(David Harvey di cui prossimamente discuterò l'opera L'enigma del capitale)
Esistono diversi modelli per spiegare la crisi che c’ha colpito ed è interessante capire di che genere sono.
Il primo genere fa riferimento alla fragilità umana. È il modello usato da Alan Greenspan, economista americano, ex presidente della Federal Reserve. La crisi fa parte della natura umana, ci dice, e non possiamo farci nulla. Ma esiste un intero mondo di spiegazioni simili che associano la crisi all’istinto predatorio, all’istinto del controllo, alla delusione degli investitori, all’avidità e così via. Questa linea di ragionamento è molto diffusa perché si tratta di fattori che regolano la vita quotidiana di Wall Street; quindi, possiamo immaginare che queste spiegazioni contengano una buona parte di verità.
Il secondo genere ci dice che ci sono state delle mancanze da parte delle istituzioni; i regolatori si sono addormentati nella stanza dei bottoni, il sistema bancario si è modificato senza che loro se ne accorgessero, ecc. ecc. E quindi le istituzioni devono essere ristrutturate, ci deve essere uno sforzo globale del G20 o di consessi del genere; insomma, se si guarda al sistema istituzionale, non si può che constatarne il fallimento e decidere di ristrutturarlo.
Un terzo genere sostiene che tutti si sono fissati su una falsa teoria. Hanno letto troppo Hayek e creduto nell’efficienza del mercato ed è ora di ritornare a qualcosa tipo Keynes e di riprendere sul serio la teoria di Minsky sulla instabilità intrinseca delle attività finanziarie.
(Hyman Minsky e la teoria dell'instabilità intrinseca delle attività finanziarie)
Per un altro genere ancora, la crisi ha origini culturali. Non è molto diffuso negli Stati Uniti, ma in Francia e in Germania sono in molti a dire: “Questo è un male anglosassone che non ha nulla a che fare con noi”. E quando sono stato in Brasile, Lula diceva qualcosa tipo: “Grazie a Dio finalmente gli Stati Uniti sono puniti dal Fondo Monetario Internazionale. Noi ci siamo passati otto volte negli ultimi venticinque anni e ora tocca a loro”. “Fantastico!”, diceva Lula… ed intanto gli Stati Uniti dicevano: “Stavolta colpirà te più che noi”. E così è successo e all’improvviso la musica è cambiata.
Comunque c’è una tendenza a riconsiderare gli aspetti culturali come è avvenuto nel caso della Grecia dove la stampa tedesca ha scritto: “È colpa del carattere greco, dei difetti del carattere greco” e tutta una serie di schifezze di questo tipo. Insomma, gli aspetti culturali sono diventati parte del discorso sulla crisi. Ad esempio, per gli Stati Uniti si è parlato della passione per la casa di proprietà considerato un valore culturale profondo per il fatto che il 68% delle famiglie statunitensi sono proprietarie della loro casa, contro il 22% in Svizzera. Questo supposto valore culturale degli Stati Uniti è stato sostenuto dalla deduzione fiscale degli interessi dei mutui. Si tratta di un enorme sussidio introdotto negli anni ’30, sulla base della teoria che i proprietari di casa, con un debito che incombe, non entrano in sciopero.
Infine, c’è l’idea che ci sia stata una mancanza di politiche e che quindi spetta alla politica oggi intervenire. Sta emergendo una strana alleanza tra Glenn Beck della Fox News e la Banca Mondiale. Entrambi dicono che il problema è che c’è troppa regolazione del tipo sbagliato.
Ci sono tutti questi modi di spiegare la crisi, quindi, e ognuno di loro contiene una certa parte di verità.
Qualsiasi bravo saggista può prendere l’una o l’altra di queste idee, costruire la storia e scrivere un intero libro su di essa.
Io mi sono chiesto: che tipo di storia potrei scrivere che sia plausibile, ma diversa da tutte quelle che abbiamo raccontato? (che poi è quello che mi chiedo sempre).
Non è difficile da fare, in particolare se si fa da una prospettiva marxista perché non sono in molti a fare questo tipo di analisi.
Un’idea mi è venuta da quello che è successo alla London School of Economics quando un anno e mezzo fa sua maestà la regina ha chiesto agli economisti: “Come mai non vi siete accorti di quello che stava per succedere?” (non ha detto proprio così; è giusto per rendere l’idea)
Loro si sono molto agitati. La regina, allora, ha telefonato al governatore della Banca d’Inghilterra e gli ha chiesto: “Come mai non te ne sei accorto?” Allora l’Accademia Britannica è venuta fuori con un’incredibile lettera scritta dagli economisti alla regina: “La cosa ci ha stupito molto. Un sacco di gente zelante, intelligente, preparata, ha dedicato la sua vita allo studio con grande serietà, ma ci siamo dimenticati di un aspetto: il rischio sistemico”. E lei: “Che cosa?”
Ora non vi parlerò della politica del Nilo e di cose simili. Il rischio sistemico ha a che vedere con la contraddizione interna dell’accumulazione capitalista. E io mi sono detto che forse avrei dovuto scrivere qualcosa sulla contraddizione interna dell’accumulazione capitalista, di capire il ruolo della crisi nella storia del capitalismo e che cosa c’è di speciale nella crisi in cui ci troviamo ora.
Mi hanno detto che ci sono due modi per leggere la crisi attuale: uno, è di guardare a cosa è successo dal 1970 ad oggi. Ne viene fuori che la forma della crisi attuale è per molti versi determinata da come siamo usciti dalla crisi precedente. Il problema negli anni ’70 era che il lavoro aveva un potere eccessivo rispetto al capitale, quindi la soluzione è stata quella di punire il lavoro e sappiamo come è stato fatto: con la delocalizzazione, gli off shore, con la Thatcher e Reagan, con la dottrina neo liberista – è stato fatto in molti modi diversi.
A metà degli anni ’80, la questione del lavoro era stata essenzialmente risolta nel senso che tutti i capitalisti avevano ormai accesso al mercato mondiale del lavoro. Nessuno, nella situazione attuale, dice che è colpa dell’avidità dei sindacati o che il potere del lavoro è eccessivo… al contrario, si dice che è il capitale ad avere un potere eccessivo e in particolare il capitale finanziario che è la radice del problema.
Ma come è successo? Bene, negli anni ’70 siamo entrati in una fase di regressione dei salari. La quota di salari sul totale delle entrate nazionali nei paesi dell’OCSE è costantemente diminuita persino in Cina, ovunque. Così, viene fuori che la recessione è stata pagata dai salari; ma i salari sono anche i soldi con cui si comprano i beni per cui, se diminuiscono i salari, ci si ritrova con il problema di capire da dove può venire la domanda. La risposta è stata: bene, ci sono le carte di credito. Così si è superato il problema della domanda reale pompando l’economia del credito. Le famiglie americane, inglesi, le famiglie in molte parti del mondo negli ultimi venti/trent’anni si sono indebitate e una larga parte di questo debito è stato contratto nel mercato della casa.
Qui, interviene la teoria che dice: il capitalismo non risolve mai le sue crisi, le sposta da un luogo all’altro.
E quello a cui assistiamo oggi è un movimento geografico del debito. Tutti dicono: “Ok, ci sono inizi di ripresa negli Stati Uniti” e la Grecia esplode. E tutti si chiedono: “Che ne è dei pix?”
(Marx, sempre indispensabile per capire la nostra era capitalista)
È interessante; abbiamo una crisi finanziaria che abbiamo quasi risolto per metà, ma a spese di una crisi del debito pubblico.
Se guardiamo al processo di accumulazione del capitale, vediamo un certo numero di limiti e di barriere. E Marx, nei Grundrisse, spiega che il capitale non può sopportare un limite, lo deve trasformare in una barriera e cercare di aggirarlo per trascenderlo. E quando guardiamo al processo di accumulazione, cerchiamo di capire dove possono essere le barriere e i limiti.
Il modo più semplice per spiegare questo è che il tipico processo di accumulazione funziona così: si inizia con dei soldi, si va al mercato e si compra lavoro e mezzi di produzione. Quindi, li si mette all’opera con una data tecnologia e una data organizzazione, si crea una merce, la si vende e si ricava il denaro originario più un profitto. A questo punto, si prende una parte del profitto e lo si ricapitalizza per espandersi. Ora ci sono due cose da dire: una, è che esistono una serie di barriere. Come ha fatto il denaro a mettersi insieme e andare al posto giusto, nel momento giusto e nella giusta quantità? E questo fa escludere che la finanza sia ingenua.
Per cui l’intera faccenda del capitalismo ha a che vedere con l’innovazione finanziaria. L’innovazione finanziaria ha anche la capacità di rendere più potenti i finanzieri e l’eccessivo potere dei finanzieri fa sì che questi diventino avidi. Su questo non c’è dubbio.
Se si guarda ai profitti dei finanzieri negli Stati Uniti, questi sono cresciuti così tanto negli anni ’90 che sono arrivati fin qui, mentre i profitti degli industriali sono scesi. Potete vedere il disequilibrio nel Regno Unito. Il modo con cui la città di Londra si è sviluppata contro l’industria manifatturiera dal 1950 in poi ha avuto implicazioni molto serie per l’economia del paese. L’industria viene distrutta per fare contenti i finanzieri.
Ogni persona di buon senso, ora, dovrebbe entrare in un’organizzazione anticapitalista e lo dovete fare perché altrimenti la cosa andrà avanti e continueranno anche tutti i vari aspetti negativi. Per esempio, l’accumulazione della ricchezza. Ci si sarebbe aspettati che la crisi l’avrebbe fermata, invece l’anno scorso in India c’erano più miliardari che mai – sono raddoppiati in un anno!
La crescita della ricchezza dei ricchi si è accelerata. L’anno scorso i maggiori possessori di hedge funds hanno ricevuto una remunerazione personale di 3 miliardi. Ora, io pensavo che fosse osceno e folle già qualche anno fa quando presero 250 milioni, ma ora hanno preso 3 miliardi!
Questo non è il mondo in cui voglio vivere e se neppure voi ci volete vivere, siete miei ospiti. Io non so come discutere e dibattere su questo, non ho la soluzione. So qual è la natura del problema e bisogna che ci prepariamo ad avere una vera e ampia discussione e prendiamo le distanze dal tipo di questioni che normalmente fanno parte delle campagne politiche tipo: ogni cosa andrà bene se l’anno prossimo voterete per me. Quelle sono PUTTANATE, voi dovete sapere che sono PUTTANATE e dirlo. Noi abbiamo un compito in quanto accademici seriamente impegnati nel mondo: cambiare il nostro modo di pensare.
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