lunedì 30 aprile 2012

Patafisica

Baudrillard

Ubu, lo stato gassoso e caricaturale,
l’intestino crasso e lo splendore del vuoto.
Perché ecco che tutto è forse stucco, e toc,
anche un albero di legno – e quel bluff intenso
che fa lievitare la pasta dei fenomeni – niente impedisce
che questo catabase verso il toc e il bla
sia iniziato molto prima della forma che
hanno preso gli oggetti detti veri –
e che tutto fosse prima di essere nato,
allo stato canceroso e immaginario –
non possa nascere che allo stato canceroso e immaginario –
il che non impedisce alle cose di essere meno false di
quanto si pensi cioè…

La Patafisica è la più alta tentazione dello spirito.
L’orrore del ridicolo e della necessità conduce all’infatuazione
enorme, la flatuosità enorme di Ubu.

Lo spirito patafisico è il chiodo
nel pneumatico – il mondo una veccia
di lupo. La spirale è ben anche una
mongolfiera, una nebulosa, o anche la
sfera perfetta della conoscenza. La
sfera intestinale del sole. Non c’è niente
da ricavare dalla morte. Un pneumatico
muore? Rende la sua anima di pneumatico.
Il peto è all’origine del soffio.

Ubu


Il principio è di emetterne, è così
che la realtà è demolita. Nella tracotanza
di Ubu ci sono la volontà, l’importanza,
la fede e tutto ciò che è portato al parossismo,
in cui ci si accorge molto naturalmente
che è fatto del soffio di cui si fanno i peti,
della carne di cui si fanno il sego e la cenere,
dell’osso di cui si fanno i falsi avori e i falsi universi.
Non è il ridicolo.
È un’inflazione, il passaggio brusco in uno spazio vuoto
che non è il pensiero di nessuno – perché non c’è pensiero patafisico,
non c’è che un acido patafisico che fa inacidire
e imbalsamare la vita come del latte,
gonfiare come una annegato e deflagrare
come il tartufo verdastro delle meningi
del Palotin. Patafisica: filosofia dello stato gassoso.
Essa non può definirsi che in una nuova lingua non trovata,
perché troppo evidente: la tautologia.
Meglio: essa non può esprimersi che tramite
il suo proprio termine, dunque: non esiste.
Gira su se stessa e rimugina l’inconsistente incongruenza,
sorridendo per niente dei canterelli e dei sogni putrescibili.

Le regole del gioco patafisico
sono più terribili di quelle di qualsiasi altro.
È un narcisismo di morte, un’eccentricità mortale.
Il mondo è una protuberanza inane, una masturbazione a vuoto,
un delirio di toc e di cartapesta, ma Artaud, che pensa così,
pensa ancora che da quel sesso brandito per niente
potrebbe un giorno sgorgare uno sperma vero, che da un’esistenza caricaturale
potrebbe sorgere il teatro della crudeltà, vale a dire una virulenza reale.
Mentre la Patafisica non crede più né al sesso né al teatro.
C’è la facciata e dietro niente. La ventriloquicità delle
vesciche e delle lanterne è assoluta.
Ogni cosa è nata infatuata, immaginaria, un edema, un granchio prelibato,
una nenia. Non c’è nemmeno modo di nascere e di morire.
Questo è riservato alla pietra, alla carne, al sangue, a ciò che pesa.
Ora, per la Patafisica tutti i fenomeni sono gassosi.
Anche il riconoscimento di questo stato,
anche la coscienza della scoreggia, e
del prurito e del coito per niente non è seria… e la coscienza
di questa coscienza, ecc.
Senza scopo, senz’anima, senza frasi,
ed esso stesso immaginario ma comunque necessario,
il paradosso patafisico è da scoppiarne, molto semplicemente.

Artaud


Se Artaud, spinto al limite dal
vuoto rinnovato davanti a lui e intorno
a lui, non si è suicidato, è che in qualche modo
credeva a un’incarnazione, a una nascita, a una sessualità, a un dramma.
Il tutto sui puntelli della crudeltà,
poiché la realtà non poteva accoglierli.
C’era una posta e la speranza di Artaud era immensa.
I confini della vescica avevano l’odore di una lanterna della Cina.
Ubu, lui, ha insoffiato tutte le lanterne del suo grosso peto.
E, di più, ha convinto.
Ha convinto tutti di nulla e di costipazione.
Egli prova che noi siamo una complicazione intestinale
del Signore di questi limbi che, quando avrà scoreggiato,
eh come ben potete vedere anche voi,
tutto sarà risolto, tutto sarà in ordine.
Noi non siamo altro che allo stato di peto virtuale,
la nozione di realtà ci è data da un certo
stato di concentrazione addominale del vento
che non è ancora stato lasciato andare.
Gli dei e le mattine che cantano
sono generate da questo osceno gas,
accumulato da quando il mondo è mondo
e da che l’Ubu piramidale ci digerisce
prima di espellerci patafisicamente nel vuoto
offuscato dall’odore di peto raffreddato – ciò che sarà
la fine del mondo e di tutti i mondi possibili…

L’humour di questa storia è più
crudele della crudeltà di Artaud, il
quale non è che un idealista.
Soprattutto, è impossibile. Esso prova
l’impossibilità di pensare patafisicamente
senza suicidarsi. È, se si vuole, il
raggio di una gidouille sferica sconosciuta
che non ha altri limiti che l’imbecillità
delle sfere ma che quando esplode
diventa infinita come l’humour.
Da questa deflagrazione dei Palotin deriva
l’humour, dal loro modo ossequioso e
ingenuo di tornare alla natura sotto forma di
peti-pietosi, che si credevano
talmente coscienti, gli esseri, e non
solamente dal gas – e uno dopo l’altro
danno scintilla all’humour incommensurabile
che risplenderà alla fine del mondo – dall’esplosione dello stesso Ubu.
Così la Patafisica è impossibile.
Bisogna uccidersi per provarlo?
Addirittura, perché essa non è seria. Ma
se è proprio qui la sua serietà… Alla
alla fine, per esaltare la Patafisica, è meglio
essere patafisici senza saperlo – quel che siamo tutti.
Perché, riguardo l’humour, l’humour vuole l’humour, ecc.
La Patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie.
Artaud è il contrasto perfetto.
Artaud vuole la rivalutazione della
creazione e della messa al mondo.
Sottrae, come Soutine sottrae al suo bue
putrefatto, un’immagine, non proprio
un’idea. Crede che bucando quell’ascesso di stregone
colerà molto pus, ma alla fine
quantomeno buon dio del vero sangue, e che quando il mondo intero
starà ansimando come il bue di Soutine,
il drammaturgo potrà riprendere a partire
dalle nostra ossa per una grande e
seria festa dove non ci saranno più spettatori.

Jarry

Al contrario la Patafisica è esangue
e non si bagna, evolvendosi in un universo
parodico ed essendo il riassorbimento in sè dello spirito
senza una traccia di sangue. E parimenti:
ogni passo patafisico è un circolo vizioso
dove le forme impazzite senza crederci
si mangiano stupide dei granchi in
fondo ai giunchi, si digeriscono come
budda di stucco e non emettono in tutti
gli azimut che un suono fecale di pietra
pomice e di noia seccata. Ciò accade
perché la Patafisica raggiunge una tale
perfezione del gioco e perché concede
così poca importanza a tutto ciò che ne
ha alla fine così poca. In essa tutte le
nullità solenni, tutte le figure della nullità
arrivano a fallire e a pietrificarsi
davanti all’occhio gorgonale di Ubu.
In essa ogni cosa diventa artificiale, velenosa,
e conduce alla schizofrenia, tramite
gli angeli di stucco rosa le cui
estremità si congiungono in uno specchio curvo…
Loyola – che il mondo sia avariato purchè io vi regni.
Se un’anima non resiste all’ascendente delle volute,
delle spirali, delle vertigini stampate,
fissate al momento dell’imbroglio
parossistico, allora essa è consegnata al
sontuoso Ubu, il cui sorriso rende ogni
cosa alla sua inutilità solforosa e alla
freschezza delle latrine…

Tale è l’unica soluzione immaginaria
all’assenza di problemi.

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