martedì 17 aprile 2012

Manifesto del partito comunista [scritti introduttivi-terza parte]


Riprendo la lettura de il Manifesto del partito comunista sia per sottolineare come alcuni pensieri borghesi siano ancora vivi e vegeti nella testa delle persone d’oggi, sia perché furono Marx ed Engels a fare qualcosa che oggi ci sembra ovvio: portare al centro del dibattito politico le condizioni sociali e politiche dei lavoratori.
Da una parte abbiamo l’ideologia d’ispirazione maltusiana che imputa la miseria alla dabbenaggine o imprevidenza dell’individuo il quale, lasciandosi trascinare dai sensi, non tiene conto del “principio di popolazione”.
Poi c’è la convinzione che la miseria di massa sia da riferire comunque a una sfera che è da considerasi privata. Dopo tutto – questo è il pensiero – il livello dei salari e le condizioni di lavoro rinviano a un contratto liberamente pattuito dalle parti. È dunque un rapporto tra privati.
La società borghese così replica all’operaio che si lamenta e recrimina:
Voi eravate libero di decidere, nessuno vi costringeva a stipulare quel contratto se non ne avevate voglia; ma ora che vi siete spontaneamente impegnato con quel contratto, dovete rispettarlo.
In conclusione, le cause della miseria vengono cercate parte nella natura, che è indipendente dagli uomini, parte nella vita privata, che è indipendente dall’amministrazione, parte in casi accidentali, che non dipendono da nessuno. Abbiamo a che fare o con la responsabilità del singolo membro della società civile, ovvero con la natura o la Provvidenza; ci troviamo di fronte o una libertà che non può e non deve essere conculcata, ovvero un destino che sarebbe ridicolo e persino sacrilego voler modificare mediante l’intervento dell’uomo. E dunque, secondo il pensiero liberale nel suo complesso, se anche vediamo la maggioranza della popolazione esposta a molta abbietta fatica, a grande miseria, a tutte le apparenze della servitù, dobbiamo tener conto che si tratta per l’appunto di una parvenza, che non intacca sostanzialmente la realtà della libertà come “benedizione comune”, dalla quale non è escluso neppure il più miserabile. Questo pensiero evoca la moderna schiavitù operaia per farla immediatamente dileguare in una sfera considerata priva di qualsiasi rilevanza politica.
Nella sua forma più sviluppata lo Stato borghese si limita a chiudere gli occhi e a dichiarare che certe opposizioni reali non hanno carattere politico, che esse non gli danno noia; la società e la teoria politica borghese partono dal presupposto secondo cui i rapporti sociali, le “differenze sociali” hanno “soltanto un significato privato, nessun significato politico”.
Ma ecco che il Manifesto del partito comunista mette invece in causa le esistenti “condizioni sociali e politiche”.
Di questa rivoluzione epistemologica mi occuperò nel prossimo post.
Bisogna studiare Marx, soprattutto in questo momento storico. Pochi cazzi.

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