(riassunti da uno scritto di Fernanda Pivano)
V.
Il passare degli anni non fermò la produzione dei saggi. Il precursore Malcolm Cowley riprese il discorso su Exile’s Return che nel 1951 raccolse i suoi interventi degli Anni Trenta e incluse la celebre informazione che “le ragazze dello Smith College di New York si modellavano sulla Lady Brett di The Sun Also Rises e centinaia di brillanti giovani del Middle West cercavano di comportarsi come gli eroi di Hemingway, pronunciando duri understatements da un lato della bocca”. Con una testimonianza meno poetica e già intrisa di elementi storici Carlos Baker nella raccolta Hemingway: the Writer as Artist del 1952 dedicò al libro un capitolo che teneva già conto dei commenti fatti dai contemporanei più o meno testimoni di quella Generazione Perduta di cui i protagonisti avevano subito detestato la definizione.
Di tutte queste recensioni o saggi particolarmente significative sono le pagine di James T. Farrell, lo scrittore socialista popolarissimo negli Anni Quaranta, che nel 1943 commentò The Sun Also Rises in The League of Frightened Philistines facendo notare che l’azione del libro si svolge nel 1925 mentre il capitalismo europeo si era ristabilito, erano ricominciati i discorsi sul disarmo e i trattati di pace e l’America era nel pieno di un grande boom economico; una situazione che può far sembrare paradossale che potesse imporsi come un successo internazionale un simile romanzo nichilista e intriso di delusioni di guerra.
Farrell fa notare anche che questo aspetto paradossale è giustificato come segno di un ritorno alla prosperità mondiale post-bellica che recava con sé crescenti tracce di pacifismo mentre la delusione sulla guerra diventava un costume sociale. Naturalmente Farrell, fervente socialista, sostiene nell’articolo che una delusione di questo genere non può essere che nichilista e adolescenziale a meno che faccia da base a un orientamento radicale e progressista, insistendo che questo viene dimostrato nel libro, dove i personaggi “esprimono la loro amarezza e il loro disincanto con voluta temerarietà vantandosi entusiasticamente delle loro follie che possono diventare, come le loro azioni, pose e esibizionismi”. Infatti, sostiene Farrell, il libro influenzò i giovanissimi molto più che i coetanei: Hemingway “può avere descritto i sentimenti di tanti che avevano combattuto in guerra, ma la maggior parte di loro cercava in qualche modo di sistemarsi e di adattarsi agli Anni Venti”. Invece nelle università gli studenti parlavano come i personaggi di Hemingway e i giovani reagivano contro le regole e le convenzioni degli anziani, soprattutto contro le norme della società borghese, in una ribellione che restava rigorosamente apolitica. Secondo Farrell questa fu la ragione per cui Hemingway influenzò la nuova generazione; ma in una parentesi libera dall’influenza socialista Farrell riconosce che il libro era “stimolante e aveva uno straordinario potere di suggestione, convincendo il lettore della reale partecipazione di Hemingway alla vita di uomini e donne molto reali. Il suo uso del dialogo aiutava enormemente a creare questa impressione. Altri, specialmente Ring Lardner, avevano preceduto Hemingway nell’esplorare e rivelare le possibilità letterarie del vernacolare americano, ma Hemingway lo usava con abilità e originalità sorprendenti”.
Poi Farrell torna a immergersi nella sua ideologia e afferma che Hemingway “è uno scrittore di visione limitata, non ha una prospettiva vasta e fertile della vita”. I giovani imparavano da lui a trattare argomenti comuni e una parlata quotidiana, ma imparato questo avevano poco o altro da ricavare da lui. L’Europa descritta nel libro è una Europa da turisti degli Anni Venti e quando l’azione si sposta in Spagna e alla Fiesta il clima è quello di personaggi in vacanza.
Sono personaggi senza passato, dal quale fuggono e del quale non vogliono neanche parlare, dice Farrell: vivono nel presente cercando sensazioni nuove e fresche; in realtà non pensano e “il realismo di Hemingway tratta più che altro le sensazioni. A salvarlo dalle asprezze di un semplice behaviorismo è stata la sua capacità di suggestione e la sua abilità di understatement. La visione morale nella sua opera si pone su un piano di semplicità simile a quella dei suoi personaggi e dei suoi argomenti”.
Dimenticando di nuovo la sua ideologia Farrell conclude che Hemingway “è arrivato sulla scena letteraria maestro assoluto dello stile che ha fatto suo… e che The Sun Also Rises rimane uno dei migliori romanzi americani degli Anni Venti”.
VI.
Non era ancora finito il clamore suscitato da The Sun Also Rises che, tre anni dopo, uscì A Farewell to Arms, un altro romanzo tragico, dove l’amore diventa monogamico ma non per questo si sottrae al destino di morte che sovrasta tutte le creazioni di Hemingway.
Il giovane tenente americano che dopo aver fatto “una pace separata” fugge da Caporetto, passa il confine con la Svizzera, vive in un’estasi di felicità una delle più grandi stagioni di amore letterario di tutti i tempi e vede morire di parto la splendida reincarnazione della dolce infermiera di Milano, dolce alla Kipling, dolce alla Hadley, dolce come erano gli “angeli del focolare” vagheggiati ancora in quegli anni del primo dopoguerra, resta un caposaldo delle invenzioni hemingwayane, magari autobiografico in certi momenti fino alla cronaca (a parte Caporetto che Hemingway non ha mai visto).
Ad accogliere il libro, questa volta, quasi con fastidio di Hemingway, fu un coro di lodi. A parte la più o meno dichiarata stroncatura di Edmund Wilson, i critici furono unanimi nell’accettare il romanzo.
Percy Hutchinson disse che A Farewell to Arms era “un grande successo in quello che si poteva definire il nuovo romanticismo”, Clifton Fadiman lo definì “l’apoteosi di una specie di modernismo”, Malcolm Cowley ritenne il titolo simbolico di un “addio a un periodo, un atteggiamento, e forse un metodo”, Henry Seidel Candy difese il linguaggio “sporco” che aveva preoccupato i censori di Boston, Allen Tate disse che il libro era un capolavoro facendo felice il suo autore. Dorothy Parker, quasi fanatica ammiratrice dell’amico con lei sempre scostante, pubblicò sul “New Yorker” un “profilo” famoso in cui disse che Hemingway era passato “dalla semplice fama nella leggenda vivente” e ribadì l’immagine ora famosa usata tre anni prima da Hemingway in una lettera a Fitzgerald, secondo la quale il coraggio è “eleganza nella difficoltà”, “grace under pressure”.
Molte recensioni furono tuttavia negativi, per esempio quella di Robert Herrick nell’articolo “What Is Dirt?” (Hemingway reagì scrivendo una lettera aperta al direttore della rivista su cui era uscito l’articolo), Aldous Huxley attaccò l’autore perché dopo una citazione del Cristo di Mantegna “torna a parlare di cose meno elevate… Non è insolito trovare gente intelligente e colta che fa del suo meglio per nascondere il fatto che non ha ricevuto un’educazione” (Hemingway che non aveva frequentato l’università si risentì e rispose all’attacco dello scrittore allora molto popolare), Robert McAlmon, l’editore di giovinezza, approfittò del libro per spargere pettegolezzi senza fondamento sul vecchio amico.
La stroncatura più illustre fu quella di Edmund Wilson, che nel luglio 1939 pubblicò sull’”Atlantic Monthly” il saggio famoso Hemingway: Gauge of Morale, poi ripreso nella raccolta The Wound and the Bow del 1947. La lunga carrellata di tutta l’opera di Hemingway deluse profondamente lo scrittore che si sentì attaccato dal vecchio amico. A proposito di A Farewell to Arms Wilson dice: “Naturalmente è scritto benissimo ed è molto commovente. Probabilmente nessun altro libro ha colto così bene la stranezza della vita nell’esercito per un americano in Europa durante la guerra”. Wilson accenna alla novità dei luoghi in cui un simile americano si ritrovava, gli stranieri scelti fra la gente di tutti i giorni quali li vedeva vivendo e lavorando con loro, i piaceri coi quali cercava di “imbrogliare la guerra” resi più intensi dall’incertezza e dall’orrore.
A Farewell to Arms, dice Wilson, è una tragedia; e infatti da tempo la critica è concorde nel considerare Hemingway soprattutto uno scrittore tragico. Gli americani sono visti come vittime innocenti avulse dalle forze che li muovono: Wilson ricorda che in una lettera Hemingway aveva detto che questo libro era il suo Romeo e Giulietta. In questo clima tragico Hemingway scrisse le pagine in parte responsabili dell’accanimento fascista contro il suo libro: Wilson dice: “Il racconto della ritirata di Caporetto è il brano di prosa più forte mai scritto da Hemingway”.
Ma subito dopo aggiunge il giudizio che ferì Hemingway: “Quando Catherine e il suo amante emergono dal fiume dell’azione… vediamo che non sono convincenti come personalità umane”. Wilson si mostra sorpreso dal fatto che Hemingway, così abile nel cogliere il tono dei vari tipi sociali e nel farli parlare in modo appropriato, non abbia mostrato un vero interesse per i due protagonisti e sembra risentito che “il centro della storia non consista nelle personalità ma nella emozione suscitata dalle situazioni”. Wilson insiste affermando che nei due amanti protagonisti “si può scoprire soltanto un rapporto idealizzato, le astrazioni di una emozione lirica”.
Il resto del saggio aggrediva con la stessa malevolenza gli altri libri dell’antico amico; Hemingway reagì chiedendo a Maxwell Perkins, riferendosi al titolo della raccolta in cui era stato pubblicato il saggio, se la Wound, la ferita, era l’omosessualità, l’impotenza o semplice cattiveria. Quanto al Bow, l’arco, ne aveva uno buonissimo “ed era questo che Wilson non gli perdonava: una volta o l’altra, quando avesse scritto le sue memorie personali, avrebbe accoccato una freccia e l’avrebbe tirata a Bunny” (era questo il nomignolo di Wilson).
Meno illustre di Wilson ma forte della sua posizione tra i letterati del Sud, Edgar Johnson nel 1940 affrontò i denigratori di Hemingway stimolati dalle riviste “serie” ma inflazionati dagli scimmiotta tori nei pettegolezzi dei giornali.
Johnson ricordò che uno di questi giornali scrisse di Hemingway: “Come essere pensante ha molto da imparare”; un’aggressione che il critico attribuì non tanto alle nascenti tendenze della politica di Sinistra quanto al fatto che Hemingway “è un intellettuale che ha rinunciato all’intellettualismo”, una colpa che nessun intellettuale è disposto a perdonare. Più avanti nel saggio Johnson affermò che in A Farewell to Arms “è la società nel suo insieme a venire respinta, come responsabilità sociale. Il tenente Henry vive nella guerra ma come uno spettatore, rifiutandosi di venire coinvolto e conduce una vita privata come individuo isolato”. “Ha respinto il mondo”, dice Johnson, ricordando la celebre frase hemingwayana citata in tutte le biografie e ripresa da una delle miniature di In Our Time: “Avevo fatto una pace separata”.
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