venerdì 11 marzo 2011

Hegel e la dialettica [2]

E' per l'appunto il riconoscimento di questo legame fra una qualsiasi determinazione e la sua negazione, ossia il comprendere l'opposto nella sua unità, il negativo nel positivo ciò che costituisce il nucleo del rinnovamento della logica proposta da Hegel. La vecchia logica, rigida e astratta, non riusciva a cogliere tale legame, ed anzi lo escludeva dogmaticamente dal campo della razionalità in nome del valore assoluto attribuito ai due principi di identità e di non-contraddizione. La nuova logica capovolge la situazione ereditata dal passato, sostituendo – per una specie di paradosso – ai due principi anzidetti il principio di contraddizione.
Questa sostituzione è ciò che le permette di cogliere la profonda razionalità del nesso “dialettico” tra l'uno e il molteplice, tra l'assoluto e l'empirico.
Per comprendere esattamente il significato e la funzione attribuiti da Hegel al principio di contraddizione, occorre far presente che la semplice affermazione di due concetti contraddittori non basta, secondo lui, a generare un vero e proprio rapporto dialettico.
A tale fine occorre qualcosa di più: e cioè che i due concetti contraddittori non vengano contrapposti uno all'altro in forma intellettualistica, ma vengano mediati fra loro. Occorre cioè che sia l'analisi stessa dell'uno a condurci verso l'altro. Mediare due concetti significa, per Hegel, farli uscire dal proprio isolamento, collegarli intimamente uno all'altro, scoprire – attraverso una seria e meditata riflessione su di essi – la loro profonda unità.
Facciamo un esempio, trattato sia nella Fenomenologia sia nella Logica, del modo in cui Hegel applica questa mediazione fra gli opposti per giungere a una sintesi unitaria: il passaggio dalla certezza sensibile della coscienza alla percezione.
Bisogna prestare attenzione su come Hegel riesca a far scaturire dall'interno stesso di una proposizione la “immane forza del negativo” che spinge alla posizione opposta (cioè dalla tesi all'antitesi), e poi di nuovo da questa alla sintesi.
A prima vista, la forma più ricca e più vera di conoscenza pare quella della certezza sensibile, che si esprime così: “Vero è ciò che io posso indicare qui, davanti a me, ora, in questo istante”.
In questa forma elementare e primaria del sapere, la certezza del qui e dell'ora coincide, per la coscienza, con la verità della cosa. Ma ecco che immediatamente comincia ad operare la negatività.
Domandiamoci ad esempio: “cosa è l'ora”, e mettiamo che la risposta suoni: “In questo istante l'ora (nel senso di adesso) è mezzanotte”. Scriviamola su di un foglio di carta. Rileggendolo all'indomani vedremo che l'ora (l'adesso) è diventato, poniamo, mezzogiorno. Ecco quindi che il primo ora non è più vero, mentre d'altra parte il nuovo ora continua ad essere un ora, proprio come il primo. In tal modo la certezza sensibile non è più, per la coscienza, la verità: l'ora non è più qualcosa di assolutamente certo e vero, bensì qualcosa di assolutamente indeterminato.
Lo stesso processo di negazione intrinseca si può constatare per il qui: la coscienza sensibile fa consistere la verità nella certezza sensibile del dire, ad esempio, “questo albero qui”. Ma basta volgere le spalle all'albero e vedere, poniamo, una casa, ed il qui è già cambiato, pur restando sempre un qui.

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