(un filosofo postmoderno viene fucilato da un plotone di filosofi realisti)
Non seguo nessun maestro di pensiero, odio i guru, i capi carismatici e altra gentaglia.
Non appartengo a nessuna scuola, non ho mai fatto lo zerbino di nessun professorone, non ho mai creduto né mi sono mai piaciuti gli –ismi, gli –isti e tutte le etichette della minchia. Ho fatto tutto il possibile per uscire al più preso da qualsiasi discepolato. I maestri cercano seguaci, cioè cercano zeri e io uno zero non sono. Ho il mio gusto e il mio cervello, non mi comanda nessuno e a tutti i maestri, i professori e gli insegnanti ho sempre mostrato il dito medio quando si pigliavano un’eccessiva confidenza o esageravano nel volermi influenzare.
Io sono Ingestibile, lascio fare i i coglioni boccaloni ad altri.
Non capisco la gente che dedica la vita a un solo pensatore, quelli che si consacrano ad un solo filosofo, insomma quelli che per forza devono avere un Cristo da adorare e un Vangelo da leggere.
Ma che senso ha?
Mi si potrebbe dire che così va il mondo accademico, che la cultura funziona così, l’università, gli studi, le monografie…ma sticazzi!
Io leggo ciò che mi pare e tutto quel che mi pare. Leggo Kant senza essere kantiano, Nietzsche senza essere nicciano, Sartre senza essere esistenzialista ecc. ecc. Io svario da Eraclito e Parmenide a Platone e Aristotele, da Giordano Bruno e Cartesio a Leibniz e Hegel, da Marx e Stirner a Foucault e Deleuze e molti, molti altri ancora.
In questi giorni ho letto che sono stati condannati due metodologie di pensiero: l’ermeneutica e il pensiero postmoderno che hanno avuto una certa popolarità negli ultimi decenni, mentre si inneggiava al realismo come pensiero filosofico da preferire e coltivare in questi tempi così difficili.
Io me la spasso troppo a seguire queste diatribe tra vecchi filosofanti, alla fine della lettura mi ritrovo sempre a ghignare e a sussurrare quasi tra me e me un bel emmecojoni!
Comunque veniamo a noi e vediamo un po’ il perché di questo ostracismo filosofico.
Il pensiero postmoderno, si dice, non è che è fallito, ma si è realizzato troppo bene, e in maniera perversa, cioè contraria alle intenzioni dei suoi teorizzatori filosofici. L’idea era che la decostruzione di una realtà piena di costruzioni sociali sarebbe risultata emancipativa.
Il risultato, però, è stato il realitysmo mediatico (e poi non dite che non vi faccio divertire con queste buffissime espressioni), dove l’ironia e la critica dell’oggettività non sono emancipazione, ma oppressione. Il risultato sono state guerre scatenate sulla base di menzogne, crisi economiche prodotte da una finanza creativa che non faceva differenza tra realtà e immaginazione, e, nel minimo farsesco, Berlusconi che si inventa nipoti di Mubarak. Bisogna, si dice, riconoscere l’arco che dal postmoderno conduce al populismo.
Ecco, io non sono un pensatore postmoderno, il solo nome “pensiero debole” mi fa cacare, ma imputare al postmoderno la nascita dei reality show e della tv di merda, le guerra contro Saddam e l’avvento di Berlusconi in politica mi pare proprio ‘na strunzat’.
Occupiamoci ora dell’ermeneutica.
Nessun filosofo realista nega l’importanza dell’ermeneutica nelle pratiche sociali e conoscitive. Quello che appare inaccettabile è la formulazione di Nietzsche: “Non ci sono fatti, solo interpretazioni”. Perché anche qui, sulle prime appare come una grande promessa di emancipazione, l’idea di una umanità che si libera dalle ombre della caverna platonica, dai falsi idoli e dalle illusioni. Ma poi si rivela per quello che è, un perfetto strumento reazionario, la traduzione filosofeggiante e scettica del “La ragione del più forte è sempre la migliore”, l’idea che chi ha il potere, per ingiusto e disumano che sia, può imporre le sue interpretazioni, con la forza dei suoi avvocati o dei suoi eserciti o dei suoi soldi. Immaginate, si dice, un tribunale in cui, invece che “La legge è uguale per tutti”, trovaste scritto “Non ci sono fatti, solo interpretazioni”. Ci sarebbe certo da aver paura, ci sentiremmo peggio di Josef K. de Il processo di Kafka. C’è un filo continuo che dal disprezzo dei fatti, dal considerarli banali e modificabili, porta alla negazione dei fatti. “Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni” significa, se le parole hanno un senso, che anche Auschwitz è solo una interpretazione.
Io non sono un ermeneuta, ma tutta sta tiritera sul “Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni” va fuori strada. Non c’entra una beata fava tutto ciò con Nietzsche e il suo pensiero.
Vabbè, vorrà dire che nei prossimi post mi dovrò occupare di questa presunta vera e vincente filosofia realista e ristabilire la verità storica e filosofica della frase nicciana.
Au revoir.
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