Nel 1781 comparve sulla scena filosofica un’opera che segnò per sempre una linea di confine. La filosofia non sarebbe più stata la stessa e ogni pensatore avrebbe dovuto confrontarsi con essa.
Sto parlando della Critica della ragione pura, che uscì a Riga nel 1781. Autore: Immanuel Kant.
La prima pagina della Critica della ragione pura, che posterò di seguito, delinea già il programma filosofico kantiano.
Protagonista dell’opera è la ragione umana. Ragione umana non alle prese con fatti empirici, con le esperienze di tutti i giorni; ma, quando essa va oltre (“meta”) i fatti empirici (“fisici”) producendo quindi enunciati metafisici. È la ragione umana metafisica che Kant si propone di “criticare”.
Il verbo criticare, in questo contesto, non ha la valenza che siamo soliti dargli, non significa riportare pareri negativi, bocciare, contestare, ecc. Critica qui va inteso nel senso greco di κρὶνω, cioè un esame circostanziato della ragione che ne valuti la capacità, le pretese, il potere, la funzione, il tutto dal punto di vista della ragione pura, cioè la ragione che non si affida all’esperienza ma va oltre. (quindi la ragione “purificata” dai meri dati empirici)
Come dice l’ultimo rigo, la metafisica è un campo di battaglia e Kant vi entra come un bulldozer con la sua Critica. Quello che seguirà è uno spettacolo speculativo terribile, difficile ma con un fascino senza limiti. È un libro infernale, un libro da diventare matto, insomma la goduria è infinita.
Ne parlerò ancora, per ora cominciamo a leggerne la prima pagina.
In un genere delle sue conoscenze, la ragione umana ha il particolare destino di venire assediata da questioni, che essa non può respingere, poiché le sono assegnate dalla natura della ragione stessa, ma alle quali essa non può neppure dare risposta, poiché oltrepassano ogni potere della ragione umana.
Essa incorre in questo imbarazzo senza sua colpa.
Muove da proposizioni fondamentali, il cui uso è inevitabile nel corso dell’esperienza, ed insieme è da questa sufficientemente convalidato. Con tali proposizioni essa sale sempre più in alto (come in verità richiede la sua natura), a condizioni più remote. Ma poiché si accorge, che a questo modo la sua attività deve rimanere ognora senza compimento, essa si vede allora costretta a rifugiarsi in proposizioni fondamentali, che oltrepassano ogni possibile uso di esperienza e nondimeno sembrano tanto superori ad ogni sospetto, che anche la comune ragione umana si trova d’accordo su di esse. Così facendo tuttavia essa cade in oscurità e contraddizioni, dalle quali a dire il vero può inferire, che alla base debbono sussistere da qualche parte errori nascosti; essa non può tuttavia scoprirli, poiché le proposizioni fondamentali, di cui si serve, non riconoscono più alcuna pietra di paragone nell’esperienza, dal momento che oltrepassano il confine di ogni esperienza.
Ebbene, il campo di battaglia di questi contrasti senza fine si chiama m e t a f i s i c a.
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