martedì 12 luglio 2011

In compagnia di Socrate

(so di condividere qualcosa di non particolarmente interessante o divertente, ma se anche UNA sola persona che passasse di qui avesse modo di apprezzarla - ebbene, io sarò contento)


Sul prato in dolce declivio che permetteva al giacente di stare disteso col capo sollevato, stavamo seduti Socrate ed io, al riparo dall’afa del giorno e fra gentilezze e lusinghevoli arguzie Socrate mi istruiva sul desiderio e sulla virtù.
Mi parlava della trepidazione febbrile che coglie l’uomo sensibile quando i suoi occhi scorgono un simbolo dell’eterna bellezza; mi parlava degli appetiti del profano e del malvagio, che non sa concepire la bellezza se non ne vede l’immagine e non può venerarla; parlava del terrore reverenziale che coglie l’uomo di nobili sensi quando un volto divino, un corpo perfetto, gli appaiono, di come egli tremi e, fuori di sé, a mala pena possa guardare e venerare chi la bellezza possiede, e le vorrebbe fare offerte, come a una statua, se non avesse il timore che gli uomini lo prendessero per pazzo.
“Giacché la bellezza, o mio Andrè, solo essa è degna d’amore e visibile allo stesso tempo: essa è – notalo bene! – la sola forma dello spirito che si possa percepire con i sensi e che i sensi siano in grado di sopportare. Altrimenti che sarebbe di noi se il Divino stesso, se Ragione, Virtù e Verità ci apparissero in modo sensibile? Non saremmo distrutti e inceneriti dall’amore, come Semele al cospetto di Zeus? Così la bellezza è, per colui che l’avverte, la via che conduce allo spirito – solo la via, solo un mezzo, caro Andrè… E poi disse la cosa più sottile, lui, l’astuto seduttore: disse che l’amante è più divino dell’amato perché Dio è nel primo, non nell’altro, - forse il pensiero più tenero e beffardo che mai sia stato pensato e dal quale scaturisce tutta la malizia e l’arcana voluttà del desiderio”.
Lo pregai di parlare ancora e di non andarsene, volevo sapere qualche altra cosa sulla bellezza o su qualsiasi argomento lui preferisse e mi accontentò (come sempre).
“Perché la bellezza, Andrè, ricordatelo bene, la bellezza soltanto è divina e allo stesso tempo visibile, e perciò essa è la via di ciò che appartiene ai sensi, essa è, caro Andrè, la via che conduce l’artista allo spirito. Ma tu, amico mio, credi forse che chi si avvia attraverso il dominio dei sensi verso lo spirito giungerà alla saggezza e alla vera dignità dell’uomo? O credi piuttosto (ti lascio libero di scegliere) che in questa via rischiosamente dolce sia in realtà una via di inganno e peccato, che necessariamente conduce all’errore? Perché devi sapere che noi poeti non possiamo percorrere la via della bellezza senza che Eros ci accompagni e ci sia di guida; certo, possiamo anche, a modo nostro, essere eroi e onesti combattenti, ma in verità siamo come le donne, perché la passione è ciò che ci esalta, perché solo all’amore ci è dato aspirare – questa è la nostra gioia e la nostra vergogna. Ora vedi che noi poeti non possiamo essere né saggi né dignitosi? Che necessariamente cadiamo nell’errore, naturalmente siamo dissoluti e avventurieri del sentimento? La maestria dello stile non è che menzogna e millanteria; la nostra gloria, gli onori sono solo farsa, la fiducia del pubblico è grottesca e ridicola, l’educazione del popolo e della gioventù per mano dell’arte è impresa temeraria e da interdire. Infatti che educatore è chi irrimediabilmente e per sua natura è spinto verso l’abisso? Vorremmo sì distogliercene, acquistare dignità, ma per quanti sforzi facciamo l’abisso ci attira. Così noi rinunciamo alla conoscenza che dissolve, perché la conoscenza, Andrè, non ha dignità né rigore; è consapevole, è priva di riserbo e forma; ha simpatia per l’abisso, anzi è l’abisso stesso. Noi dunque la ripudiamo energicamente e quindi la nostra ispirazione resta unicamente la bellezza, cioè la semplicità, la grandezza e il nuovo vigore, la rinnovata spontaneità, la forma. Una spontaneità e forma, mio Andrè, conducono all’ebbrezza del desiderio, possono trascinare un animo nobile a sacrilegi orrendi, che a lui stesso, al suo armonioso rigore, appaiono informi; conducono all’abisso, all’abisso anche loro. E, ti dico, vi conducono proprio noi poeti, poiché noi non siamo capaci di elevazione, ma solo di dissolutezza. E ora io vado, Andrè, tu rimani qui; e solo quando non mi vedrai più, allora andrai via anche tu”.

5 commenti:

  1. Leggendo le tue prime righe sono rimasta a dir poco sorpresa perchè avevo finito da qualche minuto di esprimere lo stesso concetto con le stesse parole a un amico!

    Io non so se ho i mezzi giusti comunque per comprendere a fondo e quindi apprezzare.
    Però mi ha colpito quando il tuo "amico" parla di bellezza e che l'amante è più divino dell'amato, non sono in grado di spiegarlo ma in questo avverto qualcosa di profondamente vero su cui riflettere...
    Ciao prof :)

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  2. Non c'è una sola parola o idea in questo post che tu non possa comprendere o apprezzare; visto che si parla di bellezza, arte e poesia a te connaturate.

    E cmq volevo intendere di "godere" lo scritto postato, di tenerlo a mente perchè è bello, non intendevo una seriosa comprensione scolastica :)

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  3. E' vero che la bellezza avvicina a Dio e all'assoluto, come questo post, bellissimo.
    Una cosa sola però vorrei precisare, che secondo me la bellezza non è solo armonia di forme e fatture che si vedono , ma deve venire anche da dentrom della serie "omnia munda mundi"
    Buona giornata piccolo filosofo grande

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