domenica 1 luglio 2012

Krishnamurti e la meditazione [primi appunti]


Don Giovanni vive tante storie, gli piace godere con donne diverse, le avventure, le fughe, le emozioni. Ecco, io mi sento un Don Giovanni dei libri. Solo che le storie le ho con gli autori, godo con le frasi e i pensieri, le avventure avvengono dentro la mia mente e le fughe sono le rotte che seguo stando fermo a pensare. E invece di litigare con mariti cornuti, critico ciò che non mi piace e lodo quel che mi fa impazzire di piacere.
Krishnamurti è una scoperta recente. Poche settimane fa, un amico mi parlò di Jiddu e io decisi di provare. Su una bancarella napoletana c’erano tanti titoli e io presi La sola rivoluzione, così, perché m’ispirava il titolo.
È stato un colpo di fulmine, un amore a prima vista e oggi voglio stendere alcuni appunti che riguardano la meditazione.

La meditazione non è una fuga dal mondo; non è un’isolarsi e chiudersi in sé, ma piuttosto la comprensione del mondo e delle sue vie. Il mondo ha poco da offrire tranne il cibo, i vestiti e la casa, e il piacere con i suoi grandi dolori.
Meditare è deviare da questo mondo, diventargli totalmente estraneo.
Allora il mondo ha un significato, e la bellezza del cielo e della terra è costante. Allora l’amore non è piacere. Da ciò prende le mosse l’azione che non è il risultato della tensione, della contraddizione, della ricerca e dell’autosoddisfazione o della vanità del potere.
Ciò che è importante nella meditazione è la qualità della mente e del cuore. Non è ciò che consegui, né ciò che dici di ottenere, ma piuttosto la qualità di una mente che sia innocente e vulnerabile. Dalla negazione nasce lo stato affermativo. Il semplice ottenere l’esperienza, o vivere nell’esperienza, nega la purezza della meditazione. La meditazione non è un mezzo per un fine. È insieme il mezzo e il fine. La mente non può mai esser fatta innocente per mezzo dell’esperienza.
È la negazione dell’esperienza che produce quello stato affermativo di innocenza che non può essere coltivato dal pensiero. Il pensiero non è mai innocente. La meditazione è la cessazione del pensiero,non grazie al meditante, perché il meditante è la meditazione. Se non c’è meditazione, sei come un cieco in un mondo di grande bellezza, luce e colore.
Cammina lungo la spiaggia e lascia che questa qualità meditativa ti venga incontro. Se lo fa, poi non cercarla. Ciò che cercherai sarà la memoria di ciò che era – e ciò che era è la morte di ciò che è.
O quando vagherai fra le colline, lascia che tutto ti parli della bellezza e della pena della vita, e potrai svegliarti al tuo dolore e alla sua cessazione.
La meditazione è la radice, la pianta, il fiore e il frutto. Sono le parole che dividono il frutto, il fiore, la pianta e la radice. In questa separazione l’azione non genera la bontà: la virtù è la totale percezione.
Meditare non è ripetere la parola [preghiera o mantra], o sperimentare una visione, o coltivare il silenzio. Il rosario e la parola placano, è vero, il chiacchierio della mente, ma questa è una forma di autoipnosi. All’uopo andrebbe bene anche una pillola.
Meditare non è chiudersi in un pensiero ideale, nell’incanto del piacere. La meditazione non ha principio e perciò non ha fine.
Se tu dici: “Oggi comincerò a controllare i pensieri, a sedere quieto nella posizione del meditare, a respirare regolarmente” – allora sei preso nei trucchi con cui inganniamo noi stessi. La meditazione non è essere assorti in qualche idea o immagine grandiosa: questa acquieta per il momento, come un bimbo tutto preso da un giocattolo è momentaneamente tranquillo. Ma, appena il giocattolo cessa di interessarlo, ricominciano i capricci. La meditazione non è la ricerca di un invisibile sentiero che porti a una qualche immaginata beatitudine. La mente meditativa è vedere – osservare, ascoltare, senza la parola, senza commento, senza opinione – tutto il giorno attentamente il movimento della vita in ogni suo rapporto. E la notte, quando l’organismo riposa, la mente meditativa non fa sogni, perché è stata sveglia tutto il giorno. Soltanto gli indolenti fanno dei sogni; soltanto i sonnolenti hanno bisogno del preannuncio delle loro situazioni. Ma alla mente che osserva, ascolta il movimento della vita, sia quello esteriore sia quello interiore, viene un silenzio che non è montato su dal pensiero.
Non è un silenzio che l’osservatore possa sperimentare. Se ne fa esperienza e lo riconosce, non è più silenzio. Il silenzio della mente meditativa non sta entro i confini dell’individuabilità, perché questo silenzio non ha frontiere. C’è solo il silenzio, nel quale lo spazio della divisione cessa.

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