Verificata così l'impossibilità di trovare la verità nel lato dell'oggetto, la coscienza della certezza sensibile passa al suo opposto: non nel qui e nell'ora è la verità, ma nell'io che li vede, li sente, ecc. Ma anche in questa nuova posizione, che risulta dalla negazione della prima, opera di nuovo la negatività.
Infatti ciò che è vero per un io che vede, ad esempio, una casa a mezzogiorno, è del tutto diverso da ciò che è vero per un io che vede un albero a mezzanotte.
Tutti e due gli io pretendono evidentemente di affermare la verità, ma in realtà ognuno dei due mette in crisi la certezza dell'altro, e risulta manifesto che entrambi sono schiavi dell'immediatezza del loro sentire e del loro vedere sensibili e particolari.
La certezza sensibile esprime dunque che la propria essenza non sta né nell'oggetto né nell'io. Occorrerà dunque superare questi due opposti, negando sia la certezza sensibile che trovava la verità nel qui e nell'ora del mondo esterno, sia quella che, derivando dalla negazione della prima, trovava la verità nell'io che vede e sente i qui e gli ora. La certezza sensibile diviene quindi un intero, che comprende sia il lato oggettivo sia quello soggettivo delle precedenti: è la sintesi delle due precedenti unilateralità.
A sua volta poi, in ogni parte della filosofia hegeliana che preceda lo spirito assoluto (punto terminale e sintesi finale di ogni processo logico, storico e naturale), la sintesi diviene tesi di un nuovo processo dialettico.
Vediamo ad esempio il caso della citata certezza sensibile come intero di lato oggettivo e di lato soggettivo: in esso la negatività si manifesta con il fatto che la coscienza della certezza sensibile deve rinunciare a parlare, deve cadere nell'ineffabilità: se infatti dicesse “questo è”, ricadrebbe nelle unilateralità precedenti, e dovrebbe ricercare la verità delle sue parole o nell'io che parla o nella cosa di cui parla.
Deve dunque limitarsi ad indicare il questo cui si riferisce, preservando in tal modo l'interezza dell'io che indica e la cosa indicata. Questo processo dell'indicare è una sintesi positiva delle due precedenti unilateralità, in quanto non è vincolante a nessun ora e nessun qui particolari; l'indicare ha dunque l'aspetto positivo di preservare l'unità dei due lati ed è un modo di sperimentare il fatto che nessun ora e nessun qui particolari esauriscono la ricchezza dei molteplici qui ed ora. L'indicare è dunque esso stesso il movimento esprimente ciò che l'ora è in verità, ossia un risultato o una molteplicità di ora nel suo insieme raccolta; e l'indicare è imparare per esperienza che ora è un universale. Lo stesso vale per il qui.
Ecco dunque che Hegel analizzando la negatività del qui e dell'ora particolari (tesi) e dell'io particolare che sente e vede i qui e gli ora (antitesi) è giunto a definire una sintesi che rappresenta il superamento delle opposte unilateralità.
Che questa sintesi sia a sua volta la tesi di un ulteriore processo dialettico è evidente. La negatività di questa sintesi consiste proprio nel non poter parlare, nel non poter profferire, nell'essere inattingibile al linguaggio. Nel reale tentativo di pronunziare la cosa, essa si disintegrerebbe. Come evadere dalla negatività del non poter parlare? La coscienza non può rinunciare alla parola senza ricadere in uno stato ferino, e quindi la usa e si aiuta indicando l'oggetto di cui parla. Così facendo, la coscienza evade dalla certezza sensibile e giunge ad una forma superiore, quella della percezione: parlando di un qui, indicando nel contempo un qui concreto particolare, mostro d'intendere che esso non esaurisce l'universalità del qui, ma è un universale che da un lato si esprime con la parola, e dall'altro si concretizza come uno degli infiniti qui mediante l'indicazione concreta che ne faccio. Sono così giunto ad intendere la percezione come determinazione di un universale che supera la certezza sensibile immediata.
A sua volta la percezione diviene tesi di una nuova triadicità dialettica, che passa attraverso varie fasi, sempre sotto l'influsso della negatività. Anche nella percezione, cioè, la coscienza è spinta prima ad affermare la verità dell'essere universale, poi la verità della percezione umana dell'essere, infine ad unificare percepiente e percepito. Solo nel sapere dello spirito assoluto si ha la sintesi finale.
Poiché il compito essenziale della filosofia consiste soprattutto nel raggiungimento di una visione unitaria della realtà, lo strumento fondamentale di cui essa dovrà servirsi non potrà essere altro che la mediazione dialettica; strumento che Hegel può ritenere razionale in base alla riforma da lui compiuta della logica.
Esso ci condurrà a trattare i concetti come esseri viventi, la cui essenza è l'assoluta inquietudine di non essere quello che sono. E così la filosofia risulterà, in ultima istanza, la forma dialettica della conoscenza pensante.
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