I Proci hanno invaso la grande casa.
Gozzovigliano, fanno confusione; approfittano dell'assenza del padrone, del re.
Il dramma vero è che non si sa se il re sia morto oppure no, l'incertezza è sempre nefasta.
Telemaco assiste impotente, finchè non gli viene in mente un'idea divina; un aiuto dalla teà glaukopis. Il frammento che segue m'è sempre piaciuto. Telemaco si scuote e comincia a prendere in mano le redini della sua vita. (Questa scena ne ha poi ispirata un'altra nel film Casablanca)
Udiva il canto divino dalle stanze superne
la saggia figlia d'Icario, Penelope,
e l'alte scale discese, non sola:
con lei due ancelle venivano. Appena la donna
sublime fu giunta al cospetto dei Proci,
alla porta sostò della sala, tirando
il nitido velo sul viso; le stava
da un fianco e dall'altro un'ancella solerte.
Allora si volse piangendo al cantore divino:
"Femio, altri canti conosci che allietano gli uomini,
molti fatti d'eroi e di numi che vanno i poeti
cantando; e tu canta a costoro sedendo
uno di quelli, ed essi bevano pure in silenzio
il vino; ma questo tralascia così doloroso
canto, che sempre il mio cuore consuma
nel petto da quando una pena mi colse
infinita: quell'uomo sempre rimpiango,
sempre quell'uomo ricordo di cui per la Grecia
e in Argo risuona grande la fama".
A lei rispondeva Telemaco saggio: "Madre,
perchè vuoi impedire che il dolce cantore
ci allieti secondo che l'estro lo guida?
Colpa non è del cantore se il canto
è triste, ma forse di Zeus che la sorte
come vuole a ciascuno dona degli uomini.
Se Femio canta dei Danai l'ultimo fato
non merita biasimo: amano molto i mortali
il canto che suona più nuovo alle orecchie.
Abbi di udire anche tu forza nell'animo,
giacchè non fu tolto soltanto ad Ulisse il ritorno:
tanti altri guerrieri son morti sui campi di Troia.
Ma tu nelle stanze rientra, all'opere tue
del telaio e del fuso; e cura che attendano
le ancelle ai lavori; parlare e decidere
è cosa di uomini, e mia più che d'altri,
perchè mio è qui nella casa il potere".
Stupita la madre rientrò nelle stanze; del figlio
accolse nell'animo le sagge parole: di sopra
salì con le ancelle, e pianse di Ulisse,
del caro suo sposo, finchè Atena, dal fulgido sguardo,
un dolce sonno a lei sulle palpebre infuse.
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