mercoledì 28 dicembre 2011

Il TEMPO secondo Simone Weil


Simone Weil attirò subito la mia attenzione di giovane filosofo, non solo perchè era una delle pochissime donne incontrate durante lo studio della Storia della Filosofia, ma soprattutto per la sua peculiare biografia.
Mi limito a ricordare il suo periodo nelle frabbriche metallurgiche di Parigi, nel 1934-35, perchè voleva conoscere da vicino la condizione operaia e il fatto che nel 1936 si aggregò ai repubblicani anti-franchisti nella guerra civile spagnola.
Morirà giovanissima, a trentaquattro anni, nel 1943.
Stasera vi regalo un breve appunto sul tempo che trovo estremamente godibile da leggere e un ottimo punto di partenza per ulteriori speculazioni su uno dei temi più affascinanti per la mente umana.

Inizio
Il tempo è la preoccupazione più profonda e più tragica degli essere umani; si può persino dire, l’unica veramente tragica. Tutte le tragedie immaginabili si riducono a una sola e unica tragedia: il trascorrere del tempo. Il tempo è anche la fonte di tutte le schiavitù.
È la fonte del sentimento del nulla dell’esistenza, come Pascal ha sentito con molta profondità. È la fuga del tempo a far sì che gli uomini abbiano tanta paura di pensare. Il divertissement ha lo scopo di far dimenticare il corso del tempo. Si cerca di perpetuarsi lasciando dietro di sé delle cose, ma sono solo cose.
Si può concludere la parte iniziale dicendo che l’uomo ha una tendenza invincibile all’eternità.
C’è una contraddizione insolubile tra il pensiero umano, che non può mai fondarsi sul tempo (leggi scientifiche), e la vita umana.
Tutto ciò che è bello ha un carattere di eternità, come i sentimenti puri verso degli esseri umani: amore, amicizia, affetto (sentimento di Rodrigue per Chimène, di Polyeucte per Pauline, di Dante per Beatrice). Questi sentimenti non solo si considerano eterni, ma considerano eterno il loro oggetto. Dunque, non c’è niente in noi che non protesti contro il corso del tempo, e tuttavia tutto, in noi, è sottomesso al tempo.

Prima parte. Schiavitù del tempo

1) Il presente: che resterebbe del nostro pensiero se si sopprimessero tutti i pensieri che si riferiscono al futuro e al passato? Non resterebbe niente. Dunque, ciò che noi possediamo, il presente, è un nulla che passa immediatamente, che arriva alla coscienza solo allo stato di passato.
Quindi, per la legge del tempo, noi non abbiamo alcuna esistenza reale.
Questo carattere fuggevole del tempo è la causa del nostro sentire che la vita è un sogno, che il mondo esterno non esiste.
2) Il passato: si pensa il passato solo come esistente in qualche luogo dietro di noi. “Che rimane del bel tempo che fu?”. Il passato non esiste affatto. Il passato è irreparabile e, in quanto irreparabile, è fatale. L’idea che si ricava dal passato è l’idea della fatalità. (Cfr. Maine de Biran: “Io sono modificato”).
3) L’avvenire: si manifesta come caso, quindi anche come qualcosa di cieco.
Dunque, la nostra impotenza è completa: noi non possiamo niente sul presente perché esiste (dal momento che è presente, è un fatto); non possiamo niente sul passato perché non esiste più; non possiamo niente sull’avvenire perché non esiste ancora.
Si cerca di sfuggire al senso d’impotenza con il divertissement: vertigine della colpa, ricerca dell’ebbrezza (che la causa sia vile o nobile, si tratta di una rinuncia a sé).

Seconda parte. Tesi contraria

1) Il tempo è reale, è l’unica cosa reale perché, anche se pensiamo che il mondo sia un sogno, questo sogno è sempre sottomesso al corso del tempo. Dunque, il tempo deve essere la fonte di tutte le verità.
Kant: “Il tempo è a priori, e di conseguenza universale”.
Si tratta qui di superare un certo paradosso di Bergson: opposizione tra tempo e durata (forma e materia). Il tempo è astratto, la durata è concreta. Egli, però, confonde la forma e la materia. Il tempo è l’unica cosa veramente universale. Il tempo è la fonte di conoscenze a priori. (Ciò che è prima non può essere dopo. Il tempo è irreversibile. Tra due tempi c’è un’infinità di istanti intermedi, ecc.) È la prima cosa che ci dà l’idea del continuo.
2) Il tempo implica l’eternità.
Il rapporto tra passato e avvenire è un rapporto eterno; lo stesso trascorrere del tempo è eterno.
3) Il tempo, ridotto alla forma astratta dell’ordine, è all’origine di tutte le verità eterne.
4) L’idea stessa del tempo implica una certa presa sull’avvenire: idea di causalità che ha una grande importanza morale.

Terza parte. Impotenza e potenza dell’uomo. L’azione metodica trasferisce l’eternità nel tempo

Ci sono due atteggiamenti possibili.
Si può dunque lasciare scorrere il tempo (ad esempio, il bambino con il rocchetto) o sforzarsi di riempirlo, cosa che conferisce ai momenti che passano una valore eterno.
Se si concepisce la morte come un passaggio nell’eternità, bisogna necessariamente concepire che ci sia stato qualcosa di eterno nella vita. Cfr. Mallarmé: “Come in se stesso infine l’eternità lo cambia”.
Dunque, l’unico problema che si pone all’uomo è la lotta contro il tempo.

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