mercoledì 20 giugno 2012

Zarathustra e il vegliardo



Zarathustra a trent’anni porta la sua cenere al monte e resta in solitudine per dieci anni.
La cenere rappresenta i pensieri e i libri che Nietzsche ha scritto fino al momento di concepire Così parlò Zarathustra. È andato tutto in fumo, i suoi pensieri non lo soddisfano, i libri che ha scritto neanche e non perché sono poco letti, ma perché sono libri che non raggiungono l’altezza e la profondità sperata. Son testi da studioso, da comune professore universitario, testi che rimangono all’interno del grande circolo culturale letterario europeo. Io scrivo un libro, tu ne scrivi un altro e via così felici di fare scienza senza stressarsi troppo.
No; Nietzsche non è contento e brucia tutto. Resta di essi solo la cenere.
In realtà, Zarathustra non è proprio solo. Ha due animali con sé: l’aquila e il serpente. L’aquila vola alto nel cielo, fiera e indomita, il serpente striscia sulla terra – sono animali evidentemente complementari. Rappresentano simbolicamente l’unità del pensiero. Altezza e astuzia hanno bisogno l'una dell'altra. Solo l'altezza fa il pensatore stupido, solo l'astuzia fa il pensatore sordido.
Un giorno, Zarathustra decide di tramontare tra gli uomini così come fa il sole. Sente di aver accumulato tanta saggezza e vuole donarla all’umanità.
Discesa la montagna, giunto alla foresta, Zarathustra incontra un vegliardo, un altro eremita. Questo vegliardo riconosce Zarathustra e così lo accoglie:
“Questo viandante non mi è sconosciuto: alcuni anni fa è passato di qui. Zarathustra era il suo nome; ma egli si è trasformato. Portavi allora la tua cenere sul monte: oggi vuoi portare nelle valli il tuo fuoco? Non temi i castighi contro gli incendiari? Sì, riconosco Zarathustra. Puro è il suo occhio, né disgusto si cela sulle sue labbra. Non incede egli a passo di danza? Trasformato è Zarathustra, un bambino è diventato Zarathustra, Zarathustra è un risvegliato: che cerchi mai presso coloro che dormono? Hai vissuto nella solitudine come in un mare, e il mare ti ha portato. Guai! vuoi scendere a terra? Guai! vuoi tornare a trascinare da solo il tuo corpo?”
Il vegliardo, evidentemente, è un eremita che ha fatto una scelta dettata dal disgusto che gli uomini e lo spettacolo umano spesso provocano. È un tipo di eremita completamente diverso da Zarathustra.
Zarathustra dice al vegliardo che torna dagli uomini per amore verso di loro, perché vuole portargli un dono. Ma il vegliardo non sente ragioni; continua con le sue parole colme di disillusione:
“E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto (cioè nei luoghi soliti degli eremiti)? Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini, io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta. L’amore per gli uomini mi ammazzerebbe. Non dar loro nulla, continua l’eremita, levagli piuttosto qualcosa e portalo insieme a loro – questo sarà per essi il massimo beneficio: purché lo sia anche per te! E se proprio vuoi dargli qualcosa, non dare più di un’elemosina, e falli mendicare per questo! Bada che essi vogliano accettare i suoi tesori! Sono diffidenti verso gli eremiti e non credono che noi veniamo a portare i doni. I nostri passi risuonano troppo solitari per i loro vicoli. E quando di notte, a letto, sentono un uomo camminare assai prima che il sole sorga, si chiedono: dove andrà quel ladro? Non andare dagli uomini, resta nella foresta! Va’ piuttosto dagli animali! Perché non vuoi, come me, essere – un orso tra gli orsi, un uccello tra gli uccelli?”
Zarathustra ascolta il vecchio perché lo sente affine, capisce le sue ragioni, lo rispetta, ma lui è di tutta altra pasta. Alla fine chiede al vegliardo: “E cosa fai nella foresta?”
“Io faccio canzoni e le canto, e nel far canzoni, rido, piango e mugolo: così lodo Iddio. Cantando, piangendo, ridendo, mugolando, io lodo il dio che è il mio dio.”
Alla fine Zarathustra si congeda dal vegliardo; i due si abbracciano e ridono come potrebbero ridere due fanciulli; perché seppur in modo diverso, questo sono: due fanciulli. Uno arrabbiato, l’altro illuminato.
Ma quando rimane solo, così parla Zarathustra al suo cuore: “È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta, che Dio è morto!

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