sabato 19 marzo 2011

19 marzo don Giuseppe Diana

Levata da mezzo sta stronzata della festa del papà, oggi in Campania si commemora don Peppino Diana parroco di Casal di Principe, ucciso da delle bestie di merda (o dalla camorra se preferite, tanto è uguale) il 19 marzo 1994. Non mi va di scrivere molto, la rabbia ce l'ho dentro e non riesco ad esternarla. Voglio solo dire che i vermi hanno ben fatto la loro rivoluzione, hanno imposto le loro teorie, le loro pratiche, il loro sistema; che è vincente. Chi non ci vive a contatto non può capire, come io non posso capire gli slum indiani o le favelas brasiliane.
Peppì, eri un grande, un libero, un coraggioso, un uomo d'amore. E' per questo che t'hanno ucciso. Posto un breve ritratto per cominciare a conoscerlo, nel corso del tempo continuerò a ricordarlo.

...don Peppino aveva studiato a Roma e lì doveva rimanere a fare carriera lontano dal paese, lontano dalla terra di provincia, lontano dagli affari sporchi. Una carriera clericale, da buon figlio borghese. Ma aveva d'improvviso deciso di tornare a Casal di Principe come chi non riesce a togliersi di dosso un ricordo, un'abitudine, un odore. Forse come chi ha perennemente la sensazione smaniosa di dover fare qualcosa e di non riuscire a trovare pace fin quando non la realizza o almeno tenta di farlo. Don Peppino divenne giovanissimo sacerdote della chiesa di San Nicola di Bari, una chiesa dalla struttura moderna che sembrava, anche nell'estetica, perfetta per la sua idea di impegno. Girava per il paese in jeans e non in tonaca come era accaduto sino ad allora ai preti che si portavano addosso un'autorità cupa come l'abito talare. Don Peppino non orecchiava le beghe delle famiglie, non disciplinava le scappatelle dei maschi, nè andava confortando donne cornute, aveva cambiato con naturalezza il ruolo del prete di provincia. Aveva deciso di interessarsi delle dinamiche di potere: non solo dei corollari della miseria, non voleva soltanto nettare la ferita, ma comprendere i meccanismi della metastasi, bloccare la cancrena, fermare l'origine di ciò che rendeva la sua terra una miniera di capitali e un tracciato di cadaveri. Fumava anche il sigaro ogni tanto in pubblico, altrove poteva sembrare un gesto innocuo. Da queste parti i preti tendevano ad avere atteggiamenti di finta privazione del superfluo e nelle loro stanze davano sfogo alle pigre debolezze. Don Peppino aveva deciso di lasciare somigliare la sua faccia sempre più a se stesso, come una garanzia di trasparenza in una terra dove i volti invece devono orientarsi in smorfie pronte a mimare ciò che si rappresenta, aiutati dai soprannomi che caricano il proprio corpo del potere che si vuole suturare alla propria epidermide...

1 commento:

  1. c'ho pensato. penso che ci siano strade che vanno percorse con altri mezzi, il sacerdozio è una contraddizione troppo palese per non attirarsi l'attenzione delle bestie. se mi riesce provo a mettere tutto per scritto.

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