sabato 16 giugno 2012

23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo



Sto leggendo, sempre seguendo il mio personale disegno delle “sedicimila frecce”, 23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo di Ha-Joon Chang.
Quali sono queste 23 questioni che gli economisti i politici i giornalisti economici e i finanzieri ci tengono per lo più nascoste e che Chang ci vuole aiutare a capire? Senza contare che anche senza l’influenza diretta di questi personaggi, anche noi abbiamo i nostri preconcetti e pregiudizi economici da sfatare.
Ecco i 23 punti:
1) Il libero mercato non esiste
2) Le aziende non vanno gestite nell’interesse degli azionisti
3) Nei Paesi ricchi la maggior parte della gente viene pagata più di quanto dovrebbe
4) La lavatrice ha cambiato la vita più di internet
5) Aspettati il peggio e otterrai il peggio
6) La maggiore stabilità macroeconomica non ha reso l’economia mondiale più stabile
7) Le politiche liberiste raramente rendono ricchi i Paesi poveri
8) Il capitale ha nazione
9) Non viviamo in un’epoca postindustriale
10) Gli Stati Uniti non hanno il tenore di vita più alto del mondo
11) L’Africa non è destinata al sottosviluppo
12) Gli Stati sanno puntare su imprese vincenti
13) Rendere i ricchi ancora più ricchi non rende tutti più ricchi
14) I manager americani [cioè tutti i manager] sono pagati troppo
15) I Paesi poveri sono più intraprendenti di quelli ricchi
16) Non siamo abbastanza intelligenti da lasciar fare al mercato
17) Più istruzione non rende un Paese più ricco
18) Quello che è buono per la General Motors non è sempre buono per gli Stati Uniti [mutatis mutandis la Fiat per l’Italia, ecc.]
19) Malgrado la caduta del comunismo viviamo ancora in economie pianificate
20) L’uguaglianza di opportunità può non essere equa
21) Uno stato sociale generoso rende la gente più aperta al cambiamento
22) I mercati finanziari devono diventare meno efficienti
23) Una buona politica economica non ha bisogno di bravi economisti
A questi, Chang aggiunge una Conclusione intitolata Come ricostruire l’economia mondiale.
Ed ora diamo un’occhiata alle questioni più importanti che approfondiremo nei prossimi post.
Una volta capito che il libero mercato non esiste, non ci si farà più ingannare da chi si oppone a ogni regola in base all’idea che lo renderebbe “non libero” (punto 1). Scoperto che uno Stato forte e attivo può promuovere anziché soffocare il dinamismo economico, ci si accorgerà che la sfiducia generale nei suoi confronti è infondata (punti 12 e 21). La consapevolezza di non vivere in un’economia postindustriale indurrà a chiedersi se sia saggio trascurare, quando non implicitamente augurarsi, il declino industriale di un Paese, come alcuni governi hanno fatto (punti 9 e 17). Quando ci si rende conto che la trickle-down economics (ossia l’idea che i poveri possano arricchirsi “per osmosi” in un sistema che agevola i ricchi) non funziona, si vedono i tagli alle tasse dei più abbienti per quello che sono: una semplice redistribuzione di reddito verso l’alto, piuttosto che un modo per renderci tutti più ricchi, così come promesso (punti 13 e 20).
Quanto successo all’economia mondiale non è accaduto per caso, né è il risultato dell’incontrastabile spinta della storia. Non è per via di una ferrea legge di mercato che i salari sono rimasti fermi e le ore di lavoro aumentate per gran parte delle persone, o che i redditi di amministratori delegati e banchieri sono cresciuti in modo esponenziale (punti 10 e 14). Non è semplicemente a causa dell’inarrestabile progresso delle tecnologie delle comunicazioni e dei trasporti che siamo esposti alle forze crescenti della concorrenza internazionale e dobbiamo preoccuparci della sicurezza del posto di lavoro (punti 4 e 6). Non era inevitabile che negli ultimi trent’anni il settore finanziario si distaccasse sempre di più dall’economia reale, provocando quella catastrofe in cui ci troviamo oggi (punti 18 e 22). E, soprattutto, non è a causa di qualche immutabile fattore strutturale – il clima tropicale, la posizione sfavorevole o la cultura mediocre – che i paesi poveri sono poveri (punti 7 e 11).

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