinarsi alla natura, privo di ideologie e diverso dall’ecologismo militante del passato. Non è più una concezione privativa, come nell’ecologismo classico, ma un trend legato al piacere personale. Se l’ecologismo era pauperista, la nuova passione per orti e giardini ritagliati nei cortili, negli spazi condominiali, sui davanzali e sui balconcini, non è un’ondata anticonsumista ma qualcosa di diverso, che mira a un equilibrio estetico e sociale. È come se tutti noi avessimo bisogno di rassicurazione e solo nel nostro micromondo potessimo trovarne”.
Ovviamente, un sociologo deve piazzare la parola “trend” ad ogni costo, è obbligatorio. Comunque dovrò informarmi perché non conosco questo fantomatico “ecologismo pauperista”.
Io credo che il giardinaggio sia un hobby ed ogni hobby sia attività. L’uomo è attività, o come direbbe Aristotele l’essenza dell’uomo è l’energheia. Ora, questa energheia è in parte automatica e in parte coatta. Cioè l’attività umana è innanzitutto senza perché e poi è per la maggior parte del tempo un’attività costretta, e l'esempio più facile è il lavoro che bisogna svolgere ogni giorno.
Quindi è naturale che questa attività abbia anche una terza parte: quella dell’azione consapevole e piacevole. Il giardinaggio, come molte altre cose, è una di queste.

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