Mi sto letteralmente innamorando dei pensieri della filosofa ebrea francese Simone Weil (1909-1943) e dopo averne letto le Lezioni di filosofia (ed. Adelphi), sono alle prese con l’opera Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale.
Le Riflessioni furono scritte nella prima metà degli anni ’30, ma uscirono postume solo nel 1955.
Oggi parlo solo dell’incipit; il prossimo post, invece, sarà dedicato alla Critica marxista.
Le prime parole sono dedicate al presente dove io ho ritrovato la medesima “condizione emotiva” di cui parla Weil.
Il presente è uno di quei periodi in cui svanisce quanto normalmente sembra costituire una ragione di vita e, se non si vuole sprofondare nello smarrimento o nell’incoscienza, tutto va rimesso in questione.Tutto va rimesso in questione, mi sembra un’ottima parola d’ordine per il nostro presente e forse per il presente di tutti i tempi. Una scossa per ripartire, per non abbattersi e per non precipitare in una micidiale accidia.
Altro punto estremamente attuale riguarda il lavoro che è uno degli argomenti più dibattuti e discussi in assoluto e uno dei pensieri, o meglio ossessioni, costanti di tutti noi.
Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utili, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, un privilegio dal quale si escludono parecchi esseri umani per il fatto stesso di goderne, in breve un posto.Non serve aggiungere altro.
Poi Simone fa un accenno al rapporto problematico che si è instaurato, a partire dal Novecento, tra il progresso tecnico e la fede in esso da parte degli industriali, progresso che ha apportato alle masse, in luogo del benessere, la miseria fisica e morale.
È messo in questione anche il progresso scientifico. A cosa può servire, si chiede Weil, accatastare ulteriormente conoscenze su un ammasso già fin troppo vasto per poter essere abbracciato dal pensiero stesso degli specialisti? L’esperienza mostra che i nostri antenati si sono ingannati credendo nella diffusione dei lumi, poiché non si può divulgare fra le masse che una miserabile caricatura della cultura scientifica moderna, caricatura che, lungi dal formarne la capacità di giudizio, le abitua alla credulità.
La prima parte dell’incipit si chiude con queste parole:
…la vita familiare è diventata solo ansietà, a partire dal momento in cui la società si è chiusa ai giovani. Proprio quella generazione per la quale l’attesa febbrile dell’avvenire costituisce la vita intera vegeta in tutto il mondo con la consapevolezza di non avere alcun avvenire, che per essa non c’è alcun posto nel nostro universo. Del resto questo male, al giorno d’oggi, se è più acuto per i giovani, è comune a tutta l’umanità. Viviamo un’epoca priva di avvenire. L’attesa di ciò che verrà non è più speranza, ma angoscia.La seconda parte dell’incipit è dedicata a una parola magica che sorregge, come una stampella, molte persone alleviandone le pene: rivoluzione.
Da oltre un secolo, scrive la Weil, ogni generazione di rivoluzionari ha di volta in volta sperato in una rivoluzione prossima; oggi [ed è il cambiamento da analizzare], questa speranza ha perso tutto ciò che poteva servirle di supporto. Né al regime nato dalla rivoluzione d’Ottobre, né nelle due Internazionali, né nei partiti socialisti o comunisti indipendenti, né nei sindacati, né nelle organizzazioni anarchiche, né nei piccoli gruppi di giovani sorti in così gran numero negli ultimi tempi è possibile trovare qualcosa di vigoroso, di sano o di puro [bè, basterebbe pensare agli anni di piombo…]; già da molto tempo la classe operaia non dà alcun segno di quella spontaneità sulla quale contava Rosa Luxemburg, e che sempre del resto, quando si è manifestata, è stata subito annegata nel sangue; le classi medie sono sedotte dalla rivoluzione unicamente quando essa è evocata, a fini demagogici, da apprendisti dittatori [o gli imbonitori televisivi piduisti].
Infine, la Weil ha un dubbio estremamente stuzzicante su capitalismo e rivoluzione:
…il primo dovere che il presente ci impone è di aver sufficiente coraggio intellettuale per domandarci se il termine rivoluzione è altro che una parola, se ha un contenuto preciso, se non è semplicemente una delle numerose menzogne suscitate dal regime capitalista nel suo sviluppo e che la crisi attuale ci aiuta a dissipare.Spero di aver suscitato curiosità per queste Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, perché questo è il mio obiettivo.
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