Fenomenologia di Mike Bongiorno è un breve e ormai celebre testo che Umberto Eco scrisse nel 1961 e che è ora compreso nella raccolta Diario minimo edita da Bompiani.
Innanzitutto lo scritto è diretto contro il personaggio Mike Bongiorno non contro la persona Mike Bongiorno e non poteva non essere così visto che si affrontano alcune tematiche inerenti un presentatore televisivo e in televisione ci son sempre e solo personaggi, mai persone.
Il ritratto di Eco è spietato ed è incentrato sull’everyman che Mike Bongiorno incarna e rappresenta. Ovviamente la parole di Umberto Eco possono e devono essere rapportate ai presentatori (Jerry Scotti, Giletti, Magalli…) e agli spettatori di oggi che in fondo, dopo cinquant’anni, non sono cambiati di molto. Si potrebbe dire che Bongiorno è la summa di quello strano personaggio che è il presentatore televisivo e tutti, chi più o chi meno, hanno molte “qualità” che aveva Mike.
Secondo Eco, Bongiorno deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta unita ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica: sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto. Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti.
Per quanto poi riguarda l’amore che Bongiorno sa suscitare nelle mamme, nelle signore in genere ciò deriva in parte al complesso materno che egli è capace di risvegliare, in parte alla prospettiva che egli lascia intravvedere di un amante ideale, sottomesso e fragile, dolce e cortese.
Poi Eco affronta il rapporto tra Mike Bongiorno e la cultura.
Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all’oscuro dei fatti, ma altresì decisamente intenzionato a non apprendere nulla. Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. Di costui pone tuttavia in luce le qualità di applicazione manuale, la memoria, la metodologia ovvia ed elementare: si diventa colti leggendo molti libri e ritenendo quello che dicono. Non lo sfiora minimamente il sospetto di una funzione critica e creativa della cultura.
L’ammirazione per la cultura sopraggiunge quando, in base alla cultura, si viene a guadagnar denaro. Allora si scopre che la cultura serve a qualcosa. Mike buongiorno ha una concezione piccolo borghese del denaro e del suo valore.
Mike Bongiorno accetta tutti i miti della società in cui vive: alla signora Balbiano d’Aramegno bacia la mano e dice che lo fa perché si tratta di una contessa… oltre ai miti accetta della società le convenzioni. È paterno e condiscendente con gli umili, deferente con le persone socialmente qualificate.
Per quanto riguarda il linguaggio, Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizione subordinate, riesce quasi a rendere invisibile la dimensione sintassi. Evita i pronomi, ripetendo sempre per esteso il soggetto, impiega un numero stragrande di punti fermi. Non si avventura mai in incisi e parentesi, non usa espressioni ellittiche, non allude, utilizza solo metafore ormai assorbite dal lessico comune. Il suo linguaggio è rigorosamente referenziale; non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo. Qualsiasi spettatore avverte che, all’occasione, egli potrebbe essere più facondo di lui.
(Umberto Eco, semiologo, scrittore, e chi più ne ha più ne metta)
Mike Bongiorno è privo di senso dell’umorismo. Ride perché è contento della realtà, non perché sia capace di deformare la realtà. Gli sfugge la natura del paradosso; come gli viene proposto, lo ripete con aria divertita e scuote il capo, sottintendendo che l’interlocutore sia simpaticamente anormale; rifiuta di sospettare che dietro il paradosso si nasconda una verità, comunque non lo considera come veicolo autorizzato di opinione. Insomma, soffre di un esasperato conformismo.
Evita la polemica, anche su argomenti leciti. Non manca di informarsi sulla stranezza dello scibile; ricevuta la spiegazione non tenta di approfondire la questione, ma lascia avvertire il suo educato dissenso di benpensante. Rispetta comunque l’opinione dell’altro, non per proposito ideologico, ma per disinteresse.
Porta i clichés alle estreme conseguenze.
Ovviamente non può mancare un accenno alle gaffes per cui Mike era famoso. La gaffe nasce sempre da un atto di sincerità non mascherata; quando la sincerità è voluta non si ha gaffe ma sfida e provocazione; la gaffe in cui Bongiorno “eccelle” nasce proprio quando si è sinceri per sbaglio e per sconsideratezza. Quanto più è mediocre, l’uomo mediocre è maldestro. Mike Bongiorno lo conforta portando la gaffe a dignità di figura retorica, nell’ambito di una etichetta omologata dall’ente trasmittente e della nazione in ascolto.
Il saggio si conclude così:
Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti.
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