domenica 2 ottobre 2011

La femmina e l'esperto di musica


Ieri sera mi andava di scherzare e quindi mi son divertito a fare il critico musicale, l'intellettuale delle sette note con una tipa. Del resto quando incontro una stronzetta che non è degna di essere mia amica e non è possibile manco instaurare un raporto fisico che altro si può fare se non percularla? Ormai è lì, alla festa, e non potendo cacciarla o sopprimerla bevo tanto alcol e do libero sfogo allo spirito rabelaisiano che è in me tanto presente.
Volete provare anche voi? Volete ghignare vedendo come a un certo punto la ragazza, prima di svenire, segua il vostro discorso a bocca aperta?
Innanzitutto dovete usare paroloni, termini stranieri e concetti artistici così articolati che manco a decrittarli per due secoli si capirebbe qualcosa.
Dovete parlare di gruppi e di musicisti quanto più sconosciuti possibile (senza inventarli però, altrimenti rischiereste di fare la figura dei cazzari) e, tocco di classe, lanciarsi in un peana di un musicista degli anni 60/70 poco noto al grande pubblico che dichiarerete essere il vostro nume tutelare per quanto riguarda la musica.
Ok, questa è la teoria, ma siccome la teoria da sola non serve a niente vi posto un discorso che potrete tenere come facsimile.
Come consiglio preliminare vi dico di evitare di citare Battiato e il verso
Non sopporto i cori russi la musica finto rock la new wave italiana il free jazz punk inglese. Neanche la nera africana
della canzone Centro di gravità permanente. Non funziona.
Partite subito forte, mostrando come da soli vi siate costruiti la vostra cultura musicale e affinato il gusto in fatto di musica e musicisti.

A un certo punto pensai che la musica era una cosa troppo importante per me e così decisi di farmi una cultura musicale personale. Ho cominciato con il post rock, con canzoni che ricordano l'apice del jazzcore, con gruppi come Saccharine Trust, Universal Congress, the Ex; con pezzi di free-jazz e funk spruzzati in un contorto mix alla maniera di Captain Beefheart e Contortions e con musicisti quali il sassofonista Ken Vandermark , il trombonista Jeb Bishop e il violoncellista Fred Lomberg-Holm.
Ho sempre ascoltato musica che fosse come un tour de force di brutale e destrutturata musica strumentale che raggiunga il raro equilibrio fra l'accademico e l'emozionale, che spazia fra il jazz-rock di Canterbury ed il free-noise, facendone derivare un jazzcore cerebrale ed uno psicotico funk rock.
Preferisco un linguaggio musicale che attinga a fonti tanto spericolatamente diverse come il folklore delle fiabe, la pittura astratta di Jackson Pollock, l'associazione libera del surrealismo, le sinfonie di Charles Ives, le filastrocche dell'infanzia, van Gogh, il free-jazz, la musica dei commercial, il tutto contaminato dal blues del Delta, quello più ruvido e primitivo, come fondamenta e impalcatura dell’edificio artistico.
Il mio dio musicale, il mio Dioniso è Don Van Vliet un cantante, musicista e pittore statunitense, celebre con lo pseudonimo Captain Beefheart che fu tra i precursori e maggiori esponenti del rock sperimentale d'oltre oceano. Van Vliet che ha compiuto una prodigiosa operazione di abuso fisico e psicologico e psichedelico attingendo alle fonti più disparate e in particolare al blues, ottenendo l'equivalente musicale di una spaventosa deformazione visiva, una sorta di esagerazione demenziale dei dogmi artistici di surrealismo, dadaismo e cubismo.
Quella folle deformazione, quel "warping" spaziotemporale, quella prospettiva apocalittica e blasfema, Van Vliet ha fatto soprattutto leva sulla mostruosa apertura vocale che, come cantante, gli consente di impersonare personalità sempre diverse ed estreme (in un sublime atto di schizofrenia), anche all'interno dello stesso brano, e di visitare depressioni psichiche e stati di allucinazione con la delicatezza di un rinoceronte.
Mentre gran parte della musica rock assumeva una qualità "mitologica" che alla fin fine si riduceva a un'operazione sciamanica e taumaturgica nei confronti di una realtà angosciante, Van Vliet procedeva in direzione opposta, accentuando gli squilibri psichici causati da quella realtà, spingendoli all'eccesso della pazzia, cibandosene come un cannibale spirituale. Se il resto della musica rock metteva il cuore nella musica, Van Vliet ci metteva la mente, e non la mente razionale, bensì la mente istintiva e primordiale, la mente dilaniata dalle frustrazioni e dalle contraddizioni della società moderna, la mente del subconscio collettivo che si esprimeva per spasimi, ringhi, ruggiti e ululati, come un animale in gabbia.
Van Vliet stese un ponte ideale fra l'animale che si agita ancora dentro il nostro repertorio genetico e l'uomo sintetico del duemila.
La sua era una forma di iper-realismo innestata sulle ansie e fobie dell'era atomica, un iper-realismo che sfociava in una grottesca rappresentazione pagana di quell'era.
Ha adottato un numero impressionante di soluzioni d'avanguardia, l’acid jazz e, in particolare, lo sperimentalismo free che è il vero ispiratore dell'opera.

3 commenti:

  1. Carussmo, ti scrivo qui a riassunto di quello che ho letto da De Filippo in poi, la mia vita sta prendendo una piega che non ti dico e ho poco tempo..
    Bellissimo sempre leggerti per arguzia, ironia, fantasia e grande saggezza alla dine , fatta di esperienza e buon senso partenopeo filosofico.
    Il film di Polansku spro di vederlo anche io, grande spaccato delle nostre miserie egoiste, la storia dell'infelice nel var Gay è stupenda, il compleanno del Boss una bella lettura per sorridere amaro e la ritta sulla Bottega degli orrori, che conoscevo, da intenditore.
    Che dire di questo post? che se hai detto quello che hai scritto sei da sposare.
    Ti invidio, invidio le tue sinapsi... abbine cura.
    Un carissimo saluto

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  2. Lucina...ma che è successo? Mi fai stare triste.

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  3. Carissimo, non sono una che certe cose le dice in piazza, anche se nella tua piazza io ci sto bene quindi ti dico un paio di cose per tranquillizarti, te lo devo, siamo umani mica virtuali!.
    Niente di grave alla salute mia e dei mie cari, grazie a Dio, ma solo la fine di una cosa e di una parte della mia vita di quasi 42enne e l'inizio di un altra e paure connesse.
    In pubblico mi scoccia dire di più.
    Ma se vengo qui sorrido e questo è tanto per me.
    Grazie e non essere triste per me, sono i sorrisi che aumentano la possibilità che la Buonasorte si accorga di noi.
    Un caro saluto, di cuore.

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