domenica 30 giugno 2013

Appunti su Hemingway (6)

(riassunti da uno scritto di Fernanda Pivano)

XI.

Questi e altri critici molto severi non hanno considerato la situazione in cui era stato messo Hemingway dall’assedio degli intellettuali impegnati che in quegli anni esigevano da tutti una presa di posizione politica. Hemingway si interessava molto più alla sofferenza umana che alle teorie sociali e aderiva ai problemi pubblici solo quando qualcosa lo commuoveva: la politica in sé lo annoiava profondamente. Credeva nella libertà e nella giustizia, riteneva che la burocrazia governativa non potesse fornire né l’una né l’altra e se To Have and Have Not era apparentemente basato sull’ingiustizia economica e sul bisogno di solidarietà, in realtà il vero interesse di Hemingway era concentrato nel ritratto del protagonista Harry Morgan, eroe senza macchia e senza paura, temerario fino all’eroismo, superman nella sua barca e nel suo letto nuziale e insieme melanconico per il suo declino, in una tipica associazione cara a Hemingway. Questo personaggio che, con o senza impegno politico e sociale, resta una delle più disperate immagini del declino umano esplode più nei gesti che nelle parole, spesso vagamente demagogiche; e l’intento sociale del libro, se c’è, è soprattutto espresso nel titolo Avere e non avere, che segna lo scarto tra i ricchi che “hanno” e i poveri che “non hanno”.
I ricchi che “hanno” sono come sempre nell’immaginazione di Hemingway inetti e viziozi, tormentati da problemi sessuali: qui la coppia Tommy e Helène Bradley, ricalcata così da vicino su quella di Grant e Jane Mason da preoccupare l’ufficio legale dell’editore mostra un marito impotente e una moglie ninfomane, col marito che sta a guardare da uno spiraglio della porta mentre la moglie ha un rapporto con altri. Il rapporto descritto nel libro è quello con lo scrittore Richard Gordon (una malevole caricatura di John Dos Passos), di cui viene messa in dubbio la capacità sessuale e che viene abbandonato dalla moglie Helen (è curioso che le due protagoniste “ricche” del libro si chiamino Helen e Helène, che è anche il nome dato da Hemingway all’alter ego di Pauline in The Snows of Kilimanjaro). Le mogli “ricche” del libro sono tutte moralmente discutibili e la loro bramosia sessuale culmina nel personaggio di Dorothy Hollis, moglie di un regista di Hollywood, che una notte mentre il marito russa nel letto esce sul ponte come un personaggio di Sherwood Anderson e quando rientra in cabina si masturba a lungo davanti allo specchio. L’unica donna virtuosa del libro è Marie, la moglie di Harry Morgan, vecchia e grassa, coi capelli tinti per far piacere al marito, innamorata di lui anche sessualmente, disperata alla sua morte, “atterrita dalla luce” quando esce dall’ospedale e abbandonata in un lungo monologo quando siede al tavolo della sala da pranzo; un monologo confrontato da molti con quello di Molly Bloom dalle pagine famose di Joyce e considerato l’epitaffio di Harry Morgan.

XII.

Sono le emozioni a guidare come un filo conduttore tutte le pagine hemingwayane; magari, come lui diceva, non tanto descritte quanto frugate per cercare la causa, ma sempre palpitanti di passione e di dolore, sempre represse nello under statement che fu la sua grande invenzione e che cambiò modo di scrivere in gran parte della letteratura occidentale.
Superato il momento di crisi contenutistica durato qualche anno sotto l’impatto della “narrativa proletaria” questo modo di scrivere tornò ad affascinare migliaia di giovani che cercarono inutilmente di imitarlo, facendo risaltare anche meglio lo splendore dei suoi dialoghi stellanti, la purezza di pagine incontaminate da facili aggettivi, la disperazione per la tragedia di un mondo dilaniato dal conflitto tra la bellezza della realtà naturale e la inesorabile caducità della condizione umana.
È stato uno scrittore tragico, un inimitabile cantore del rapporto tra uomo e donna e della sua disintegrazione in un destino senza via d’uscita. Che gli amanti si chiamassero Brett e Jake o Catherine e Frederik o Harry e Marie non cambiava il loro destino che restava senza speranza davanti allo spettro della morte, eterna protagonista di tutti i suoi libri.
L’unica speranza, l’unico spiraglio che permetta di vivere almeno con dignità il breve periodo concesso dal destino prima della fine è l’integrità, che per Hemingway vuol dire coraggio, vuol dire dignità, vuol dire onestà: vuol dire quella “grace under pressure” che lo ha guidato tutta la vita fino all’alba segreta in cui silenziosamente, discretamente, umilmente si dichiarò sconfitto e si tolse la vita.

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