mercoledì 30 maggio 2012

Cecco Angiolieri è stato punk 7 secoli prima di Johnny Rotten

Cosa fa un poeta? ...quia fuit inventus de nocte post tertium sonum campane Comunis...
Immagino Cecco Angiolieri insofferente verso il padre banchiere del papa Gregorio IX; immagino Cecco costretto a vivere quella vita borghese, insofferente verso obblighi ed etichette.
Immagino Cecco costretto a partecipare a guerre di cui non gliene fregava un cazzo. Fu multato più volte per essersi allontanato dal campo senza permesso. Nel 1282 fu multato per ben tre volte, una delle quali perché trovato a vagabondare di notte dopo il coprifuoco. Nel 1291 fu implicato in un’oscura vicenda, il ferimento di un certo Dino di Bernardo da Monteluco, con la complicità di un calzolaio, Biccio di Ranuccio; soltanto quest’ultimo, però, ebbe la condanna.
Nel 1302 vendette per 700 lire una sua vigna. Scopava come un riccio ed ebbe molti figli.
La morte può venir localizzata attorno al 1312: nel febbraio di quell’anno, infatti, i suoi numerosi figli rinunciarono alla scarsa eredità perché già gravata dai debiti; e nel marzo del 1313 dovettero rassegnarsi a pagare una somma che Cecco doveva al Comune.
Ha vissuto come un poeta, Cecco. Libero, scapestrato, rissoso, prodigo ogni oltre limite - fuori dagli schemi.
Godiamoci il sonetto “S’ì’ fosse foco” a cui premetto la spiegazione professorale (per chi fosse interessato).

Il più angiolieresco sonetto di Cecco, che tanto contribuì a formare di lui la falsa immagine romantica di un “poeta maledetto”, è in realtà fra i migliori esempi della realizzazione dello “stile comico” in modi letterari abilissimi. Ma v’è anche l’innegabile inclinazione di Cecco allo scherzo da taverna, pronto a degenerare in rissa; la sua insofferenza corrucciata e irridente; la sua passione per la parodia scritta sul serio; il suo temperamento poetico, insomma.
Non c’è frattura tra la chiusa e il resto del sonetto: se non nel modo a lui abituale, di “sorpresa” epigrammatica e irriverente, per scandalizzare i benpensanti e divertire gli amici. Effetti ed immagini, così vivaci nel ritmo e nelle simmetrie, sono di un gusto tutto medioevale; così come medioevali sono gli elementi, acqua e fuoco, papa e imperatore, giovani e vecchie: un contrasto realistico, ma insieme stilizzato, metafisico, inevitabile. La luce è diversissima, diversissimo l’animo; ma queste sono le gerarchie, questi sono i gironi, i sorprendenti ordini strutturali dell’Inferno di Dante.
LXXXVI

S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempesterei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;
s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo,
ché tutti cristiani imbrigherei;
s’ì’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
A tutti mozzarei lo capo a tondo.
S’ì fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente farìa da mi’ madre.
S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
e vecchie e laide lasserei altrui.

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