giovedì 7 giugno 2012

Carattere filosofico e carattere pessimista


(nel frattempo suona il Live in Pompei dei Pink Floyd)
La Critica della ragione pura tratta di un animale domestico: l’uomo tra le sbarre delle rappresentazioni.
Sto leggendo con grandissimo diletto e profitto La conoscenza del peggio (che potrei definire succintamente “un trattato filosofico sul pessimismo”) di Manlio Sgalambro e oggi voglio parlare del capitolo X Carattere filosofico e carattere pessimistico dove mi hanno incatenato dal piacere i pensieri sul carattere del ‘borghese’ e sul carattere del ‘cittadino’.
Da sempre mi interessa il concetto di “carattere”; ricordo la divertente e precoce lettura dei Caratteri di Teofrasto e vari aforismi, su cui poi rimuginavo, dei moralisti francesi La Rochefoucauld, La Bruyère, La Fontaine e Chamfort.

“O si ha carattere o non lo si ha”: qui Kant fa dell’antropologia. Ma queste parole già lasciano intravedere l’enigma del carattere.
“Che il fondamento insolubile del mondo e il mistero del carattere abbiano “una oscura radice comune”, ecco una intuizione chiaramente enunciata da Kant” scrive Rosenzweig nella Stella della Redenzione.
‘Pessimista’, ad esempio, è un carattere o l’antipode di ogni carattere? Sta, cioè, nel suo mistero? In ogni caso, l’individuo vi si rinchiuse come in un munito castello. Prima che ciò avvenisse completamente, nel carattere s’era visto qualcosa di maleodorante. Dal dissimulatore allo stupido, dall’impudente al brutale, Teofrasto vede in una individualità appena più accentuata già un difetto.
I caratteri di La Bruyère oscillano tra virtuosi impudenti e malvagi inutili. L’analisi dei moralisti faceva a pezzi ogni individuo alla scoperta del mistero. In realtà non si sapeva dire di un individuo se non che era ‘furbo’ o ‘ingenuo’ o ‘meschino’, ‘spilorcio’ o ‘spaccone’ … Fin quando non si scoprì, o si credette, il carattere dei caratteri. Era: ‘borghese’. Di norma costui ha in sospetto ciò che non si può dire. Mentre con quel termine egli dice di sé più di tutto ciò che fino a quel momento si era potuto sapere su di lui.
“Non ho mai avuto né mai perseguito” confessa nei suoi ultimi anni Theodor Mommsen “una posizione politica e un’influenza politica; ma nel mio essere più interiore ho desiderato essere un borghese”. Con ‘borghese’ quindi si intendeva ormai un ‘carattere’, o, come si è precisato il carattere dei caratteri.
Per Léon Bloy è pacifico che ‘borghese’ riassume tutte quella caratteristiche (maleodoranti, si è detto) che i moralisti avevano scovato nell’individuo. Basta consultare la Esegesi dei luoghi comuni per vedere che in merito egli è arrivato infinitamente più lontano del solito Nietzsche. “Il vero borghese … in un senso moderno e il più generico possibile è l’uomo che non fa assolutamente uso della facoltà di pensare e che vive o sembra vivere senza essere sollecitato almeno per un giorno dal bisogno di capire un accidente”. Qui non vi è la condanna usuale del borghese. Ma la descrizione, appena appena enfatica, del carattere borghese o, come preferiamo dire, del borghese come carattere. Come compendio di tutti i caratteri, e cioè di tutte le limitazioni, il ‘borghese’ è il compendio delle limitazioni dell’individuo. Tuttavia sotto il peso della sua stessa oppressione il carattere borghese si sfalda. Dalla manica del prestigiatore compare il ‘cittadino’. Al primo sguardo, essere cittadino non si presenta come un ‘carattere’. Ma sarebbe fermarsi troppo presto.
Quando l’uomo venne definito zoon politikon si credette di definirne l’essenza. E se si fosse trattato invece solamente di un ‘carattere’? Se l’uomo fosse solo un animale socievole? La socievolezza è l’impulso ad associarsi senza alcuno scopo. Esistono dunque solo uomini socievoli ma non ‘animali politici’? Ritorniamo alla condizione di cittadino intesa come un carattere. Anzi come il carattere dei caratteri, al posto di quello di ‘borghese’, che crolla sotto il peso delle sue infamie. Ma nello stesso tempo la condizione di cittadino che, volente o nolente, eredita dal borghese meriti e demeriti presto gli sarà buttata in faccia. Buon cittadino, padre encomiabile, onora i suoi debiti e i suoi debitori, vota per la libertà: non è il borghese fatto e sputato?

(interessante Léon Bloy ... qui sembra un po' il nonno di Nietzsche)

Sempre Léon Bloy: “Onorare le canaglie che possiedono denaro o autorità è la legge della coscienza borghese. Ma fare onore alla propria firma o agli affari è un testo difficile. So quanto voi che, in una lingua inintelligibile ai puri spiriti, significa pagare una cambiale, un assegno o simili porcherie. So anche che un tenutario di bordelli, un avvelenatore della gente, un usuraio … fanno onore ai loro affari quando pagano esattamente le loro scadenze … Ebbene?”
Il cittadino è già oltre la pruderie sull’onore di mogli e figlie. Egli, laico, onora assegni e cambiali. Non mogli e figli. “Il primo dovere del cittadino”, scrive ancora Léon Bloy, “dopo quello di votare per degli acefali, è scegliersi una carriera o farsela scegliere … Tutto il resto è fantasia e grave pericolo per la società”.
A questo punto Sgalambro decide di seguire le meravigliose esagerazioni di Bloy e definisce il cittadino un amabile essere socievole ma nello stesso tempo un ignobile essere sociale.
Quanto al pessimista, il suo è il carattere della realtà, secondo l’auspicio del caratterologo di razza che mediante il carattere filosofico si spalanchino le porte che introducono al carattere del mondo.
Godiamoci ora la conclusione del capitolo dedicata al “carattere filosofico”.
‘Carattere filosofico’ è un conceptus fanaticus. Ma in che cosa consiste il fanatismo? E chi è anzitutto il fanatico, e di che? Fanatico della conoscenza (ecco, di questa è fanatico) è colui che, preso talmente dalla conoscenza, non ne vede i limiti. Hai varcato i limiti, avverte allarmato l’altro. Bene, ma tu per intanto cammina e non badarci. Poi si vedrà. In ogni caso, a uno tocca varcarli, a un altro avvertire gridando a più non posso che si sono varcati i limiti. Ma anche la conoscenza più pura o la più pura dottrina non concernono infine che la conoscenza senza carattere, adoperata così fino all’inganno, mentre essa perviene alla sua vera fonte nel carattere filosofico. Anche all’esperto essa risulta leggera, e al suo sguardo si arrendono i più inconfessati segreti. Lo sforzo compiuto è quello di essere. Conoscere sequitur. Il carattere filosofico risponde del contenuto di verità. Conosce senza conoscere.

Credo proprio di aver trovato in Sgalambro un altro centro di puro godimento … ah, e devo pure approfondire l'intrattabile Léon Bloy di cui ho un paio di saggi in libreria …

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