(riassunti da uno scritto di Fernanda Pivano)
III.
Hemingway aveva un suo modo irresistibile di essere generoso con la gente non importante. Un giorno uno dei suoi editori lo invitò a colazione a un lungo tavolo onorato da ospiti illustri e mentre veniva servito il cosiddetto “secondo” arrivò un ragazzo e dopo aver salutato l’editore sedette su uno sgabello del bar. Hemingway chiese all’editore perché il ragazzo non fosse seduto a tavola e l’editore gli rispose che era stato invitato soltanto per il caffè. Senza fare commenti Hemingway andò a sedersi accanto al ragazzo al banco del bar e rimase con lui finché tutti si alzarono.
Una volta a Cortina una guardarobiera dell’Hotel Poste venne ricoverata in ospedale e scrisse a Hemingway angosciata perché nessun dottore andava a visitarla. Hemingway la rintracciò in ospedale e rimase accanto al suo letto abbastanza a lungo perché tutti i medici di turno venissero a guardarlo come si fa con gli animali allo zoo. Lo scrittore non chiese niente a nessuno, ma la malata la sera stessa venne trasferita dalla corsia in una camera “singola” e ricevette una processione di medici che andavano a interrogarla su Hemingway ma in qualche modo si occupavano anche della sua malattia.
Hemingway lavorava ogni mattina cominciando all’alba proprio con “la disciplina e la pazienza” evocate da Cowley e a tavola raccontava l’episodio appena scritto cambiandolo da diverse angolazioni, per provarlo davanti a “un pubblico”. Uno dei suoi modi di essere generoso era quello di ascoltare con intensa attenzione qualunque cosa gli dicessero, importante o no: in realtà registrava nella memoria, che non lo ha mai tradito fino al massacro degli elettroshocks, ogni inflessione di voce, ogni espressione sui volti, ogni gesto di chiunque gli parlasse; prima o poi li avrebbe tradotti in un racconto o in un episodio. Quando era lui a parlare, lo faceva con la sua leggera balbuzie, che copriva con la voce sempre bassissima, come s confidasse un segreto in un’intesa tra complici, e spesso usava la sua “lingua franca”, un miscuglio di inglese, francese, tedesco e spagnolo che faceva davvero sentire complice chi lo capiva; se voleva rendere esplicita la complicità si posava un dito sotto l’occhio destro e sorrideva di sbieco, alla Clark Gable.
IV.
Hemingway parlava spesso di The Sun Also Rises che con Death in the Afternoon restò sempre il suo libro preferito; diceva che A Farewell to Arms era immorale mentre tutte le azione di The Sun Also Rises erano morali.
La storia di The Sun Also Rises, intrisa di ineluttabile tragedia, aveva tutti i segni del suo mondo poetico. La protagonista Brett, apparentemente ninfomane e alcolizzata, aveva conosciuto la guerra come infermiera, aveva visto morire l’uomo che amava, aveva sposato uno psicotico che la maltrattava e, precipitata nel declino fisico e psicologico, stava per sposare un playboy ma era innamorata di Jake, un reduce di guerra che una ferita aveva reso impotente, col quale conduceva un amore platonico cercando insieme di controllare la sua attrazione fisica per il giovanissimo torero Romero. Vincerà la “morale” e Brett rinuncerà a Romero rifugiandosi tra le braccia del fidanzato platonico perdutamente innamorato di lei. L’ultima scena del libro la vede poco dopo aver rinunciato al torero, abbracciata a Jake su un taxi, mentre gli dice: “Saremmo stati così bene insieme”. La battuta finale del libro è il famoso understatement di Jake: “Yes. Isn’t pretty to think so?” tradotto da Giuseppe Trevisani: “Già. Non è bello pensarlo?”.
Il libro suscitò scandalo e fu accolto da un fiume di recensioni. Il poeta Conrad Aiken parlò della “dignità nela raccontare una storia un po’ sordida ma intensamente tragica”, Herbert Gorman disse che il libro descriveva “una grande débacle spirituale, una generazione che ha perduto i suoi scopi”, Allen Tate scrisse che Hemingway aveva prodotto un romanzo di successo, popolare, dove “il sentimentalismo appare esplicitamente per la prima volta nella sua prosa” e aveva usato “la maggiore intensificazione possibile dell’oggetto osservato”, Edmund Wilson nel 1927 scrisse che il libro è “un cristallo di chiaroveggente” in cui si trova “l’immagine della comune oppressione”, che Hemingway “è un maestro della miniatura, essenzialmente un poeta non abituato alla vastità del romanzo e che ha perduto in parte il controllo dei suoi materiali”, Robert Liddell osservò che il libro “conquistò il succèss de scandale di un romanzo a chiave inondato di vino di seconda scelta”.
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